RENZO FRANCABANDERA | Debutta al Nuovo Teatro delle Passioni di Modena Giulietta e Romeo – stai leggero nel salto, un dittico da Romeo e Giulietta di William Shakespeare, con la drammaturgia e la regia di Roberto Latini, che sarà anche in scena, nella prima parte, nei panni di Giulietta, dal 31 ottobre al 5 novembre; dirigerà poi Federica Carra, protagonista della seconda parte, Romeo, dal 7 al 12 novembre.
Nello spettacolo, come in tutte le recenti regie, Latini si avvale delle musiche di Gianluca Misiti e del disegno luci di Max Mugnai, suoi storici collaboratori e fondatori con lui della compagnia Fortebraccio Teatro.
Lo spettacolo è un concerto scenico per due interpreti che dialogano a distanza, composto dalle scene della tragedia shakespeariana in cui i due amanti sono insieme: l’incontro, il balcone, il matrimonio, all’alba dell’allodola, nella cripta.
Abbiamo intervistato Roberto Latini.
Roberto, il tuo attraversamento shakespeariano è di lungo corso, fatto spesso, tra le altre cose, di voci sole, dialoghi a distanza e musica. Perché hai sentito l’esigenza di scolpire queste vie solitarie, per altro ricavate da drammaturgie invece affollate di personaggi, come è anche nel caso di Romeo e Giulietta?
Shakespeare è un’occasione fondamentale e lo è nel tempo. Mi piace molto poter tornare a concetti, parole, drammaturgie, dopo anni di altre cose e distanze. Mi piace muovermi tra le stesse pagine con più anni addosso.
Shakespeare è un luogo, certe volte enorme, altre volte piccolissimo, come un rifugio, anche segreto, spesso da starci in pochi. È davvero una condizione naturale e certamente, in certi passaggi di vita, necessaria.
Quando hai iniziato a lavorare a questo spettacolo, che si fonda su cinque quadri fondamentali del classico, hai pensato subito ai due personaggi divisi o questa partizione è arrivata con il tempo?
È arrivata quasi subito. Quasi subito ho interpretato l’occasione di come avere a che fare con i soli dialoghi tra Romeo e Giulietta. Ho pensato che potessero essere in dialogo anche due spettacoli molto diversi per forma e sviluppo, addirittura con interpreti differenti.
È molto interessante sapere che c’è altro oltre quello che ogni sera porteremo all’attenzione del pubblico. E sarà bello permettersi i cambiamenti dettati dalla relazione con l’altro. Ascolto e relazione, come in teatro.
Tu interpreti Giulietta e Federica Carra, che dirigi nel suo dialogo a distanza, sarà Romeo. Che interesse aveva per te questa specifica inversione di genere?
Nessuna in particolare. I titoli non si riferiscono ai personaggi ma a variazioni di uno stesso tema. Sono gli episodi singoli a prendere il nome dei personaggi, non gli interpreti. Forse, ci si potrebbe riferire un po’ al punto sensibile dal quale guardare le scene, ma davvero solo questo. È materiale sollecitato nell’occasione teatrale, senza questione di genere. Il maschile e il femminile sono già nei testi.
Nelle note di regia parli dell’impossibilità della relazione amorosa ma nutri fiducia nelle possibilità dell’amore. Pensi che in generale il potenziale sia più suggestivo del reale? E se è così, in fondo una creazione spettacolare non finisce per essere un dato reale, concreto e quindi di per sè un atto che porta in sè la deludente finitezza del concreto?
L’indefinizione è la condizione più preziosa.
L’esercizio penso sia proprio quello di provare a muovere o dire senza poter definire completamente. Non mi sono mai sentito “nell’esecuzione” dello spettacolo.
Quello che mi interessa è ciò che “sembra”, non quello che è o non è.
Ho bisogno di essere costantemente nei pressi di sensazioni, più che di senso.
Vorrei che il Teatro avesse sempre l’occasione di non dimostrare tesi e antitesi.
Sempre fra le suggestioni che evochi per queste due creazioni (che si condensano poi in un unico punto di vista sul tema del potenziale dell’amore), parli di un bisogno di leggerezza. Pensi che sia una cifra che appartiene al tuo teatro e alla tua persona?
Sì, penso di sì. Potrei dire di averla imparata presto la leggerezza o di averla tirata fuori quando ancora non ero troppo avanti nel disincanto. Sempre necessaria, per potermi relazionare ai buchi di sistema di questo mondo teatrale, precario e pesantissimo nelle sue immobilità. La mia leggerezza, o meglio, le mie leggerezze, mi hanno dato modo di muovermi continuamente e, al di là del bene o del male, senza giudizio: è quanto mi è interessato e mi interessa.
Concludi i tuoi appunti di regia, sul tema della leggerezza nello sguardo sull’amore, parlando del bisogno di un salto, che rimanda al famoso salto di Cavalcanti, di cui parla Calvino nella lezione americana proprio sulla Leggerezza. Pensi che il teatro sia un medium della leggerezza? Ha ancora questo potenziale rispetto alla società?
Penso che a un certo punto ci sia un salto da saltare. Improvvisamente o no. Forse ognuno ha il suo, o i suoi.
Se non si sta leggeri, il salto non salta.