RENZO FRANCABANDERA | All’interno dell’edizione 2023 di BMotion a Bassano del Grappa, all’interno di Operaestate festival, c’è stato un Focus sulla Drammaturgia Contemporanea Tedesca a cura di Monica Marotta, che ha portato gli spettatori all’incontro con i testi di due drammaturghe, una delle quali anche arrivata a Bassano per l’occasione.
È stato il caso del primo degli eventi programmati, ovvero la lettura scenica di Leda Kreider in dialogo con la scrittrice Sasha Marianna Salzmann, presente per il debutto della rassegna, de Nell’uomo delle essere tutto bello: Lena e Tatjana sono nate in Ucraina, ma la dissoluzione dell’Unione Sovietica le ha portate a Jena, in Germania, dove hanno cresciuto le loro figlie e sono diventate amiche. Eppure, a più di vent’anni di distanza, quella terra, amputata come un arto malato, continua a fare male, mentre le figlie si ostinano a ignorarne la storia. Per loro, il passato è passato e non conta più.
Il testo di Sasha Marianna Salzmann edito da Verlag der Autoren (Francoforte s.M.) e qui nella traduzione inedita di Monica Marotta ha avuto una lettura scenica di Federica Rosellini con Michele Eburnea. Qui sarà la festa per i cinquant’anni di Lena, l’occasione per un confronto da sempre rinviato. Perché non basta che un sistema politico sia crollato, non basta aver lasciato la propria terra per gettarsi alle spalle anche la propria storia, le delusioni e le ferite che le donne di questo romanzo portano incise sulla pelle, non basta allontanarsi da un luogo per ridisegnare una nuova geografia dell’anima. Seguendo le vite delle protagoniste, Sasha Marianna Salzmann racconta dei grandi rivolgimenti negli anni dalla perestrojka, fino agli scontri che lacerano oggi le regioni ai confini della Russia.
Due testi sono stati proposti anche dell’autrice georgiana trasferita ad Amburgo Nino Haratischwili, vincitrice di diversi premi di letteratura tedesca ed edita in Italia da Mondadori e Marsilio Editori. L’attrice italiana Matilde Vigna ha dato voce alla protagonista del monologo I barbari, Marusja, una donna migrata che ha dovuto lavorare duramente per ottenere ciò che ora si ritrova, a differenza, secondo il suo punto di vista, dei nuovi rifugiati a cui l’Occidente ormai regala tutto. Attraverso i suoi pensieri, mentre pulisce il centro d’accoglienza in cui sono alloggiati i nuovi rifugiati, emergono i piani sinistri della donna. La piéce teatrale riprende l’opera scritta circa dieci anni fa per il progetto Una Cena Europea al Burtheater di Vienna e in cui la scrittrice affronta la situazione di un’Euopra prebellica ancora una volta da una prospettiva femminile e segnata da migrazioni.
L’ultima tappa del Focus sulla drammaturgia contemporanea tedesca, si concentra su uno degli ultimi e più famosi progetti teatrali di Nino Haratischwili, con un testo, L’autunno dei succubi, interpretato dalle tre attrici che hanno dato vita al progetto: Leda Kreider, Federica Rosellini, Matilde Vigna. Una pièce che si svolge in una villa signorile in una qualche parte del mondo.
Da settimane imperversa una guerra civile. Nessuno sa dove sia il generale, padrone di casa, capo dello stato. Anche tutto il personale è fuggito, tranne la vecchia cuoca, la governante e una giovane domestica. Tagliate fuori dal mondo, le tre donne sono in balia di loro stesse. In breve tempo si sviluppa una lotta di potere tra di loro, dove la più giovane, Luci, diventa un giocattolo nelle mani delle altre.
Abbiamo intervistato Leda Kreider, Federica Rosellini, Matilde Vigna, le tre attrici italiane coinvolte nel progetto.
Come è nata la proposta di Operaestate e perché proprio voi, cosa avete in comune?
MV: Credo Operaestate abbia voluto aprire questa finestra sul mondo partendo da “casa”, e che quindi la scelta dell’ideatore Michele Mele sia ricaduta su tre attrici sì riconosciute a livello nazionale, ma originarie del Veneto. In comune credo avessimo una forte curiosità per il “fuori” e il grande desiderio di lavorare insieme (di nuovo, io e Federica Rosellini, e per la prima volta con Leda Kreider).
FR: Una mattina di dicembre è arrivato il messaggio di Michele Mele che mi proponeva una telefonata, un incontro. Mi ha parlato di Bassano, di OperaEstateFestival, delle mie compagne e devo dire che immediatamente mi è sembrata un’idea meravigliosa. Tre artist* intorno ai trent’anni – mi rifiuto di dirci giovani, perché solo in Italia saremmo considerate tali, tantomeno promesse- comunque, tre artist*, interpreti e autrici, ciascuna con un suo differente posizionamento rispetto a quello che sia l’autorialità oggi e a che tipo di interprete desideriamo essere, ciascuna con un suo mondo di riferimenti, con un suo personalissimo ‘albero genealogico’ creativo. Accomunate da una regione, da una geografia dell’anima, dal Polesine a Bassano fino ai fiumi della mia pianura. Tornare a casa, mi piaceva. Il Veneto è una delle regioni in cui ho lavorato meno, se escludo la fondamentale esperienza asolana con Elisabetta Maschio. Rimettere radici, rimpiantarsi, per un po’, per qualche giorno. Siamo piante nomadi noi, chissà che sostanze potremmo ri-inmettere nel terreno dove siamo nate, in questa sospensione dal nostro peregrinare.
