ESTER FORMATO | Nella sala tre del teatro Franco Parenti di Milano i posti a sedere sono disposti attorno a uno spazio rettangolare che è a un livello leggermente inferiore rispetto al pubblico. L’assito si estende in lunghezza, come se fosse una passerella. Lì, fino a qualche giorno fa, chi entrava avrebbe visto una moltitudine di oggetti quotidiani disposti disordinatamente lungo tutta la scena. Sembrava che una folata di vento avesse completamente rovesciato tutto di quell’ambiente: foto, vestiti, scarpe, libri, lettere. In questo sovraccarico di oggetti prendeva vita Parlami come la pioggia diretto da Andrea Piazza, interpretato da Francesco Sferrazza Papa e Valentina Picello che si cimentano in cinque atti unici scritti da Tennessee Williams.

Ben lontani dai suoi drammi più rilevanti, le cinque brevissime pièce apparentemente non hanno un filo conduttore, ma hanno tutte una coppia di personaggi incuneati in un contesto specifico dal quale non vi è possibilità di fuga. Ingabbiati nella propria condizione, queste creature alle quali è tolta ogni forma di felicità, si aggrappano disperatamente ai propri pensieri, slanci di vitalità timidi quanto aggressivi ma – esattamente come un personaggio verghiano – ognuno di loro è destinato a soccombere.

L’avvolgente avvio musicale che fa da contorno al primo atto unico – dal titolo Proibito – ci immerge immediatamente nella drammaturgia dello scrittore americano; ne riconosciamo la scrittura nostalgica e delicata (seppur mascheri contenuti scabrosi) e il fondo di tristezza e malinconia che la marchia.

La cornice musicale (curata da Andrea Cotroneo) con la quale incomincia lo spettacolo fa da contrappunto al luogo evocato. Anonimo e periferico, è dove si condensa la vita di una ragazzina che trascorre il suo passaggio dalla fanciullezza all’adolescenza acquistando gli amanti ferrovieri di sua sorella, morta giovanissima per una malattia polmonare. Nei pochi minuti dedicati alla messa in scena, la regia riesce ad ancorare lo spettatore alla devastante malinconia che riaffiora in questa storia. Bambini travestiti da adulti ma con un aquilone in mano e un giocattolo; la stridente contraddizione emerge nel dialogo pieno di amarezza ma pervaso anche di un’ingenuità infantile. La pacatezza delle luci rende intimistica la scena che, con quell’informe caos di cimeli, non ha mai la parvenza di un’ambientazione precisa ma ha la funzione di evocarne diverse. Il piano visivo decisamente astratto riesce agilmente, infatti, a declinarsi nei vari ambienti marginali, diventa spazio convenzionalmente neutrale in cui  i vari personaggi prendono vita.

Foto di scena Luca del Pia

La brevissima pièce, la più nota fra gli atti unici, apre ad altre quattro storie aventi come soli personaggi un uomo e una donna, colti nel loro funambolico barcamenarsi fra nevrosi e guizzi di voglia di vivere. Sono brandelli di storie appena abbozzate dalle quali affiora una disperazione cieca, l’impossibilità di sottrarsi allo squallore dell’esistenza: dalle speranze soffocate per una vita migliore del giovane operaio de Il figlio di Moony non piange, alla coppia immobilizzata nella propria infelicità in pochi metri quadrati di un appartamento metropolitano in Ogni venti minuti, alla progressiva follia di Autodafè, in cui il fanatismo religioso e la fragilità psichica divengono miscela esplosiva e violenta, per concludere poi con Parlami come la pioggia e lascia che ti ascolti in cui una giovane donna chiusa nel suo mutismo, anela a una meta fatta di pace e solitudine. Un desiderio di fuga, dal sapore cechoviano, che accomuna tutti i personaggi. L’ultimo atto, il più vago, il meno consistente sotto il profilo drammaturgico, rappresenta idealmente un epilogo per tutti gli altri, sicché proprio l’ultima protagonista finisce compassionevolmente per incarnarli.

Foto di scena Luca del Pia

Nello spettacolo di Andrea Piazza la delicatezza della scrittura di Williams – in grado di trasferire sul palco anche aspetti più controversi dell’esistenza – si concreta nella caratterizzazione stessa della messa in scena: l’apporto musicale, la sobrietà delle luci, la puntualità dei costumi, la capacità degli interpreti di tenere un equilibrio fra la tumultuosa violenza della vita a cui i personaggi sono esposti e quella ricerca persistente di tenerezza che non ha mai lasciato la penna del suo autore, danno un allestimento attento all’eleganza della forma che mitiga il rischio delle derive eccessive del pathos tipiche di Williams, soprattutto nel caso di scritti minori.

Solitamente rappresentati insieme, gli atti unici raccontano di un microcosmo umano minuscolo, polverizzato dall’enormità del mondo metropolitano. Metterli in scena significa provare a dare voce a ogni piccola e comunissima esistenza; è in questo solco che, a fine rappresentazione, gli spettatori sono invitati ad accostarsi ai vari oggetti sparsi che hanno composto la scena. Oggetti di uso quotidiano di tante solitudini che hanno abitato per decenni la mente di Tennessee Williams, esattamente come il ventre di ogni città che ha ispirato la sua poetica.

PARLAMI COME LA PIOGGIA

di Tennessee Williams
traduzione Masolino D’Amico
con Valentina Picello e Francesco Sferrazza Papa
regia Andrea Piazza
scene e costumi Alice Vanini Tomola
musiche originali Andrea Cotroneo
direttore dell’allestimento Marco Pirola
elettricista Martino Minzoni
sarta Giulia Leali
scene costruite presso il laboratorio del Teatro Franco Parenti
costumi realizzati dalla sartoria del Teatro Franco Parenti diretta da Simona Dondoni      foto di scena Luca Del Pia
produzione Teatro Franco Parenti
Parlami come la pioggia viene presentato per gentile concessione di University of the South, Sewanee, Tennessee.

Teatro Franco Parenti, Milano | 28 ottobre 2023