GIORGIA VALERI | Le radici del male affondano nel terreno della possibilità, della libertà incondizionata che si genera in antitesi al nulla operante, alla negazione dell’essere, alla forza distruttrice. Bene e male condividono quindi la stessa matrice, secondo il filosofo esistenzialista Pareyson: una libertà originaria che ha il potere di tradursi in potenza generatrice o distruttrice. Se a questa libertà viene associato un potere pressoché illimitato, è inevitabile che le conseguenze, nel bene o nel male, siano amplificate. «Io vivo, uccido, esercito il potere delirante del distruttore, in confronto al quale quello del creatore non sembra altro che un caricatura»: il Caligola di Albert Camus è esemplare del polo antitetico su cui si gioca questa diade tra bene e male. Ma cosa accade a Caligola dopo essere stato pugnalato a morte dai congiurati e aver urlato quell’ultimo agghiacciante «Sono ancora vivo»? Su questa ipotesi narrativo-esistenziale Ombretta Nai, regista e drammaturga, ha decostruito, sviscerato e spezzettato il personaggio di Caligola nello spazio temporale fra la morte del corpo e la sopravvivenza della follia, dando vita a Buio.Caligola, interpretato da Luca Stetur, e andato in scena a Campo Teatrale, spazio polifunzionale milanese in zona Piola.

Stetur/Caligola, in questa versione post mortem, attraversa la scena buia con passo macilento e stanco, diretto verso l’unica impietosa luce che fende orizzontalmente le ultime assi del palco, poco prima che si tuffi nel buio della sala. Attraversa il fascio di luce dal sagomatore di destra a quello di sinistra, attento a non toccare mai le zone di buio. Il buio, unico altro protagonista in scena con cui si confronta Stetur.
Camus non dà indicazioni di costume per il suo personaggio ma appare evidente che calze bordeaux, scarponcini di pelle marrone, trench lungo bianco, capelli gellati, un asciugamano lungo cinto intorno alla vita e una canottiera bianca configurino solo una lontana ed evanescente ombra di uno degli imperatori più controversi della storia. 

Luca Stetur. Ph. Andrea Stetur

L’artificio della scena regge il gioco di una follia che si consuma nelle parole, nei suoni, nei rumori che si affastellano nel tempo del monologo, dilatandolo e restringendolo in continuazione, fino a far perdere i confini della messa in scena nel tentativo di cogliere il senso di ogni singola azione compiuta da Caligola.
Un enorme cubo disposto al centro della scena, ad esempio, sul quale sono apposte, nella facciata frontale, lettere che compongono la parola Roma, viene usato prima come pulpito da cui Caligola parla ai pretoriani e ai senatori, spronandoli a seguire ordini sconnessi e minacciandoli con uno spruzzino ad acqua, si trasforma poi in una scatola cinese nel quale Stetur gioca con la propria ombra, che poi si duplica e reitera le azioni convulse dell’imperatore, che dialoga costantemente con una voce fuori campo che dà il ritmo alle battute, all’alternanza delle luci, alle musiche, ai suoni apparentemente insensati che riproducono rumori della strada, clacson, scontri d’auto. Una volta fatte cadere tutte le lettere, Stetur esce dal cubo, dilegua la sua ombra e abbraccia il fascio di luce verticale sopra la sua testa con un guanto cosparso di frammenti di specchio, rifrangendo la luce in mille cristalli che attraversano la sala teatrale.

l carismi di Caligola e di Stetur, verso la fine dello spettacolo, sembrano quindi sovrapporsi e dilatarsi: l’attore alterna linguaggi colloquiali, altisonanti, a dialettalismi diversi – bolognese, romano, veneto – mentre arringa contro i patrizi,  rivolgendosi direttamente al pubblico, evocando una rabbia antica, uno scompenso interiore mai sanato. Non c’è ordine nel caos, non è richiesto neppure lo sforzo di cogliere un frammento di integrità tra le parole. “Tutto c’entra, c’entra tutto”, dice in tono sommesso verso la fine dello spettacolo. All’apice della concitazione si recide una vena, nel silenzio: il sangue nero va a intorpidire una bolla d’acqua illuminata da una fievole luce gialla in controluce, nel buio.

Cogliere il senso di uno spettacolo del genere, in cui la follia si consuma minuto dopo minuto e la grandezza di Stetur ingloba ogni parvenza di significato nelle sequenze sceniche, sarebbe come ripercorrere a ritroso l’esistenza di un uomo che è solo essere e non sa più esserci, nel senso Heideggeriano dei termini. La produzione di SCARTI Centro di Produzione Teatrale d’Innovazion resta quindi un’ipotesi, una macchia di colore su una tela bianca il cui significato sta più nella fruizione dell’opera stessa che nel gesto vivo della rappresentazione. 

 

BUIO.CALIGOLA

da Albert Camus
regia Ombretta Nai
con Luca Stetur
produzione SCARTI Centro di Produzione Teatrale d’Innovazione

Campo Teatrale, Milano | Giovedì 26 ottobre 2023