RENZO FRANCABANDERA | Nel 1996 Sandro Lombardi, uno dei massimi attori del teatro italiano a cavallo fra i due secoli, fondatore de Il Carrozzone e poi parte dei Magazzini Criminali e della Compagnia Lombardi-Tiezzi, aveva portato in scena Cleopatràs e due anni dopo Erodiàs e Mater strangosciàs, mettendo in risalto l’umanità e la fragilità di queste figure attraverso interpretazioni straordinarie. Lombardi ha lavorato in tutta la sua carriera su diversi testi di Testori, tra cui anche Edipus e L’Ambleto.
Torna ora nel 2023 a proporre una versione di Erodiàs + Mater strangosciàs in un progetto, prodotto da Emilia Romagna Teatro Fondazione ERT e Compagnia Lombardi-Tiezzi, pensato appositamente per l’attrice Anna Della Rosa, e che segue la messa in scena di Cleopatràs, il primo dei Tre Lai, fatta dall’attrice per la regia di Valter Malosti. Il passaggio di mano e il valore di perpetuazione del linguaggio teatrale è qualcosa di simbolicamente insito in quest’opera.
Giovanni Testori (1923-1993), intellettuale, drammaturgo, critico d’arte, scrisse i Tre Lai (nell’ordine Cleopatràs, Erodiàs e Mater strangosciàs, pubblicati postumi dal Longanesi, nel 1994) poco prima di morire e li consegnò all’attrice Adriana Innocenti con cui aveva diverse volte lavorato (una di queste nel 1984 con lui regista e lei nei panni di Erodiade) chiedendole di portarli in scena. Questa richiesta riflette la profonda connessione tra vita e parola che esiste nel teatro secondo Testori: il teatro per l’autore lombardo è il veicolo attraverso il quale la parola prende vita, ed era compito dell’attrice farla vivere.
I Lai sono l’ultima opera di Testori, e sebbene sia discutibile considerare le opere finali di un artista come un testamento, ci sono sicuramente elementi che offrono una visione complessiva del percorso artistico di Testori. Si tratta di tre intensi lamenti d’amore, affidati a tre personaggi femminili, Cleopatra, Erodiade e la Vergine Maria, fra storia, letterature e religione. Queste donne si lamentano per la dolorosa assenza dei loro amori: Cleopatra per il suo amore perduto, Antonio; Erodiade per Giovanni Battista; Maria per suo figlio Gesù durante la Crocifissione.
L’opera del 1992, composta da tre monologhi ambientati in Valsassina, area geografica significativa per l’autore, è un testamento spirituale e un percorso di salvezza, influenzato dalla struttura della Commedia dantesca di cui vuole quasi ripercorrere l’itinerario salvifico, passando dalla perdizione verso la luce finale.
Testori, nel secondo dei Lai, si pone la domanda fondamentale su ciò che attende l’essere umano dopo la morte e su quale e cosa sia la vera religione, si interroga se il suo destino sarà il nulla o se esista un paradiso, un purgatorio e un inferno «… quella de me, / e incioè: / post de la morte, / nient; / o quella del de te, / incioè: / post de la mort, / el tut, / el paradiso per paradisare, / el purgatorio per purgare / e l’inferna / per nell’eternità soffrare, penare / e blasfemare».
La testa del Battista risponde, indicando a Erodiade la via della speranza: attendere, come nel purgatorio, passando la parola al terzo lamento, che infatti si svolge in un ambiente emotivo diverso, con l’assenza della tragedia e l’accettazione piena della vita e del sacrificio, favorendo un passaggio dalla sete di potere all’umiltà e all’accettazione.
Questo passaggio salvifico rappresenta un notevole avanzamento rispetto alla precedente Erodiade testoriana, del 1969, intrappolata nella tragedia. Per comprendere interamente il significato dell’opera dello scrittore, infatti, è importante esaminarne l’intero percorso artistico, fatto di simbologie e personaggi ricorsivi.
