GIANNA VALENTI | Passage. Conversazione con alcuni posteri è un’azione teatrale itinerante in esterno — per un gruppo di spettatori con cuffia e un attore — che fotografa e racconta Walter Benjamin nei suoi anni da esule a Parigi dal 1933 al 1940. L’ideazione, la drammaturgia e la regia sono di Sergio Ariotti, che segue Benjamin nella forza poetica delle sue parole e nelle strutture di un pensiero filosofico che riesce sempre a farsi umano, incarnandosi nel sottile interspazio tra la quotidiana vulnerabilità e l’incontenibile enormità degli eventi di un’Europa piegata dai totalitarismi e dalla guerra.
Passage. Conversazione con alcuni posteri è l’opera che ha chiuso il Festival delle Colline Torinesi 28 e che ha scelto l’ottocentesca Galleria dell’Industria Subalpina di Torino per dare abitabilità alla vita, al pensiero e alla scrittura di Benjamin, creando un cortocircuito visivo, spaziale, temporale ed emotivo con i luoghi da cui nasce la sua scrittura e in cui si alimenta il suo pensiero nella Parigi degli anni Trenta. I passages metropolitani sono i suoi luoghi prediletti: camminamenti ad arcate ricoperti e decorati con ferro, vetri e marmi, abitati dal flusso ininterrotto della folla e da personaggi alla ricerca di incontri, veri e propri hub culturali capaci di creare cortocircuiti per nuove visioni artistiche e letterarie.
I «passages» di Parigi è l’opera incompiuta e straordinaria di Benjamin che ha nutrito, insieme a molti altri testi, la drammaturgia di questo lavoro teatrale, che si muove incollando e sovrapponendo frammenti di riflessioni, immagini, ricordi d’infanzia, visioni di gioventù, osservazioni in diretta del quotidiano metropolitano, eventi storici sovranazionali, elaborazioni teoriche sul cinema e sulla storia, preoccupazioni strettamente personali, pensieri sul senso di una vita e sull’impegno nella scrittura e nella creazione. A dare voce e corpo a Benjamin è Paolo Musio, che sa incarnare una personalità complessa e multiforme, riuscendo a coniugarne l’umanità profonda, la lucidità intellettuale e la tensione emotiva e poetica, pur muovendosi all’interno di una partitura che richiede, in ogni suo frammento, un diverso impegno testuale e interpretativo.
L’azione teatrale si apre all’entrata della Galleria Subalpina, sul lato di Piazza Carlo Alberto, dove si trova la Biblioteca Nazionale Universitaria, che crea un secondo cortocircuito spaziale e temporale con la Biblioteca Nazionale di Parigi, dove Benjamin trova casa per lavorare alle sue opere maggiori. L’inizio, con Musio/Benjamin che arriva affannato dal lato della Biblioteca, è una dichiarazione di separazione per una vita che aderisce a un prima e a un dopo. Un prima che è appartenenza al popolo tedesco e alla lingua che gli permette “la naturalezza delle reazioni, l’espressione spontanea dei sentimenti, persino delle riflessioni”. Un dopo che è dislocamento, sradicamento e appartenenza alla categoria dell’espatriato, poi straniero indesiderato e, infine, ricercato; un dopo che è non appartenenza e terrore sottile e continuo, sino all’ultima frontiera umana che sceglierà di non attraversare, quella tra Francia e Spagna nel 1940.
Parigi per Benjamin è la capitale europea per eccellenza e i suoi passages sono luoghi da lui amatissimi, corridoi brulicanti di bistrot, di negozi, di librai, di gallerie d’arte, luoghi d’osservazione privilegiata sulla folla e sul popolo dei flâneurs di cui scrive e si sente parte. Con quelle creature, assolutamente parigine e sradicate, sente di condividere l’amore per i libri e la lentezza di uno sguardo che registra per poi riattivarsi nell’isolamento della creazione artistica.
Come in un passage parigino, Musio/Benjamin procede lungo le diverse vetrine, si sofferma invitandoci a seguire un dettaglio o a guardarci intorno. La Galleria Subalpina viene percorsa con fluidità e piena adesione del testo e della regia alle situazioni fisicamente presenti e che danno forma, per noi che ascoltiamo e guardiamo, alle esperienze di Benjamin a Parigi e alle parole scelte per comunicarle. È così che, davanti all’entrata dello storico Cinema Romano, prende spazio e tempo la riflessione sul cinema di Benjamin, ed è così che sull’altra apertura della galleria prende forma il suo pensiero sul legame tra cinema e masse, mentre Musio/Benjamin ci invita a spalancare lo sguardo sul fitto fluire della folla sotto i porticati.
La drammaturgia di Ariotti, seguendo lo sguardo cinematografico di Benjamin, procede collegando episodi e operando tagli, con inserti di linee temporali diverse, come i flashback sull’infanzia berlinese, sulla maturità come dissanguamento culturale del suo Paese, sulla memoria dell’incendio del Reichstag o su quella di un viaggio a Monaco avvenuto nel 1921, quando in una galleria d’arte compra un piccolo acquarello di Paul Klee dal titolo Angelus Novus.
Un episodio nel tempo che ci proietta in avanti, nel 1940, quando Benjamin scrive, dopo un breve periodo di detenzione, un libro con lo stesso titolo. Da questo testo, la drammaturgia attinge alla tesi filosofica con l’indimenticabile immagine poetica dell’angelo della storia e Musio/Benjamin ce la regala con le ali impigliate nella tempesta, l’impossibilità a chiuderle e a trattenersi, le spalle volte al futuro e il viso rivolto al passato, lo sguardo sulla catastrofe e sul cumulo di rovine sempre più alto. Quella piccola opera di Klee, ci racconta, è sempre nella sua valigia, è il suo portafortuna: l’angelo della storia che è sempre pronto a viaggiare, a ripartire e che lo accompagna in ogni suo transitare. Un angelo che è emblema della storia dell’umanità e di ogni storia al suo interno, anche della sua, di intellettuale e artista ebreo e tedesco in cerca di una nuova identità di appartenenza, con il pensiero al futuro, la Spagna e forse un’università americana, ma con lo sguardo spalancato alle rovine della storia che non smettono di accumularsi e incombono sulla sua esistenza.
Guidati da un corpo e da una voce copriamo l’intero percorso perimetrale della Subalpina. Le parole di Benjamin rimangono come tracce dentro i nostri corpi di spettatori. Alcune hanno risvegliato la nostra mente razionale, altre hanno spalancato il nostro sguardo sulla profondità di ogni esistenza all’interno dei grandi eventi della storia, la maggior parte ci ha abitati nel profondo, dando vita a pensieri e immagini dove la filosofia o la riflessione sul quotidiano non sanno disgiungersi dal fluire delle emozioni e dalla tensione poetica, mentre il cortocircuito spaziale e temporale creato dall’azione teatrale permette alle parole di Benjamin di continuare a vivere come presenza invisibile iscritta nello spazio che abbiamo attraversato.
PASSAGE. CONVERSAZIONE CON ALCUNI POSTERI
uno spettacolo di Festival delle Colline Torinesi
da un’idea di Sergio Ariotti
con Paolo Musio
drammaturgia e regia Sergio Ariotti
Galleria Subalpina, Torino | 4 novembre 2023