LK: La proposta di Operaestate è nata da Michele Mele e Monica Marotta. Io conoscevo Michele grazie alla collaborazione con Anagoor, e con l’occasione ha voluto coinvolgere attrici del “terriorio” , ma che di fatto fossero anche “partite” dal luogo natìo per poi ritornare dopo un percorso. Io nello specifico sono nata a Marostica e cresciuta a Bassano del Grappa, quindi per me significava poter tornare a casa dopo essermi allontanata lavorativamente per 10 anni. In comune con Matilde e Federica sicuramente il territorio di origine e il teatro; poi il rapporto con i testi, la personalità e presenza scenica che possiede forza, e un desiderio di sposare progetti dirompenti.
Che tipo di testualitá avete incontrato e cosa ha fatto scaturire dal vostro sensibile soggettivo?
MV: Io personalmente mi sono misurata con due testi di Nino Haratischwili, autrice georgiana residente in Germania: “ I barbari: monologo per una straniera” e “ L‘ autunno dei succubi”.
La curatela del focus, affidata a Monica Marotta, ha seguito i fili della guerra, della migrazione e del femminile, tutti temi attuali, pregnanti e viscerali. Ho sentito subito una grande connessione con quelle parole e l’attribuzione a me del monologo “I barbari. Monologo per una straniera” e del personaggio di Rina ne “L’autunno dei succubi” è stata immediata da parte della curatela e ha trovato in me un’immediata ricezione. Sono parole molto dirette e personaggi estremamente concreti, grazie anche alla traduzione limpida di Anna Benussi e Angelo Callipo. C’è un’estrema lucidità, nelle parole, che attraversa questi temi senza mai scadere nella retorica. Un grande pregio di questa autrice, che è molto rappresentata in Germania (invece in Italia è stata tradotta per la prima volta grazie a questo focus). Quindi anche un pregio delle direzioni artistiche tedesche, che fanno uno scouting continuo e non hanno paura di questa forza. (Un po’ di polemica, dai!)
FR: Due autric*: Sasha Marianna Salzmann e Nino Haratischwili. Drammaturgia contemporanea tedesca, dovrei dire in lingua tedesca, forse, più correttamente. La scrittura di entrambe le autric* cola un universo molto più complesso di origini, appartenenze, contaminazioni. Abbiamo avuto fra le mani materiali eterogenei: stralci di un romanzo, un dialogo, un monologo, un testo polifonico. Gli affreschi della sala di Palazzo Sturm sono diventati numi tutelari di un mondo ibrido, vitale, ipertrofico, bastardo, in continua mutazione. I confini della sala così architettonicamente perfetti, i marmi, gli stucchi erano continuamente messi in discussione, ri-immaginati, ri-disegnati, la stessa acustica del luogo, quell’eco che ci seguiva e ci affaticava, era un’occasione. Personalmente per affrontare “Aristocratici” di S.M.Salzmann sono partita proprio da Sala degli Specchi e dal suo modo particolarissimo di risuonare. Ho portato dei kazoo elettrici, amplificati, distorti, looppati, come se potessero diventare un clarinetto contralto della musica kletzmer ma anche come un ghigno, uno scherzo dissacrante, il grido di una scimmia che danza mentre gli affreschi nevicano in coriandoli di luce e colore.
LK: La testualità incontrata era per me nuova, e mi ha messo in connessione con il luogo di confine dell’Europa, ma che faceva riflettere anche sui propri confini interiori. Riflettere sul ruolo dell’artista in tempo di guerra con Sacha Marianna Salzmann e leggere estratti del suo romanzo con lei/lui presente è stata un’opportunità davvero rara. Di solito non succede di poter dialogare con lo scrittore o la scrittrice dei testi che si interpretano.
In me ha fatto scaturire desiderio di voler conoscere ancor più autori/autrici inserite nel panorama tedesco contemporaneo, e non solo; autori/autrici che a partire dalla propria storia personale sanno raccontare e portare storie necessarie nel nostro tempo.
Come è stato il rapporto con la autrice, che avete conosciuto di persona? Pensate che esista uno specifico del femminile teatrale e, se sì, che caratteristiche ha?
MV: L’autrice che abbiamo conosciuto di persona è Sacha Marianna Saltzmann, i cui testi io non ho attraversato personalmente. É stato molto forte però, incontrare una collega, quasi coetanea, che ci ha riportato come funziona il mondo fuori dal nostro piccolo nido. Le differenze col nostro sistema e le sfide vecchie e nuove. Credo che ci siamo sentite molto indietro, per quanto riguarda sia la libertà creativa, sia questo che tu chiami “femminile teatrale” in Italia. Come se uno sguardo femminile stesse emergendo solo ora, anche se ci sono autrici e registe che lavorano in questa direzione da anni, che poi non è una direzione, è un’essenza, uno sguardo sulla società (non riesco a ritrovare delle caratteristiche specifiche di un “femminile teatrale”, è una domanda troppo difficile per me!)
