RENZO FRANCABANDERA | Torna, per il quarto anno consecutivo, dal 22 al 26 novembre, l’appuntamento con la Settimana delle Residenze Digitali, un progetto artistico sperimentale ampio, che trova nello spazio digitale il suo habitat di vocazione. È un idea promossa dal Centro di Residenza della Toscana (Armunia – CapoTrave/Kilowatt), in partenariato con l’Associazione Marchigiana Attività TeatraliAMAT, il Centro di Residenza Emilia-Romagna (L’arboreto – Teatro Dimora │ La Corte Ospitale), l’Associazione ZONA K di Milano, Fondazione Piemonte dal Vivo – Lavanderia a Vapore, a cui si aggiungono quest’anno altre due realtà: C.U.R.A. – Centro Umbro Residenze Artistiche (La Mama Umbria Umbria International – Gestioni Cinematografiche e Teatrali/ZUT – Centro Teatrale Umbro – Micro Teatro Terra Marique – Indisciplinarte) e la Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza.
Per raccontare in modo profondo ma a suo modo leggero e intrigante il farsi di questo sguardo sul futuro possibile della creazione dal vivo, abbiamo dialogato con due delle direttrice artistiche dell’iniziativa, Lucia Franchi e Angela Fumarola del Centro di Residenza della Toscana (rispettivamente per CapoTrave/Kilowatt e Armunia ), che hanno voluto rispondere fondendo le loro voci in un unisono di pensiero.
Come sarà, in breve, questa edizione della Settimana delle Residenze Digitali? Quali le caratteristiche salienti?
Quattro artisti e artiste presenteranno altrettanti modi di intendere la creazione digitale. Ariella Vidach e Simone Verduci ci condurranno dentro un universo di cittadini digitali che possono interagire tra di loro. Mara Oscar Cassiani esplora il lato oscuro delle Intelligenze Artificiali. Martin Romeo ci guida nel Metaverso. Infine, Giacomo Lilliù costruisce uno spettacolo attraverso Telegram.
Inoltre, novità di questa edizione, sono le repliche di alcuni dei lavori sopra citati dedicate alle scuole superiori: gruppi di studenti di città e istituiti diversi si riuniranno negli universi virtuli condividendo le stesse esperienze con la possibilità di dialogare e scambiarsi impressioni su temi come solitudine, violenza, prevaricazione. Perché, anche attraverso il digitale, si affrontano umane questioni.
La presente edizione ha inoltre richiesto la consueta disponibilità dei curatori e delle curatrici dei soggetti partner a interfacciarsi con competenze nuove, a formarsi con l’ausilio tecnico degli artisti coinvolti per poter accedere alla comprensione dei processi e supportarli in modo utile.
Come funziona il processo di direzione artistica che vede coinvolti tanti soggetti diversi? Come vi ripartite i compiti e le scelte?
La direzione artistica è condivisa da ciascuno dei partner che compongono la rete di Residenze Digitali. È uno degli aspetti più stimolanti del progetto. Si parte dalla scelta dei progetti finalisti, per poi procedere con un processo di tutoraggio condiviso e partecipato, non solo tra i partner, ma tra gli artisti stessi e le tutor del progetto (Federica Futura Patti, Laura Gemini, Annamaria Monteverdi). Ogni mese, infatti, ci incontriamo su Zoom, ci aggiorniamo sullo stato dei lavori, ci scambiamo impressioni e dubbi, ci diamo nuovi obiettivi per l’incontro successivo.
Poi, per dedicare la maggior cura possibile agli artisti, ognuno di loro ha come referente specifico un paio di partner della rete, che li segue ancor più da vicino, offrendo spazi di residenza reale e aiutandoli nella soluzioni di problemi tecnici e logistici. Le tutor monitorano i vari passaggi, sollecitano e offrono soluzioni possibili ai nodi che di volta in volta vanno sciolti, da quelli tecnici a quelli drammaturgici e registici.
Trattandosi di un percorso ibrido, fatto al 50% da persone che si occupano esclusivamente di spettacolo dal vivo e al 50% da persone che si muovono prevalentemente nel digitale, il confronto è interessante, come quello relativo alla fruizione: ci rivolgiamo al pubblico teatrale o ai fruitori del digitale? Il Metaverso è un mondo parallelo già abitato e con regole che non passano dal botteghino, né dai nostri canali di comunicazione. La sfida è espandere e mescolare i pubblici, come facciamo con la nuova esperienza insieme alle scuole.
Questo progetto ha avuto una sua particolare espansione durante il periodo pandemico. Cosa significa ora sviluppare una fruizione da remoto?
