ELVIRA SESSA* | Il Guardiano notturno, della compagnia olandese Het Filiaal theatermakers, andato in scena dal 10 al 12 novembre presso il Mattatoio per la rassegna Kids del Romaeuropa Festival, è uno spettacolo senza parole, capace di immergere adulti e bambini, italiani e stranieri, nel viaggio fantastico di uno strampalato vigilante.
Merito del linguaggio universale della musica, delle luci e della straordinaria mimica del protagonista.
Non è un caso che le produzioni della compagnia Het Filiaal theatermakers, che ha come direttrice artistica Monique Corvers, siano rappresentate in tutto il mondo, da Sydney a Shanghai, da New York a Mosca. Tra queste, negli ultimi anni, ricordiamo The Great Illusionist, Miss Ophelia, Falling Dreams, House e The secret of Q.
Il palco è illuminato inizialmente solo da un grande schermo con nove monitor che mostrano la ripresa in diretta delle telecamere di sorveglianza di un edificio.
Appena le luci, dall’alto, si accendono, il guardiano (Noël van Santen) entra in scena.
Si dirige, deciso e con passo marziale, verso un armadietto. Ma la rigidità non gli si addice. Sobbalza sbadatamente sul pavimento sconnesso, suscitando risate qua e là. Apre l’armadietto con movimenti precisi e rapidi, sostituisce la giacca che indossa con un’altra…“identica” alla prima – come una vocina dal pubblico commenta candidamente ad alta voce – vi passa sopra meticolosamente il rullo leva-peli, insistendo sulle braccia e sotto le ascelle, ridacchiando per il solletico. Infine, si lustra ossessivamente le scarpe con uno scopino da bagno.
La mimica facciale fa il resto. Il sorriso abbozzato, gli occhi stralunati e un po’ sognanti, tradiscono la vera indole di un uomo chiamato per mestiere ad assicurare un ordine che sfugge prima di tutto a sé stesso. Un personaggio così bizzarro non poteva che catturare da subito la simpatia dei più piccoli che, durante tutto lo spettacolo, fanno sentire sorrisi, risate, commenti.
Il guardiano si accomoda dietro alla scrivania della sala di controllo e accende la radio che trasmette in sottofondo ora musica, ora un vociare indistinto. Di tanto in tanto si alza di scatto, afferra una torcia accecante e inizia la ronda di vigilanza. Poi, torna pigramente alla sua postazione e relaziona per iscritto. I pochi oggetti di scena (una scrivania, un cestino, un armadietto, una libreria con fascicoli, una tanica d’acqua, un secchio, una scopa) delineano efficacemente il perimetro del suo lavoro, schematico e monotono.
Sembra che la ripetitività lo rassicuri. Tuttavia, distratto com’è, non riesce, suo malgrado, a essere prevedibile. All’ora della merenda, nel versarsi da bere inonda di acqua la scrivania e, al posto di un biscotto, finisce per deglutire un pezzo di carta.
Tutto, comunque, sembra scorrere tranquillo, finché non succede un fatto insolito: un misterioso liquido scuro inizia a fuoriuscire da una stanza dell’edificio.
La pièce che fino a questo momento ha stuzzicato più curiosità che coinvolgimento, si fa emozionante.
È un crescendo di tensione, sottolineata dai movimenti accelerati del personaggio, dalla musica (Gábor Tarján) e dalle luci (Claus den Hartog). Le note di ‘O sole mio di Caruso, che ascoltava oziosamente per radio, iniziano a deformarsi grottescamente. La luce, da calda, diffusa e riposante, si fa fredda, sinistra. Predominano il blu, il violetto e i contrasti luminosi.
Il guardiano si allarma, spranga la porta da cui proviene il liquido e con movimenti frenetici cerca di asciugare, o meglio di cancellare le tracce di quell’imprevisto disturbante.
A un certo punto, in uno stupore generale del pubblico (un “oooooooh” dei bambini, fragoroso, all’unisono) un grande pupazzo, a forma di polipo, precipita dall’alto sul palcoscenico. Il guardiano, inizialmente timoroso, poco alla volta si affeziona, fa amicizia con quell’animale sconosciuto e se lo carica sulle spalle.
La poesia, la fantasia, la magia prendono allora il sopravvento. Complice un delicato e riuscitissimo gioco di suoni e immagini, il pubblico affonda nelle onde di un mare in tempesta, rappresentate visivamente da fogli di carta, che l’attore fa scorrere velocemente l’uno sull’altro.
Lo schermo della sala di controllo è ora occupato da strani esseri, che riproducono e ingigantiscono le figure che l’attore muove su una scrivania e riprende con una telecamera (video di Bart Verhoeven): in una festa di luci e colori, due scopini da bagno si animano e danzano in una foresta di alberi dalle chiome bianche in cui si aggirano un omino di plastica e un polpo.
C’è silenzio in sala. Il fiato resta sospeso per l’intera durata di questa rocambolesca avventura.
Poi, di colpo, tutto svanisce.
Ma il guardiano non è più lo stesso. Lo vediamo sereno, con una espressione non più forzata, non più ingessato in un ruolo che non gli appartiene. Ritorna, con un passo regolare e naturale, verso il luogo da cui fuoriesce il liquido e, ora, la porta di quella stanza la spalanca e ci entra.
Tutta fantasia?
Un colpo di scena finale, che qui non sveliamo, ribalta questa convinzione.
Cinquanta minuti di poesia in questo spettacolo che grazie all’accurata messinscena (Ramses Graus), all’eleganza, all’ironia e alla credibile interpretazione del protagonista, è riuscito a superare differenze linguistiche e culturali e a trascinare metaforicamente sul palco i bambini e il bambino che noi adulti ci portiamo dentro.
De Nachtwaker – Il guardiano notturno
con Noël van Santen
regista Ramses Graus
musiche Gábor Tarján
luci Claus den Hartog
video Bart Verhoeven
foto Joris van Bennekom
Mattatoio di Roma | 11 novembre 2023
* PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture, anche in collaborazione con docenti e università italiane, per permettere il completamento e la tutorship formativa di nuovi sguardi critici per la scena contemporanea e i linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac ne accoglie sul sito gli articoli, seguendone nel tempo la pratica della scrittura critica.