ELENA SCOLARI | In giornate di profondo sconvolgimento per i fatti che stanno accadendo in Israele, ancora più forte batte il bisogno di ragionare su paesi che conosciamo poco, su Stati dove non si può esprimere il proprio parere liberamente e sul valore innegabile e indiscutibile della democrazia.
Ecco perché dal festival Colpi di scena a Forlì porto la convinzione di dover studiare di più la Russia e la sua storia, andando oltre la passione per Dostoevskij (che dice comunque molto, su quel paese, anche oggi) e magari proprio a partire dal lavoro di Teodoro Bonci del Bene che in Come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la Russia (bellissimo titolo) solo in scena, vestito casual con una berretta in testa, inizia sciorinando un elenco di artisti russi “banditi” che non possono tornare nel proprio paese – proprio per i motivi di cui sopra – e intreccia i testi di stand-up di uno di questi a poesie di Ivan Virypaev (attore, drammaturgo, regista e sceneggiatore polacco di origine russa) e a citazioni di Puskin. Bonci del Bene ha vissuto per alcuni anni in Russia e nello spettacolo racconta anche la sua esperienza, in maniera frammentaria, forse un po’ sfuggente ma rendendo bene lo stato d’animo di chi vorrebbe vivere una vita normale, facendo dell’arte il proprio mestiere. Una sequenza di foto di quegli anni giovanili scorre sullo schermo alle spalle dell’attore, un po’ album, un po’ diario privato.
In questa cornice si inserisce il racconto del Giovane Artista, un personaggio simbolo: nato in un paese poverissimo, è riuscito a diventare un comico di successo. Denunciando le condizioni dei villaggi come quello in cui è nato, dileggiando il presidente e il suo entourage, potrebbe essere colpito duramente dalle forze che reprimono la libertà di espressione, rischiando la vita ogni volta che sale sul palco.
Nonostante il titolo, in realtà l’autore e attore si preoccupa eccome, cerca di capire, di informarsi e di informare noi, andando alle radici letterarie russe: la citazione dal romanzo di Puskin Il negro di Pietro il Grande riporta alle origini africane del celebre scrittore, infatti il bisnonno fu deportato in Russia come schiavo. È un particolare poco noto – e che io ho scoperto grazie alla lettura di Il bottone di Puskin di Serena Vitale (ed. Adelphi) – ma molto importante per spiegare la sua figura: in lui le labbra carnose, la carnagione scura erano tratti esteriori ma gli accessi d’ira e il temperamento segnavano, secondo i connazionali russi, il risvegliarsi del sangue di chi si ribella alla schiavitù.
E Puskin non andava per il sottile nelle sue critiche in versi allo zar. I caratteri che scartano dalla linea segnata, che la discutono, quando va bene danno fastidio, quando va male fanno paura e rischiano grosso.
La divagazione appena fatta serve a dare ragione di uno stile di scrittura e di raccolta di elementi che Bonci del Bene maneggia con intelligenza, evidenziando una qualità di drammaturgo non comune e che mostra una cifra innovativa nella costruzione della curva teatrale. Un poco di linearità in più permetterebbe allo spettatore di non perdere mai il filo. Rosso e russo.
Chiudiamo questo terzo excursus da Colpi di scena con qualche nota tratta dall’incontro “I mestieri del teatro, oggi” preparato e coordinato da Renata Molinari alla presenza delle compagnie in programma nel festival.
In vista dell’incontro la prof.ssa Molinari ha inviato alle compagnie un questionario con domande riguardanti “la locandina” dei loro lavori, riferendosi cioè ai singoli ruoli e quindi alle singole competenze che concorrono alla realizzazione dello spettacolo. Il motivo di questa indagine è legato – secondo l’attento sguardo di R. Molinari – ad alcuni cambiamenti che si stanno registrando nel teatro degli ultimi anni: l’importanza dei ruoli tecnici come i disegnatori di luci e di suono (quelli che in italiano si chiamano light and sound designer), dovuta anche alla presenza massiccia di tecnologia; la dimensione di “gruppo”, tornano e rinascono infatti i collettivi; il racconto che di sé gli artisti fanno, in relazione ai punti precedenti.
Si è parlato della differenza tra arte, artigianato e mestiere, ricordando quanto diceva Eugenio Barba a proposito delle due gambe necessarie al fare teatro: quella emotivo/politica e quella economica. Sono le stesse gambe che reggono ancora oggi.
A proposito del concetto di gruppo, Emanuele Aldrovandi ha sottolineato come ci siano state esperienze di gruppi creatisi prima intorno al fatto di essere amici e di voler stare insieme e che non sempre hanno portato a creazioni di livello professionale proprio perché mancavano alcune competenze personali, e altri gruppi che invece si sono costruiti intorno all’unire le diverse capacità di ogni membro nell’ottica di ricerca del saper fare. Nicola Borghesi di Kepler-452 ha osservato che nella sua compagnia la stesura della locandina non è sempre facile perché la costruzione dello spettacolo fonde la collaborazione di ognuno senza che sia chiaro l’esatto apporto che ciascuno ha messo per arrivare al lavoro compiuto. C’è anche una quota di autoformazione, per esempio nell’imparare a usare certi programmi informatici (i software) anche da parte di attori o registi che acquisiscono capacità tecniche con l’effetto di immaginare il risultato scenico in un modo nuovo.
La somma delle singole competenze, di ogni ordine, non forma però la “competenza teatrale” – come sosteneva Grotowski – osserva Molinari, cioè l’anello che le unisce tutte è la cifra che rende possibile la creazione teatrale.
Yvonne Capece racconta di aver fatto rispondere un’intelligenza artificiale alle domande del questionario, scoprendo – dopo averla istruita – che lei avrebbe risposto nello stesso modo. Ma ne siamo proprio sicuri? Se si fosse messa lei a pensare e scrivere per rispondere forse sarebbe stata interrotta da una telefonata, da un pensiero, da un caffè preso con qualcuno che le avrebbero dato suggestioni non prevedibili, chissà.
Sono queste incognite, questi imprevisti (la fiducia nel libero arbitrio, alla fine) che rendono ancora avventuroso il mestiere del teatro, per chi lo fa e per chi lo guarda.
COME HO IMPARATO A NON PREOCCUPARMI E AD AMARE LA RUSSIA
di e con Teodoro Bonci Del Bene
aiuto regia e aiuto drammaturgia Francesca Gabucci
costumi Medina Mekhtieva
video Vladimir Bertozzi
foto di scena e locandina Federico Pitto
grafica Claudio Fabbro
produzione Accademia Perduta/Romagna Teatri
si ringraziano Andrea Dok Ceccarelli, Marco Mantovani e Letizia Quintavalla per la collaborazione artistica