La creazione digitale viene da molto lontano, da ben prima che il mondo venisse stravolto dalla pandemia. Diciamo che durante le chiusure dei teatri più persone si sono rese conte delle potenzialità che il digitale può offrire e hanno cominciato a interessarsi a qualcosa che esisteva già. Residenze Digitali si innesta in un panorama già ricco e anche storico di creativi e creazioni digitali. Non abbiamo inventato niente di nuovo, siamo anzi degli esploratori in un mondo dal potenziale enorme. Sono infatti processi in continua trasformazione: per rispondere in modo creativo alla reattività del contemporaneo, dobbiamo intercettare le forme più vive della creazione digitale.
Le Residenze Digitali mantengono la forma ibrida del phygital, dove presenza fisica e digitale si compenetrano, si ampliano, si arricchiscono di una pluralità di punti di vista. Il digitale è uno dei luoghi possibili per la ricerca artistica.
Come è possibile programmare un evento del genere e in che modo vengono scelti gli artisti? Quale visione progettuale è sottostante al progetto?
Nel bando annuale chiediamo agli artisti di presentarci un progetto che intendono sviluppare durante i mesi della loro residenza digitale e, se necessario, anche della loro residenza fisica in uno degli spazi messi a disposizione della rete. Cerchiamo artisti che abbiano esperienza con i linguaggi digitali, per i quali il digitale non sia un pretesto o un espediente, ma il loro mezzo principale di ricerca e di creazione. Dopo una prima scrematura, incontriamo i finalisti, parliamo con loro, chiediamo di mostrarci lavori passati o bozze di quelli futuri. Questi dialoghi ci aiutano a fare una scelta finale.
Gli artisti sono scelti in base all’originalità del progetto e delle tematiche; alla loro capacità di contenere la complessità all’interno di uno schermo e di farlo in modo artistico e convincente; al desiderio di sperimentare forme di arte pensate per il digitale espandendole in modo da poterne usufruire anche dal vivo. È per noi fondamentale, inoltre, la loro capacità di interfacciarsi con gli organizzatori e le organizzatrici scambievolmente, acquisendo e offrendo competenze e sguardi altri sul mondo.
Durante il percorso capiamo insieme quali possono essere le migliori modalità di restituzione, organizziamo le biglietterie, i foyer digitali, inviamo le istruzioni per l’uso a chi acquista il biglietto, forniamo assistenza proprio come le maschere che si assicurano che siamo al nostro posto prima che lo spettacolo abbia inizio!
Cosa potete dire degli artisti che finora sono stati coinvolti? Esistono tratti comuni o questioni espressive che vi pare ritornino?
Dal 2020, da quando abbiamo iniziato Residenze Digitali, abbiamo ogni volta cercato di scegliere artisti che interpretassero e declinassero in forme diverse la creazione digitale che, come dicevamo, ha numerosissime possibilità di linguaggi, di strumenti, di creazione di mondi. Quello che chiediamo ogni volta è che sia presente la dimensione dal vivo, che richiede la compresenza di artisti e pubblico nello stesso momento, come ogni forma di live performance: l’esperienza di cui il pubblico gode durante la Settimana delle Residenze Digitali è unica.
Questo aspetto accomuna le diverse creazioni assieme alla volontà di rendere il più possibile accessibili a diversi tipi di pubblici le tecnologie e i linguaggi utilizzati. La mediazione è infatti una questione imprescindibile.
I temi che tornano sono quelli legati alla solitudine, all’antropocene, al sopruso, ma anche alla pura narrazione estetica, al gioco, ai viaggi in ambienti virtuali da esplorare come navigatori.
Allargando lo sguardo, pensate che il futuro dello spettacolo dal vivo si sposterà su forme fruitive ibride? Le giovani generazioni sono più sensibili a questo?
Lo spettacolo dal vivo da anni si muove su forme ibride, un nome per tutti, e solo restando nel panorama italiano: Giacomo Verde. Lo spettacolo per sua vocazione accoglie e ingloba da sempre le nuove tecnologie, proprio perché è vivo ed è l’unica possibilità che lo rimanga. Come dicevamo, abbiamo aperto le Residenze Digitali ai giovani spettatori: la sfida è fargli vivere le possibilità creative di strumenti tecnologici che fanno parte del loro vissuto quotidiano, usati, però, in modi diversi, proprio come fa ogni creazione artistica. La loro già una dimensione ibrida di vita.
La rappresentazione ibrida è una delle forme che convoca l’arte, non è una sostituzione dello spettacolo dal vivo, che da tempo vive in molteplici luoghi: tra i velluti, in metropolitana, nel Metaverso.
Se ci chiudiamo sul noto, sul già fatto, sul già sperimentato, come possiamo accogliere nuovi pubblici e le sfide che questo comporta?