RENZO FRANCABANDERA | Raccontiamo qui altri due lavori visti al Fringe Milano Off, evento che occuperà spazi e teatri milanesi anche in questo weekend (qui il programma).
Il primo è Fuga da Mozart, spettacolo in cui azione scenica e musica si fondono secondo stilemi di diversa matrice. La produzione di Teatro a Canone, è interpretata da Anna Fantozzi, Lucio Barbati, Luca Vonella (quest’ultimo cura la regia), andato in scena nello spazio Slow Mill al quartiere Isola. Gli spettatori al loro ingresso in sala vedono una sorta di palcoscenico bianco vuoto, con quattro sedie e una serie di manichini stesi nello spazio dell’azione scenica.
Un direttore d’orchestra dall’aria strampalata e un trucco che rimanda a La classe morta di Kantor (come pure i musicanti manichini con cui si affanna), dispone gli orchestrali fantocci sulle sedie. La musica che di qui in avanti accompagnerà lo spettatore è quella di Mozart, come il titolo dello spettacolo stesso lascia intuire. In realtà prima dell’entrata in sala, il pubblico viene informato delle suggestioni originanti l’impulso creativo e legate agli scritti della poetessa austriaca Ingeborg Bachmann, che nel dopoguerra smise di comporre poesia, focalizzando la sua ossessione sulla musica di Mozart. Scrisse a metà degli anni ’50 un saggio dal titolo Musica Impura che conteneva, fra gli altri, due scritti: Un foglio per Mozart e Musica. Quest’ultimo in particolare poneva una domanda: che cos’è la musica? Una domanda esistenziale e, forse, politica, sostiene la compagnia, con cui inizia anche questo spettacolo.
Lo spettacolo vuole essere un sogno che mescola l’opera e la vita del grande musicista in una sorta di percorso iniziatico per lo spettatore e che rimanda poi alla più massonica ed esoterica fra le sue creazioni, Il flauto magico, alla cui trama e simbologia si riferisce tutta la seconda parte della creazione, con i suoi altrettanto fantastici e misteriosi personaggi. Fra stilemi di teatro danza anche di ispirazione orientale, linguaggio dei burattini, marionette, maschere e rimandi alle simbologie della filosofia naturalista presocratica con gli elementi aria, acqua, terra e fuoco, si dipanano in gemmazione una serie di sequenze narrative.
Queste culminano appunto nel rimando alla vicenda del Flauto Magico con i due protagonisti innamorati che varcano la invisibile soglia del percorso dell’illuminazione. Lo spettacolo finisce proprio con alcune candele che restano accese dentro uno spazio scenico che riporta all’ottagono, figura poligonale ricca di significati esoterici, presente anche nella cultura buddhista con il dharmacackra, costituito da otto raggi che rappresentano il Nobile ottuplice sentiero, la ruota che Buddha mette in moto per rivelare ai suoi discepoli le verità.
La dimensione onirica ma al contempo inquietante e la gestione dello spazio nello spettacolo funzionano, con atmosfere teatrali che rimandano quasi a Bernhard. Vivi i costumi di Anna Fantozzi.
I molti codici teatrali utilizzati, dalla maschera ai burattini, dai costumi alle ibridazioni fra linguaggio per giovanissimi e pulsioni adulte, finiscono per creare invece stimoli a tratti ridondanti, il cui sfoltimento preserverebbe compattezza e maggiore fruibilità della creazione scenica. Certamente l’idea del confondere e sconcertare lo spettatore dentro un complesso sistema simbolico è un obiettivo del team di lavoro, risultato ottenibile però anche con scelte più chiare sul pubblico cui l’operazione si rivolge. Da ciò conseguirebbero decisioni registiche fra taluni registri decisamente rivolti a un pubblico anagraficamente più giovane e altre suggestioni incompatibili con questo pubblico di destinazione. Qualcosa in meno per ricavare qualcosa in più.
Si rivolge a ispirazioni letterarie, e in particolare a La fattoria degli animali di George Orwell, Open mic Farm, scritto e diretto da Gianluca Ariemma, spettacolo Vincitore della XXIII Edizione di Fantasio Festival di Regia e affidato nell’interpretazione allo stesso Ariemma oltre che a Giulia Messina (fresca di premio Hystrio alla vocazione), e Salvo Pappalardo, un terzetto di interpreti giovani ma già capaci di sfumature complesse.
Il regista e drammaturgo Ariemma scompone il testo orwelliano, smontandolo nella sua dimensione più ampia e narrativa per ricavarne un estratto che si concentra sulle dinamiche di potere, sulle lotte intestine, sull’homo homini lupus. Lo spettacolo è quindi rappresentazione del teatrino del palazzo, delle lotte e delle ipocrisie, della svendita dell’interesse pubblico in nome del risultato privato e personale. Il codice della stand Up comedy con il relativo coinvolgimento del pubblico, nella sua dimensione finta da ripresa televisiva, crea uno spazio di rappresentazione straniante: lo spettatore avverte in modo chiaro il dramma della falsità della narrazione politica, affidata a chi ne fa risultato personale ed egemonia sugli altri a tutti i costi.
Lo spazio scenico, al cui disegno scenotecnico e illuminotecnico collabora Carmine Covino oltre al regista stesso, ci porta in un ambiente neutro, di luci fredde: qui, dopo un prologo, che vede i tre interpreti mascherati da maiali ritornare brevemente sulla trama del capolavoro orwelliano spiegando le ragioni del conflitto interno alla fattoria, si viene proiettati dentro un farsesco talk show televisivo di sapore contemporaneo e in cui il linguaggio vuole essere politicamente scorretto. I due astuti maiali antagonisti, che si contendono il controllo politico della fattoria, espongono i propri programmi nel pieno della campagna elettorale, mediati da una conduttrice, che rimanda alle protagoniste dei palinsesti televisivi trash dei giorni nostri.
Il testo cerca una causticità che deve trovare una sua finalizzazione compiuta dentro un’omogeneità stilistica con il resto della drammaturgia; questa nella seconda parte aderisce in modo maggiore alla vicenda orwelliana, affidata all’interpretazioni dei tre giovani attori, dotati comunque di strumenti del mestiere di qualità, che vengono offerti in una recita ora più espressionista ora quasi post drammatica.
Il tema del governo dei tanti nel suo tragico e assai frequente passaggio alla dittatura è un pensiero quanto mai attuale che rende lo spettacolo interessante. La lotta fra i contendenti non ammette soluzione pacifica: uno dei due dovrà soccombere.
L’operazione ha una sua nitida organicità, fatta di gesti, parole e sequenze sceniche che rendono la riscrittura, operazione mai facile nella trasposizione dalla letteratura al teatro, comunque apprezzabile. Qualche utile ulteriore accorgimento drammaturgico può favorire al meglio, dopo questo primo debutto con il respiro del pubblico, lo sviluppo del conflitto fra i due antagonisti, che si contendono il governo della fattoria. Lo spettacolo è in scena anche nel prossimo weekend nella programmazione del Milano Off Fringe Festival presso il Teatro Officine Puecher.
drammaturgia L. Vonella e C. Crupi
interpreti Anna Fantozzi, Lucio Barbati, Luca Vonella