Ma ecco, le autrici e registe di cui sopra, in Italia, si contano sulle dita di una mano. Forse adesso si inizia a dare più spazio alla presenza femminile (penso alle due vincitrici del bando per autori e autrici under 40 della Biennale Teatro) forse perché noi stesse in maggior numero ne siamo consapevoli, che il nostro sguardo è importante. Sta ai direttori (tutti uomini i direttori dei teatri nazionali) capire che è fondamentale. Vorrei aggiungere che nei lavori che io ho affrontato, i due testi di Nino Haratischwili, questo femminile è coinciso col diverso nel senso di straniero. Quindi direi che questo femminile teatrale non ha paura del diverso. Forse allora, se aprire al “femminile teatrale” significa aprire al diverso, è veramente quello di cui abbiamo bisogno oggi.
FR: E’ stata un’opportunità incontrare Sasha, un regalo: per la sua generosità intellettuale e umana, per la particolarità del suo sguardo, per l’occasione che abbiamo avuto di comprendere più profondamente il testo che aveva scritto attraverso una via empatica, aerea, non tangibile. Un testo è anche la forma degli occhi del suo autore, la consistenza della sua pelle, per non parlare del suo odore, il modo in cui cammina, l’accento con cui parla, ciò di cui ama parlare, quello che eviterà di dire, le piccole ossessioni, tutto questo racconta del testo, dei suoi riferimenti, del mondo che lo ha accompagnato dalla prima parola fino all’ultima stesura. Poterci avere a che fare è una straordinaria occasione per la sincerità del lavoro, per la comprensione viscerale. Sasha mangiava un gelato prima che il reading di “Aristocratici” iniziasse, sotto gli affreschi di Palazzo Sturm, appoggiat* a una parete di marmi intagliati. Era una coppetta, era imbarazzat* e felice, silenzios*. Stava. Ci accompagnava. L’ha offerto a me e a Michele Eburnea, il mio splendido compagno di lavoro, abbiamo rifiutato. Eppure penso che i due protagonisti di “Aristocratici” mentre il mondo crollava probabilmente avrebbero mangiato proprio quel gelato, da quella coppetta.
Per il resto, non credo che esista uno specifico femminile teatrale, assolutamente. In questo caso non sarebbe comunque giusto usarlo per Sasha e il suo lavoro, ma no, in assoluto. Come non parlerei mai di un maschile teatrale. Credo però nella necessità di moltiplicare i punti di vista, di spostare le narrazioni, di aprirle, di raccontare i corpi facendoli attraversare da sensibilità di genere diverse, da storie diverse, di portare al centro ciò che è stato relegato in territorio liminale per troppo tempo. Ogni donna è una cascata, una valanga di differenti identità, di generi diversi, di specie diverse, così come lo sono gli uomini, credo che il concetto di binarismo di genere possa essere ampiamente sorpassato. La sola differenza è che alle donne è stato, e purtroppo è ancora, spesso preclusa la narrazione, l’autorialità, la direzione, la memoria. E’ necessario lavorare e combattere perché questo cambi.
LK: Credo ci possa essere sempre più una ricerca e un ascolto rispetto all’inclusività tout court, non solo riguardo al femminile, non solo riguardo al gender fluid. E forse proprio la caratteristica dell’ascolto riguarda nello specifico la sfera del femminile.
Siete interpreti e anche autrici nei vostri percorsi performativi personali. A cosa state lavorando per la prossima stagione?
MV: Oh, grazie di questo piccolo spazio pubblicità: io sono al mio secondo lavoro da autrice e interprete, che debutta per ERT al teatro delle Moline il 28 novembre (fino al 10 dicembre). Il titolo è Chi resta, in scena con me c’è Daniela Piperno e la regia è condivisa con Anna Zanetti! Vi aspettiamo.
FR: Come interprete sto per iniziare a girare il film di un autore che amo molto e di cui sarò la protagonista femminile.
Come autrice continua la mia collaborazione con il Piccolo Teatro di Milano di cui sono artista associata in qualità di regista e drammaturga e per cui sto scrivendo un nuovo lavoro. Contemporaneamente è in preparazione una coreografia, un passo a due, di cui sono autrice e danzatrice insieme a Francesca Zaccaria, Nao nao che debutterà in forma di primo studio a ottobre per Aldes e Ert e un altro lavoro, di cui non posso ancora dire, per un’istituzione importante che mi chiederà di unire, con grande felicità, regia e pedagogia. E poi, in ultimo, spero che questa esperienza bassanese coltivata con Matilde e Leda, questo viaggio in seno a Opera Festival, sia solo l’inizio di un più lungo volo.
LK: Sto lavorando A un progetto personale come attrice e regista per un debutto tra il 2024 e 25. Si tratta di un testo contemporaneo inglese, di un’autrice importante poco frequentata in Italia.