Sicuramente ricorsivo e centrale è il tema del figlio morto di fronte alla madre, simbolo del dialogo tra vita e morte, rappresentato dal Cristo e dalla Mater strangosciàs dei Tre Lai, ma già presente in La Morte, un atto unico di Testori del 1943.
I temi citati tornano costantemente in opere molto diverse tra loro ma sempre legate alla comprensione della vita e del suo significato. Le opere successive di Testori, come il ciclo dei Segreti di Milano, manifesteranno una ricerca costante di senso e un urlo straziante di fronte alla condizione umana. L’analisi del corpo e della materialità dell’esistenza diventano in questa prospettiva un elemento chiave: Testori riflette sulla mancanza di speranza e sul tragico dell’esistere, cercando di comprendere appieno la realtà attraverso la sua scrittura. I Tre Lai possono essere visti come il culmine di un percorso artistico che esplora questi temi, con un legame costante tra parola e esistenza.
Quello che ha debuttato a Modena, in questi giorni al Nuovo Teatro delle Passioni, è un altro significativo passaggio di testimone di sapore testoriano, quello tra Sandro Lombardi e Anna Della Rosa, per un progetto creativo che si inserisce nel contesto delle celebrazioni per il centenario della nascita. L’allestimento, nuovo dal punto di vista scenografico, ha simbolicamente alle spalle le lucine usate da Lombardi venticinque anni fa.
A completare il piccolo spazio agito da Della Rosa per i due monologhi, ci sono un piccolo trono al centro e la testa del Battista in basso a sinistra usati per la Erodiàs e una sedia con un drappo sporco di sangue che, disteso, diventerà poi il Cristo morto nell’ultimo dei Lai. Non c’è altro suono se non la parola di Testori.
Le luci contornano il micro-mondo circolare: in Erodiàs si spengono e riaccendono a isolare micro sequenze, come se il testo si componesse di un dialogo videoregistrato di cui sono estratte sequenze estemporanee e scollegate. La Mater, invece, sta dentro una luce fissa e più ambientale, meno cinematografica e artefatta.
La recitazione di Della Rosa è ovviamente diversa da quella storica di Lombardi e cerca una sua naturalezza originale, alimentata dalle suggestioni del maestro che le passa il testimone, ma che la lascia libera di andare dentro un universo di segni a lei familiare.
«Mai avevo sentito che un autore mi desse tanto, mai che io gli restituissi tanto» – ha dichiarato Lombardi, a venticinque anni dalle sue storiche interpretazioni, commentando questo particolarissimo travaso di conoscenza e sentimenti, che si trasferisce nell’interpretazione di Della Rosa, seguendo una tradizione orientale che pone in relazione attore e attrice, senza la mediazione di un autore o di un regista.
Lo spettacolo inizia con il registrato off di una lettera di lui a lei, che la invita a entrare nel cerchio della rappresentazione forte del percorso condiviso. Lei è scalza, ha il frac mezzo scalcinato che aveva lui, una camicetta bianca a coste verticali che lascia esposta la semplicità dell’attrice, il suo volto non costruito; proprio in questa semplicità, a nostro modo di vedere, l’interprete trova una sua vigoria convincente, che non si arma di sovrastrutture.
La mimica facciale e gestuale sono centrali. La Mater è angelica, più ricamata di rimandi è, invece, Erodiàs, regale con i palmi che finiscono fermi sulle ginocchia e il volto che scandisce le parole, con una intensità vocale magnetica, che fa calare un silenzio drammatico, verrebbe da dire sacro, in sala, mentre la parola di Testori si trasferisce dal palco alla giustamente numericamente misurata platea.
