ESTER FORMATO | Che valore ha la finzione teatrale in una comunità? Come può la rappresentazione teatrale condizionare la realtà? Dal monologo di Amleto in poi, ma se vogliamo, andando più indietro sino addirittura a Plauto, la riflessione sul rapporto realtà e finzione ha portato all’interno dei testi di svariati repertori delle articolazioni drammaturgiche rese più o meno felici dal carisma dell’attore di turno. Ora declinata in maniera farsesca come in Plauto, ora in modo più serio e cruciale come in Shakespeare, questa materia ha finito per ricevere un impianto strutturale in Pirandello e che noi riconosciamo incontrovertibilmente come metateatro. Ma qui Pirandello non c’entra! Potremmo dire, citando proprio una battuta tratta da L’arte della commedia che Eduardo scrive nel 1964 e che da circa un anno circola sulle nostre scene nell’adattamento che ne propone Fausto Russo Alesi, supportato dalla grande produzione del Teatro Nazionale di Napoli e da altre importanti coproduzioni.
Non siamo sicuri che lo scrittore agrigentino non c’entri, vista la grande influenza che ebbe sullo stesso autore partenopeo. Quello che però appare certo è che, come per diverse ragioni lo spettacolo mette ampiamente in evidenza, non è fra i testi più rappresentati. Di questo era forse consapevole lo stesso Eduardo il quale mise a punto una drammaturgia non fra le più scorrevoli sulla scena; la commedia, difatti, si articola in due parti molto divergenti fra di loro. Nella prima, il capocomico Oreste interpretato dallo stesso Fausto Russo Alesi, avendo perso il capannone nel quale la sua compagnia si esibiva, chiede di essere ricevuto dal prefetto del paese, De Caro (Alex Cendron) con l’obiettivo di coinvolgere le istituzioni in merito all’utilità civica del Teatro. Su tale argomento s’inanellano una serie di divergenze fra i due, che si sviluppano in un confronto lungo e speculativo. Il lungo dialogo viene interrotto raramente soltanto dall’assistente del prefetto, e recintato, come poi tutto il resto della commedia, da una cornice metateatrale con la presenza di un personaggio (simile al caratterista di altri tempi) che legge le didascalie del testo, interpretato da Michele Schiano De Cola.
In quest’arco temporale l’azione scenica è completamente assente, ma preannunciata dall’epilogo della diatriba, quando Campese riesce a destabilizzare il suo interlocutore, dando motivo di fargli credere che la finzione teatrale possa prendere il posto della realtà, se i suoi saltimbanchi si fossero, per burla o per rivendicazione, sostituiti alla lista di persone attese dallo stesso De Caro. Il solo pensiero di confondere i piani, sebbene non abbia perso lo scetticismo ed il sottile disprezzo nei confronti della categoria rappresentata da Campese, fa perdere progressivamente lucidità agli stessi uomini dell’Istituzione. Basta l’innescarsi del dubbio ad accendere la miccia dell’azione scenica; se l’avvio lento e farraginoso fa da procrastinatore all’azione scenica tout court, è anche vero che esso agisce come un arco che man mano teso al massimo, scaglia un dardo che getta scompiglio sulla scena, aprendo alla seconda parte in cui tutte le udienze di De Caro prendono una piega farsesca, giustapponendosi una dopo l’altra.
Sfilano allora il medico, il prete, il farmacista e la maestra, tipologie standardizzate di personaggi che Eduardo utilizza per creare un meccanismo di ambiguità del quale si fa partecipe lo spettatore. Riscattandosi dal lungo preludio del primo atto, la seconda metà dello spettacolo acquisisce un ritmo ben congegnato, la scena è guadagnata da una pluralità di caratteri e pur mantenendo vivida la conflittualità realtà/finzione, la cornice che suggella la commedia acquisisce un registro tragicomico; da ciò ne derivano, a intervalli, delle controscene che fanno da corollario all’azione principale. Questo meccanismo, tuttavia, non contribuisce ad asciugare la drammaturgia di Eduardo, anzi: nel rafforzare il registro farsesco con il quale s’intende di accompagnare l’azione, rischia di assecondarne e rimarcarne la densità della scrittura, talvolta poco fluida sulla scena.
Nulla da dire, però, sulla prova degli attori, brillanti ed istrionici, grazie ai quali il susseguirsi dei quadri giustapposti nella seconda parte riescono a coinvolgere il pubblico nell’ambiguità che è il motore della commedia.
Da un punto di vista scenico-visivo, l’allestimento si caratterizza per una pulizia geometrica della scenografia (le scene sono di Marco Rossi), con un’importante prevalenza di colori scuri ed arredi che fanno pensare all’Italia provinciale del Ventennio, ed un alquanto scarna ricostruzione d’ambiente che lascia scoperta gran parte dello scheletro del palcoscenico, senza contare l’uso della botola nella parte introduttiva, e la già citata presenza delle controscene di Schiano Di Cola, tutti elementi che alludono alla pratica del teatro.
Puntellato dall’inconfondibile malinconica amarezza di Eduardo, lo spettacolo finisce per travalicare il ben consolidato metateatro pirandelliano. In questo tipo di scelta, la regia non cerca la via della pericolosa originalità, ma restituisce il testo nella sua originaria veste, ben consapevole che le riflessioni che ne spinsero la stesura non hanno più la stessa urgenza nella sensibilità odierna, e appaiono difficilmente declinabili sotto altre vesti.
L’ ARTE DELLA COMMEDIA
di Eduardo De Filippo
adattamento e regia Fausto Russo Alesi
con (in ordine di locandina) Fausto Russo Alesi, David Meden, Sem Bonventre, Alex Cendron, Paolo Zuccari, Filippo Luna, Gennaro De Sia, Imma Villa, Demian Troiano Hackman, Davide Falbo
scene Marco Rossi
costumi Gianluca Sbicca
musiche Giovanni Vitaletti
luci Max Mugnai
consulenza per i movimenti di scena Alessio Maria Romano
assistente alla regia Davide Gasparro
assistente ai costumi Rossana Gea Cavallo
foto di scena Anna Camerlingo
produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Fondazione Teatro della Toscana – Teatro Nazionale, Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Elledieffe
si ringrazia per la collaborazione il Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
Piccolo Teatro, Milano 31 ottobre 2023