GIANNA VALENTI | Navy Blue della coreografa nord irlandese Oona Doherty è uno sguardo sulla presenza umana nell’immensità dell’universo, una visione sul senso della nostra incarnazione, sul nostro essere corpo come presenza sensoriale e animica, sul senso del nostro procedere e operare sul pianeta come corpi singoli e come razza umana.
Un lavoro per “fare arte e pensare al cosmo” narra il testo scritto da Doherty insieme a Bush Moukarzel (attore, regista e autore irlandese) come parte del soundtrack dello spettacolo. La Terra un “pallido puntino blu”, così come “un pallido puntino blu su un pallido puntino blu” ogni singolo corpo che la abita. Eppure, ci racconta questa coreografa così attenta all’umanità e alla realtà dei corpi e delle relazioni che osserva con grandi capacità intuitive nel suo quotidiano e nella strada, è in ogni singolo corpo che danza, in ogni pallido puntino blu, che si manifesta il noi e il tutto: “… guardate ancora. C’è un mondo intero in quella ballerina.” (Qui il testo integrale usato nello spettacolo)
Doherty si è ispirata al libro degli anni Novanta dell’astronomo Carl Sagan, Pale Blue Dot: a Vision of the Human Future In Space, scritto dopo che nel 1990 la sonda Voyager manda sulla Terra Pale Blue Dot, la prima famosissima e iconica foto del nostro pianeta visto dall’immensità del cosmo.
Navy Blue, ospitato quest’anno a Biennale Danza, dove Doherty ha ricevuto il Leone d’Argento nel 2021, è il secondo appuntamento di Torinodanza visto alle Fonderie Limone il 22 settembre.
In scena un largo gruppo di danzatori con i corpi coperti da tute blu di memoria operaia novecentesca. Undici corpi, nella serata vista, che sciamano senza sosta nello spazio completamente aperto della scena, in un rincorrersi di forme coreografiche spaziali classiche: dal gruppo come linea compatta che taglia la scena orizzontalmente, al gruppo come linea in profondità che si apre e si ricompone in un gioco di simmetrie a specchio; dal gruppo che si compatta al centro o che si fa cerchio sul perimetro, ai corpi che si dispongono in modo ordinato e uniforme sull’intera scena; dal gruppo che si sposta sulla scena da destra a sinistra sino ai corpi che scivolano sulla diagonale intrecciando i percorsi in un gioco regolare di scambi.
Strutture spaziali classiche e moderne lontane dal linguaggio del contemporaneo e della performance europea di fine Novecento e che funzionano non come momenti singoli, distinti e di affermazione di un’area compositiva all’interno della coreografia, ma come una sorta di struttura leggera, flessibile e semitrasparente che sostiene il flusso ininterrotto dei corpi negli spostamenti sulla scena, nei passi di danza e nei gesti.
Nulla sembra avere un posto fisso. I corpi viaggiano nello spazio e danzano rincorrendo un’impossibile sincronicità tra la danza come codice stilistico del classico e del contemporaneo e la danza come gesto e come presenza del quotidiano. Senza aderire alle soluzioni compositive del Physical Theatre inglese o del Teatro Danza tedesco, i corpi dei danzatori fanno coesistere nel loro linguaggio il codice tecnico e il gesto senza più la necessità di esibirne una linearità e una codificazione, ma abitandoli come elementi che appartengono alla memoria, smussandoli e lasciandoli fluire quali fossero delle presenze smaterializzabili di un codice professionale appreso o di un codice assorbito nel quotidiano.
Questo flusso inarrestabile del movimento e delle sue trasformazioni avvicina la modalità compositiva di Doherty al channeling creativo e alla scrittura automatica e crea un’urgenza negli spostamenti spaziali, negli sguardi e nell’accavallarsi degli elementi del movimento danzato. Gli sguardi conducono, spostano, avvicinano, allontanano, aprono spazi, portano altrove. È così che scorre tutta la prima parte sulle note del concerto n.2 per pianoforte e orchestra di Sergej Rachmaninov. La seconda parte, abitata dalla partitura musicale elettronica originale di Jamie XX e dal testo di Doherty-Moukarzel, compatta i corpi in una linea orizzontale sulla scena, così come compatta il movimento danzato e alchimizza le modalità compositive della prima parte. I corpi dei danzatori, ognuno nella propria singolarità, si fanno presenze totemiche che rilasciano una danza di movimenti e gesti non più distinguibili e riconoscibili, una danza come assorbimento e compressione di un linguaggio più ampio che si fa flusso ininterrotto di micropartiture che scorrono sui corpi nella loro costruzione frontale e bidimensionale verso il pubblico.
C’è molta densità in questo sviluppo del lavoro. La danza così compressa, così trattenuta e con l’altissima necessità di incanalare l’energia negli spazi interni del corpo diventa linguaggio urgente per comunicare la natura infinitesimale del manifestarsi fisico sul pianeta: la Terra come piccolo punto nell’universo che chiede ai corpi di accettare e dare un senso all’immensità, senza perdersi nel pericolo e nella follia di sentirsi un nulla; la Terra che chiede ai corpi che danzano di manifestarsi fisicamente e sensorialmente portando memorie personali e collettive, emozioni e forme pensiero senza perdersi nel confronto con la vastità della materia che li circonda.
La linea compressa dei corpi si disperde in percorsi singoli e un solo corpo rimane sul fondo della scena in uno spazio ristretto. La sua danza esplode in un flusso inarrestabile di elementi non più riconoscibili, il suo corpo danza l’impossibilità a posarsi e la ricerca dell’istantaneità all’essere nel tutto, qui e altrove. Solo un altro corpo, in un abbraccio che comprende, riconosce e accoglie, gli offre la possibilità di ascoltarsi e stare. Doherty, con un abbraccio che diventa azione di gruppo, ha il coraggio di mettere in scena la semplicità dell’amore incondizionato: i suoi danzatori sono unici, ognuno con un corpo, uno sguardo, un’età e un modo di vivere il movimento che li identifica come singolarità certe all’interno del gruppo — singolarità che scelgono di collaborare, di sostenersi e di procedere insieme in un atto di danza che si fa modello e promessa per il destino umano sul pianeta.
NAVY BLUE
coreografia Oona Doherty
in collaborazione coi danzatori Amancio Gonzalez Miñon, Andréa Moufounda, Arno Brys, Hilde Ingeborg Sandvold, Joseph Simon, Kevin Coquelard, Mohamed Makhlouf, Mathilde Roussin, Sati Veyrunes, Thibaut Eiferman, Tomer Pistiner e Zoé Lecorgne
partitura musicale originale Jamie XX © da Universal Music Publishing LTD
produzione musicale William Smith
musiche aggiuntive Sergej Rachmaninov
ideazione video Nadir Bouassria
disegno luci e direzione tecnica John Gunning
ideazione costumi Oona Doherty e Lisa Marie Barry
produzione Od Works – Oona Doherty | Torinodanza Festival | Teatro Stabile Torino – Teatro Nazionale | Big Pulse Dance Alliance
con il sostegno del Programma Creative Europe dell’Unione Europea e con il sostegno di Culture Ireland
Fonderie Limone Moncalieri – Sala Grande – Torinodanza
22 e 23 settembre, ore 20.45
Le foto di questo articolo sono di Sinje Hasheider, qui l’articolo scritto dalla fotografa sull’esperienza di lavoro con Doherty in sala prove.