Il lavoro non si è limitato all’aspetto interpretativo, ma ha coinvolto anche l’approfondimento della lingua testoriana, composta da dialetto lombardo, francesismi, latinismi e altre sfumature linguistiche complesse, ma che affondano dentro una realtà tangibile, ora lirica, ora da bar. Testori fu profondamente influenzato dal realismo lombardo, con particolare attenzione alle figure di Caravaggio e Manzoni, il primo con il suo realismo sacro, che portava Dio nella vita quotidiana, nei luoghi comuni e nei personaggi marginali presenti nei suoi dipinti, un approccio che ha influenzato profondamente Testori, per cercare il “vero fisico e psicologico” nei suoi personaggi vivi nella loro materialità e nella loro spiritualità; quanto a Manzoni, la sua presenza è profondamente linguistica, ma anche collegata alla capacità di costruire personaggi realistici, autentici nelle loro complessità sia fisiche che psicologiche.
Il legame fra pittura e testo in Testori è vivo in modo lampante: il suo primo saggio critico (1952) è dedicato a Francesco del Cairo, autore di tele raffiguranti Erodiade, che lo hanno chiaramente ispirato nell’interpretazione del rapporto tra Erodiade e la testa mozzata del Battista.
Anche questo specifico allestimento rimanda a citazioni pittoriche di bellezza sofisticata: straordinario il rapido gesto che indica il cielo parlando dell’Angelo, e che rimanda esplicitamente al Battista leonardesco, spesso pittoricamente ibridato con l’Angelo annunciante.
O la postura sul trono di Erodiàs, che ricorda in alcuni spasmi e urla soffocate la rilettura fatta da Bacon dell’Innocenzo III di Velasquez. Un gesto teatrale che, come la lingua testoriana, potremmo definire pittorico, e letterariamente intriso di un babelico realismo. Lombardi stesso richiamava il dipinto di Bacon ma ascrivendone la similitudine più propriamente alla cifra comica inaudita e irripetibile di Cleopatràs, che si schianta come in un urlo muto di Bacon o «nel balbettamento afasico dell’ultimo Beckett, nell’icona straziata della bestemmia che anela ma non riesce a farsi preghiera». Un modo, quindi, per evocare anche il primo dei Tre Lai, che qui non è proposto.
Da questo punto di vista il lavoro di Lombardi e Della Rosa è felicemente filologico, sta dentro una ricerca profondissima e rara, che pochissimi in Italia si possono permettere, sia di intensità della conoscenza di Testori, sia dell’arte e delle funzioni di stimolo originario. Della Rosa, al debutto, giustamente richiama sul palco per tre, quattro volte Lombardi a raccogliere con lei gli intensi riconoscimenti del pubblico. Nessun altro avrebbe potuto portarla in tutti questi luoghi, di cui abbiamo provato a restituire microscopica suggestione.
La Erodiàs di Della Rosa è già assoluta nella sua pienezza di interpretazione, la Mater che la segue e che ha un’atmosfera anti-tragica, come si ricordava, molto più sospesa e rarefatta, ha una postura quasi michelangiolesca, di mamma bambina, di un’innocenza dolente davvero molto complicata da restituire davanti a un corpo martoriato, ma assente, che le giace dinnanzi. L’interpretazione si poggia su variazioni tonali minimali, una grande e rischiosissima sfida che si rinnova di replica in replica, un azzardo affidato alla magia e alla dannazione del teatro.
Progetto realizzato in collaborazione con l’Associazione Giovanni Testori
si ringrazia Giovanni Agosti per la condivisione del suo sapere
si ringrazia Giorgio Bertelli per il trono di Erodiàs
si ringrazia Nicolò Rossi per aver concesso il testo della sua revisione critica dei Tre lai
Si ringrazia Giovanna Buzzi per il costume di Anna Della Rosa
si ringrazia Federico Tiezzi senza il cui lavoro per i Tre lai tra il 1996 e il 1998 questo progetto non sarebbe neanche concepibile
Visto il 17 ottobre 2023 | Nuovo Teatro delle Passioni, Modena