RENZO FRANCABANDERA | ll Milano off Fringe festival, di cui si è svolto nelle giornate del 29-30 settembre/1 ottobre il primo dei due weekend su cui è articolato il programma, in questa edizione si è arricchito di numerosi patrocini di vari municipi della città ma anche di nuovi sedi e luoghi di incontro.
Il cuore pulsante del festival è il Mercato Centrale, una vivacissima struttura prossima alla Stazione Centrale di Milano, diventata da un po’ di tempo un luogo frequentato, che offre gastronomia tradizionale e street food, uniti a sale riunioni e piccole piazzette interne adatte all’incontro tra persone.
Tutte queste caratteristiche ne hanno fatto il luogo ideale sia per la biglietteria che per i vari talk che hanno occupato le mattine del festival, come quello che ha visto coinvolti, oltre ai direttori artistici del Fringe Milano off Francesca Vitale e Renato Lombardo, anche i direttori di alcuni dei principali Fringe festival del mondo che hanno offerto agli artisti idee e occasioni di confronto sul modo corretto con cui proporre in ambito internazionale il proprio lavoro: dal direttore di Avignone off a quello del Fringe di Londra fino al Fringe ucraino, l’incontro tenutosi sabato 30 settembre è stato davvero ricco e partecipato, con tanti artisti, quelli coinvolti nel festival ma anche altri arrivati qui per l’occasione, a confrontarsi sul tema della promozione e della circuitazione dei lavori di teatralità indipendente.
Da pomeriggio a sera, invece, la full immersion nel festival, per gli appassionati di teatro, è stata totale: venues disseminate in tutta la città per dare davvero a ogni cittadino la possibilità di fruire di occasioni d’arte, anche nelle periferie.
Tanti i luoghi di interesse coinvolti: fra questi la sera del 29 abbiamo visitato lo Spazio Tadini per due proposte che si susseguono come nelle altre venues del festival, in cui a distanza di poco tempo, come in tutti i Fringe, gli artisti vanno in scena e poi liberano il palco per l’esibizione successiva.
Spazio Tadini è uno dei luoghi storici per l’arte a Milano, una casa-museo aperta nel 2006 su desiderio di Francesco Tadini (regista, autore televisivo e fotografo) di ricordare il padre Emilio: da allora è gestito insieme alla moglie Melina Scalise (giornalista professionista, psicologa e curatore d’arte). Dal 2008 fino al 2019 viene aperta l’associazione Spazio Tadini che vede attorno al centro culturale artisti di varie discipline e il luogo diventa uno dei centri culturali più vivaci della città di Milano, aggiungendo la professionalità di Federicapaola Capecchi, pubblicista, curatrice di fotografia e coreografa.
Post-Apocalyptique Clown Show è una visual comedy con musica dal vivo, un’esperienza immersiva per il pubblico che si trova catapultato fin dall’inizio in un futuro post-apocalittico. Lo spettacolo inizia infatti con gli spettatori radunati fuori dall’ambiente della rappresentazione, che vengono invitati ad accedere da un professore pazzo che, più con gesti che con parole, spinge gli spettatori a entrare nel suo bunker, informazione che viene fornita agli spettatori con bigliettini esplicativi all’ingresso.
Qui lo scienziato pazzo ha accumulato i personali generi di conforto per la sopravvivenza nell’ambiente ostile, ovvero libri, qualche bottiglia di vino, il tumulo in cui ha seppellito il suo amato cane che vorrebbe cercare di riportare in vita, e dischi di tango.
In questa scena movimentata ma drammaturgicamente in stasi viene a creare scompiglio una prima figura, che dal punto di vista della vicenda è un po’ figura ancillare, come nella tradizione di Don Chisciotte e Sancho Panza o forse più propriamente Frankenstein Junior, un po’ alter ego dialogico come nel caso beckettiano di Vladimiro ed Estragone. In questo mondo le parole sono quasi scomparse, si parla di rado, in un grammelot a malapena comprensibile, per mettere il pubblico in ogni nazione nella stessa condizione.
I due hanno da poco iniziato a definire una relazione di reciproca conoscenza – ovviamente in un codice tutto comico e di teatro fisico – e nello scenario assurdo irrompe una terza figura, possibilmente ancora più aliena della seconda: asmatico, stranissimo, ectoplasmatico e armato di strumento musicale. Le gag si moltiplicano in un gioco a tre (Luigi Aquilino, Andrea Camatarri, Matteo Chippari sono gli interpreti, con una sorta di regia collettiva coordinata dal primo): ne risulta una formula scenica piuttosto originale, essendo il codice del comico assurdo inspiegabilmente poco praticato in Italia, mentre all’estero gode di grandi fortune.
