ANNA CRICHIUTTI | Siamo nati per dimenticare. Non sembra ironico che ciò che consente alla memoria di svolgere la sua funzione sia proprio la sua stessa capacità di eliminare il maggior numero di informazioni?
Memoria e oblio sono anche fondamento del nuovo lavoro firmato Rubidori Manshaft, alias di Roberta Dori Puddu, con cui l’artista firma l’attività legata al teatro e alla performance.
Proprio in questi giorni, all’interno trentaduesima edizione del FIT — Festival Internazionale del Teatro di Lugano diretto da Paola Tripoli, rassegna che dal 29 Settembre all’8 Ottobre ha presentato la sua proposta attraverso lavori di artisti provenienti da sei diversi paesi del mondo, nei vari spazi teatrali del LAC — Lugano Arte Cultura, Manshaft ha debuttato con la regia teatrale di Alcune cose da mettere in ordine di cui firma anche il testo, insieme ad Angela Demattè.
Alcune cosa da mettere in ordine è il risultato di un lungo periodo di lavoro in case di cura per persone anziane. Intreccia diversi linguaggi artistici attraverso i quali Manshaft ha fatto ricerca, all’interno di un progetto più ampio attorno al tema della memoria.
Lo spettacolo racconta di una donna poco più che sessantenne e del suo incontro con l’angoscia e la paura che si prova di fronte alla progressiva perdita della propria memoria che diventa malattia: un tema che affascina in senso lato e cattura ormai molti tra gli artisti della scena contemporanea.
Per ridurre l’imponenza di una sala da più di mille posti, una tribuna prefabbricata smorza la maestosità di un boccascena di 9 metri d’altezza.
Uno schermo di dimensioni poco più contenute separa il pubblico dalla scena, che all’inizio si intravede soltanto; alle sue spalle uno spazio che ricorda un’interno metafisico in attesa di essere arredato: al centro la pavimentazione è bianca, attorno una cornice color tabacco, gli oggetti di scena costeggiano il margine in un “fuori scena” esposto.
Lo spazio/scena prende forma fin da subito attorno alla duplicità che interconnette, seppur mantenendoli separati, il mondo esterno – ossia quanto accade al di fuori del sé – e l’universo della mente, abitato da forze che ne alterano facilmente la percezione: la distanza tra i due mondi è rappresentata dal video che dà accesso al mondo “reale”.
Il corto iniziale descrive la protagonista, Anna (Roberta Bosetti in scena), mentre si veste nella sua camera da letto anni ’40 e si prepara a uscire. Indossa un abito estivo di colore rosa chiaro, raffinato, lungo fino a coprire le ginocchia; sul tono una camicia con sfumature di colore vario; sopra un cappotto scuro e un foulard di seta blu. Quel sottofondo muto denuncia solitudine; poi il mancato incontro telefonico con l’amica che si risolve in un messaggio in segreteria telefonica.
Lo spazio teatrale diventa lo spazio della mente di Anna, suddiviso in spazio della memoria (la cornice color tabacco) e spazio del futuro (di colore bianco, che riflette e respinge, è lo spazio della paura della malattia). Il presente irrequieto della scena riflette il tentativo di sopravvivenza di una mente che guarda ai ricordi passati — esposti attraverso gli oggetti in cifra scenografico-drammaturgica — temendo un futuro che sembra approssimarsi per distruggerne ogni testimonianza. L’attrice si muove da una parte all’altra della scena, dal racconto di un ricordo al terrore annientante di perderlo, da un registro a tratti ironico e divertente, vivace e veloce a una esposizione più lenta e riflessiva nella voce tremante di chi è catturato dal terrore di dimenticare e non esistere più.
Giacomo (Giacomo Toccaceli in scena), figura kafkiana a tratti metaforica e a tratti uno dei pochi rimandi al mondo reale, indossa una divisa color tabacco a incarnare la forza di volontà della protagonista ancora capace di riordinare i ricordi.
