ESTER FORMATO | Alla Triennale di Milano è andato in scena Blind Runner, spettacolo performativo di Amir Reza Koohestani, prodotto dal Mehr Theater Group di Teheran e interpretato da Ainaz Azarhoush e Mohammad Reza Hosseinzadeh in persiano, sovratitolato in inglese.
Lo spettacolo si incentra su due personaggi che agiscono su un palcoscenico completamente vuoto. La mancanza di ogni elemento scenico rende tangibile la cifra minimalista del regista, che basa il suo lavoro su performance e piccole sequenze video che finiscono per diventare corpo essenziale dello spettacolo (interessante è, per esempio, la conclusione, fatta con una proiezione d’impatto verso il pubblico): entrambi i linguaggi trovano qui espressione nel movimento; una giornalista messa in prigione a Teheran si allena nella sua cella, ogni notte, a percorrere lo stretto della Manica nell’unico lasso di tempo in cui i treni non passano, quello delle ore notturne.

Non è un’impresa che compirà lei ma una ragazza divenuta cieca dopo esser stata ferita a una manifestazione, ragazza di cui la donna perora la causa presso il suo uomo, chiedendogli di aiutarla.
La storia, che non ha uno sviluppo drammaturgico organico, mira a creare un confronto dialogico fra i due personaggi, attraverso i quali favorire una riflessione sulla libertà politica in un paese come l’Iran, e ha un incipit simbolico: lui e lei scrivono una serie di frasi sulle quinte laterali con due sistemi di scrittura e lingue diversi (inglese e persiano), giocando su aggettivi come vera, reale, effettiva (true, actual, factual).
Anche se quanto raccontato è connotato da stilemi fortemente simbolici, non si può prescindere dalla realtà: non è una storia vera, ma è assolutamente plausibile nella realtà in cui è circoscritta.
La scena è dunque vuota e buia, ed è questo lo spazio ogni notte riconquistato dalla tenace corsa di una donna che, in questo modo, cerca di esorcizzare la costrizione di una cella.


Il suo esercizio fisico, pur lasciandola nel medesimo luogo, la avvicina passo dopo passo al luogo dove lei e suo marito vogliono che la ragazzina non vedente arrivi.
A compensare le fasi di frenesia cinetica dei corpi, vi sono momenti in cui i due performer dialogano uno accanto all’altro in una posizione di totale frontalità rispetto al pubblico, mentre sul video sono montati piani sequenza in cui sono l’una di fronte all’altro.
Le inquadrature strette e in primo piano dei personaggi consentono di cogliere l’intimità della loro interazione che, invece, nella drammaturgia, risulta meno tangibile. Sul piano della scrittura, infatti, la distanza dei corpi, l’impossibilità di un contatto s’insinuano in maniera percettibile non come privazione di una sfera intima ma quale condizione oggettiva, conseguenza di un clima globale indecifrabile e inquietante che entrambi, forse, sanno di non poter contrastare.
La drammaturgia è difatti scarna ed ermetica, volta a rivelare un’urgenza di tipo pratico: lottare per la libertà. I due personaggi non sono in equilibrio: l’uomo si mostra più tiepido, la donna sfrutta il dialogo con il marito per consolidare la propria tensione morale che si trasforma in una sfida fisica e mentale nei confronti di un sistema. D’altra parte il movimento degli attori esprime agli occhi del pubblico anche l’impossibilità di un contatto fisico, e lascia immaginare quindi, anche la presenza delle sbarre che separano i due individui.
Dunque, la libertà è sinonimo di sfida; non una sfida banale ma quella faticosa, pericolosa, potenzialmente fatale. All’impresa del tunnel della Manica fa da contrappunto la corsa che è confinata nelle sbarre ma che Koohestani mette in scena come leva motrice della sua protagonista, la quale ritrova nel suo strenuo esercizio l’unica maniera per manifestare l’urgenza di resistere e combattere. L’azione, quella vera, le è invece proibita; solo affidando al marito la possibilità di agire, la sua corsa senza meta potrà tradursi in un motore di speranza.
La scrittura chirurgica ed essenziale non è qui un aspetto deficitario, ma apre intenzionalmente a una performance in cui ogni spettatore può trovare uno spazio per poter creare liberalmente il contorno di quanto raccontato, esplorando un’idea di teatro in cui simbolismo e realismo trovano adeguata sintesi.

BLIND RUNNER

Testi, regia: Amir Reza Koohestani
drammaturgia: Samaneh Ahmadian 
assistente alla direzione: Dariush Faezil
uci, scenografia: Éric Soyer
video: Yasi Moradi, Benjamin Krieg
musica: Phillip Hohenwarter, Matthias Peyker
costumi: Negar Nobakht Foghani
performer: Ainaz Azarhoush, Mohammad Reza Hosseinzadeh
traduzione e adattamento sovratitoli (in inglese): Massoumeh Lahidji addetta ai sovratitoli: Negar Nobakht Foghani produzione, amministrazione, promozione: Pierre Reis – Bureau Formart (Paris)
logistica, assistenza alla comunicazione: Yuka Dupleix – Bureau Formart (Paris)
produzione: Mehr Theatre Group
coproduzione: Kunstenfestivaldesarts, Berliner Festspiele, Athens Epidaurus Festival, Festival d’Automne à Paris, Théâtre de la Bastille, La rose des vents – Scène nationale Lille Métropole – Villeneuve d’Ascq, La Vignette – Scène conventionnée Université Paul-Valéry Montpellier, Théâtre populaire romand – Centre neuchâtelois des arts vivants, La Chaux-de-Fonds, Triennale Milano Teatro, Festival delle Colline Torinesi/Fondazione TPE, Noorderzon Festival of Performing Arts & Society residenze di creazione: Théâtre populaire romand – Centre neuchâtelois des arts vivants, La Chaux-de-Fonds, Théâtre les Tanneurs, KWP Kunstenwerkplaats Brussels con il supporto di: Institut français progetto sostenuto da: Ministero francese della cultura – DRAC Île-de-France

Triennale di Milano | 26 ottobre 2023