La compagnia stessa nel suo territorio di radicamento a Novara, dove collabora al progetto LaRibalta, ha iniziato a organizzare anche un festival dedicato a questo genere espressivo.
Post-Apocalyptique Clown Show, che di fatto debutta al festival, ha spunti peculiari di originalità, come si diceva, e ha bisogno di pochi aggiustamenti di ritmo per garantire alle sequenze di fluire l’una nell’altra nel modo più naturale possibile ma il lavoro è già a buon punto: i talenti in scena si amalgamano in modo piacevole, per altro introducendo un codice musicale eseguito dal vivo che si fa apprezzare per freschezza.
A questo lavoro segue Blasé, monologo scritto e diretto da Luca Zilovich e affidato nell’interpretazione a Michele Puleio.
Vuoto lo spazio scenico, eccezion fatta per un grande pacco/scatola che domina al centro della scena, scena che verrà poi in seguito definita nei suoi passaggi drammaturgici dal disegno luci di Enzo Ventriglia.
La vicenda è quella di un uomo affetto da oniomania che, armato, prende un magazzino di smistamento tipo Amazon in ostaggio. Blasé, dice la compagnia, vuole indagare la tendenza della società a far apparire ogni cosa di colore uniforme, di gusto che non sa di niente, uguale a mille altre cose. Come in Un pomeriggio di un giorno da cani, il protagonista cerca di dare una scossa alla propria vita e forse implicitamente vorrebbe che le vicende assumessero un qualche contorno finanche rivoluzionario. Ma è ancora possibile fare la rivoluzione prendendosela con questo o quel magazzino, con altri operai di fatto vittime del sistema produttivo stesso, per provare a riscattare la propria e le altrui esistenze da un destino miserabile? Dall’inizio dell’atto terroristico, la narrazione passa in mano agli ostaggi stessi, cercando, come nelle precedenti creazioni di Officine Gorilla, di non definire in modo manicheo cosa è bene e cosa è male ma di leggere la complessità del mondo in cui siamo e, anche sotto altri aspetti, la frustrante impossibilità di pensare organicamente di poter cambiare il sistema dal basso.
Insomma, le farfalle possono sbattere a lungo le ali, ma non è detto che poi dall’altro lato del mondo si generino tornado, mentre i battiti si fanno sempre più affannosi e stentati.
Puleio entra ed esce da tutta una serie di personaggi che a volte hanno una cifra più drammatica, altre hanno invece un piglio più ironico, popolare, come d’altronde sono i personaggi narrati, appartenenti tutti più o meno alla nuova classe degli sfruttati: finanche i manager altro non sono che immigrati che hanno fatto una piccola carriera e che – come nella migliore tradizione – diventano spesso più aguzzini di chi li precedeva nel ruolo spietato di decidere chi sta dentro e chi sta fuori, e a quali regole.
È un mondo che cerca di sfuggire alla sua omologazione e al suo destino. Da questo punto di vista la drammaturgia, che ricalca lo schema ampiamente praticato del monologo a più personaggi affidati uno dopo l’altro alla verve mimetica dell’interprete, ha diversi spunti interessanti. Potrebbe essere utile rompere lo schema che li propone in galleria, per creare una polifonia non composta solo dall’avvicendarsi di piccoli assoli.
L’interprete ha una capacità di immedesimazione e di cambio dei paradigmi recitativi adatto a questo genere di lavori, con un timbro vocale intenso, talvolta sfruttato più nelle tonalità forti, cosa su cui si potrebbe utilmente lavorare per trarre nelle varie atmosfere ambientali ulteriori sfumature.
Chiudiamo questo primo sguardo sul festival con una terza creazione andata in scena negli storici spazi della Umanitaria, una storica associazione filantropica milanese che affonda le radici a fine ottocento e che da allora è impegnato nella formazione e nel diritto alla conoscenza di chi ha più bisogno, sia nel capoluogo lombardo che in altri progetti in giro in Italia e nel mondo.
La bellissima sede si trova di fronte al tribunale di Milano e a una serie di spazi dedicati alla polifunzionalità fra cui uno spazio teatrale che in questi giorni è stato occupato dal Fringe.