Il progetto sonoro di Federica Furlani accompagna il crescendo emotivo: contrappone da un lato suoni sfuggenti e inafferrabili, colpi di archetto fugaci e rumori al limite della percezione; dall’altro frequenze basse e ripetute capaci di far vibrare il prefabbricato, onde lunghe e profonde che indagano il sentimento del terrore della protagonista, inerme, di fronte al nulla che inghiottisce sempre più spazio nella sua mente.
Il disegno luci di Elena Vastano all’inizio consente una buona visibilità a tutta la scena, compreso il pubblico, per poi comprimersi via via verso il centro: cattura lo spettatore conducendolo verso gli abissi del sentimento, dove l’illuminazione si fa compressa e concentrata, alternando i toni caldi di un passato che ancora rassicura a bianchi freddi da obitorio.
Lo stratificato disegno drammaturgico accompagna la recitazione di Roberta Bosetti, che porta il sentire di Anna oltre il suo personaggio. Indaga e coinvolge la sensibilità del pubblico attraverso un crescendo recitativo che culmina in un sussurro di preghiera: insiste con disperata innocenza — cito a memoria — “fa che non capiti a me, non a me, non a me, fa che non capiti proprio a me”, lasciando lo spettatore indifeso di fronte all’inevitabilità di un simile terrore quotidianamente custodito in un segreto rimosso.
ALCUNE COSE DA METTERE IN ORDINE
concetto e regia Rubidori Manshaft
drammaturgia Rubidori Manshaft, Angela Dematté
con Roberta Bosetti, Giacomo Toccaceli
assistente al progetto Katia Gandolfi
assistente alla regia Ugo Fiore
short film e montaggi video video Fabio Bilardo
video interno (La Residenza – Malnate) Fabio Cinicola
scene e costumi Roberta Dori Puddu
disegno luci Elena Vastano
progetto sonoro Federica Furlani
con contributo video di uno degli ospiti della casa di cura Centro Polis LIS
e con (in ordine alfabetico, assenti o presenti in video) Maria Teresa Agustoni, Anna Augustoni, Edy Augustoni, Graziano Bianchi, Ebe Bonacina, Lucilla Mondelli Campana, Giovanni Campi, Silvana Casanova, Marita Cantoni, Silvana Castelletti, Lilli Graf, Annarosa Fontana, Germana Gadoni, Fernando Gadoni, Giuseppe Germano, Anna Ghidinelli, Valentino Di Gianantonio, Giancarlo Guerra, Jolanda Jankowska, Ombretta Laurenzano, Rina Lorenzi Cioldi, Alessandro Loss, Albertina Manfredi, Sandra Ossola Rabuffetti, Silvia Pedroncelli, Dolores Poretti, Natalina Quadri, Naida Riva, Attilio Rotta, Livia Rovelli Roccon, Fernanda Sala, Flavio Sala, Marysa Sala, Luisita Solcà, Paolao Solcà, Renato Olindo Soldini, Renata Tacchella, Emilia Vinciguerra, Angela Zonca, Angelo Zonca
collaboratori al progetto Cristina Widmer (specialista in attivazione Centro Polis LIS), Donatella Botta Maffia (struttura Centro Polis LIS) Patrizia Nalbach, Hugo Arias (infermiere Centro Polis LIS), Monica Antonello, Matteo Orefice, il team Animazione (Fondazione Parco San Rocco), John Gaffuri (Direzione), Antonella De Micheli (Direzione casa cura La Residenza)
produzione FIT Festival Internazionale del Teatro e della scena contemporanea, Officina Orsi (Lugano)
con il sostegno UFC, Beisheim Stiftung, Fondation Philantropique Famille Sandoz, Paul Schiller Stiftung, Ernst Göhner Stiftung
coproduzioni internazionali Olinda/TeatroLaCucina (Milano)