“Venerdì, i carabinieri, al termine degli accertamenti sulle impronte digitali, avevano identificato il rapinatore morto: un pregiudicato noto alle forze dell’ordine, Claudio Foschini, 61 anni”. È una notizia del 2010, che racconta la fine di un vita criminale durante un conflitto a fuoco con una guardia giurata. Ma Foschini non era un criminale qualunque, e 13 anni dopo la sua morte, dalle sue memorie autobiografiche nasce Un estremo atto d’amore, spettacolo che racconta la storia del ladro e rapinatore, romano di borgata, nato nel dopoguerra al Mandrione, in una situazione ambientale un po’ alla Brutti sporchi e cattivi. Il ragazzo nasce in un contesto degradato, figlio non voluto, e viene pasolinianamente marchiato dal contesto che lo segna. Il suo è un piccolo romanzo criminale, alla cui stesura lui stesso effettivamente si dedicherà in modo maniacale e con ricchezza di dettagli narrativi riempiendo molti quaderni a quadretti nelle lunghe giornate della prigionia, divenuti materia utile per lo spettacolo.
La vita di questo personaggio folgorato in età matura da teatro e scrittura passerà per buona parte in galera, partendo dal carcere minorile di Porta Portese, nel 1965, a 16 anni, per poi girare molte altre carceri d’Italia con l’evolvere della sua carriera criminale: Regina Coeli, Rebibbia, Montefiascone, Avezzano, Rieti, Pescara, Palermo. Foschini racconterà nelle sue memorie l’Italia vista dal lato delle carceri, nel momento stesso in cui la società chiedeva la rivoluzione fuori, la droga inondava le città e la criminalità si organizzava in forme sempre più dure e aspre, quasi in un sistema dentro il sistema.
La storia è un po’ alla Edward Bunker: Foschini in carcere partecipa a rivolte e soprusi ma anche al primo convegno sulla detenzione tenuto a Rebibbia nel 1984, che si conclude con la messa in scena dell’Antigone di Sofocle da parte dei detenuti.
Tante volte si dice che il teatro cambia la vita: forse non è sempre vero o non è vero in assoluto, o forse non è più vero come forse lo era un tempo quando esistevano solo media analogici; “un estremo atto d’amore” sono quindi le parole che lo stesso Claudio usa per descrivere la sua esperienza con il teatro, forse l’unico spiraglio di luce dentro una vita che finirà, come prevedibile, con un omicidio.
Da un progetto di Viso Collettivo, vincitore del Premio Lucia 2020, nasce lo spettacolo, produzione della Compagnia GenoveseBeltramo e di Viso Collettivo affidato a Riccardo Salvini l’attore, e ai musicisti Luca Morino e Federico Pianciola, anch’essi sul palcoscenico in uno spazio sostanzialmente vuoto ma a suo modo multimediale.
La drammaturgia è fatta di tre partiture che si incrociano: una attorale, una musicale eseguita dal vivo con la chitarra, e una sonora, agita da tablet dalla terza presenza in scena, che crea un landscape di voci, suoni, memorie che abbracciano lo spettatore perché create con una tecnologia di tipo surround che avvolge la platea. Anche il recitato rompe con frequenza la quarta parete per stabilire relazione con la sala e creare un rapporto fra la vita libera che si svolge al di qua e al di là del palcoscenico, e la vita reclusa che si chiude in pochi metri quadri.
La creazione ha una componente sonora interessante e viva, con la parte live di grande pregevolezza. Più statica e forse registicamente esile la presenza in scena dell’artista multimediale. La vicenda e la scrittura hanno alcuni momenti avvincenti ma anche un bisogno di trovare un ritmo e un equilibrio fra parola e suono a cui lavorare nelle prossime repliche, sporcando un po’ il codice per far respirare non solo nel sonoro ma anche dal vivo il drammatico di questa esistenza a suo modo dannata e già condannata prima ancora di svolgersi.
POST-APOCALYPTIQUE CLOWN SHOW
BLASÉ
testo e Regia Luca Zilovich
con Michele Puleio
luci Enzo Ventriglia
musiche Raffaello Basiglio
costumi Alice Rizzato
produzione Officine Gorilla e Teatro della Juta
UN ESTREMO ATTO D’AMORE
con Riccardo Salvini, Luca Morino e Federico Pianciola
regia Viren Beltramo
con le voci di Andrea Murchio, Chiara Cardea, Adriano Festa, Bianca ed Elio Genovese
produzione GenoveseBeltramo e VisoCollettivo