RENZO FRANCABANDERA | Arturo Cirillo torna dopo dieci anni a portare in scena Ferdinando, capolavoro della drammaturgia di Annibale Ruccello (1956-1986): il regista e attore è stato frequentatore in forma ampia della drammaturgia del compianto autore campano, attraversandola sempre con cura e attenzione, in modo quasi devozionale, sotto certi aspetti, e fortunato con i rimarchevoli allestimenti de Le cinque rose di Jennifer e L’ereditiera (che gli valse il Premio Ubu).
Dopo le date ad Ancona, dove lo spettacolo ha debuttato al Teatro delle Muse, è iniziata una tournée che porterà il lavoro in molte importanti piazze italiane come nel caso di Prato (il Metastasio coproduce lo spettacolo) dove è stato in scena nei giorni scorsi.
Ferdinando è un testo intrinsecamente malizioso, che offre una prospettiva cinica sull’universo apparentemente rispettabile della parte più morbida della società. L’atto d’accusa di Ruccello non dispone di un singolo portavoce, girando invece attraverso le bocche di vari personaggi, culminando in una condanna brutale in cui la mediocrità trionfa su se stessa attraverso i più brutali istinti. Da questo punto di vista, la drammaturgia storica di Ruccello emerge come un capolavoro di cinismo e un’accusa tagliente, ma criminalmente lucida.
La ben nota narrazione ruota attorno a Donna Clotilde, una vedova dal carattere forte e con convinzioni politiche borboniche, che vive agiata e assistita da Gesualda, una zitella sottomessa ma desiderosa di vendetta. Quest’ultima è coinvolta con Catellino, il torbido e accanitamente bisessuale sacerdote del villaggio devoto ai piaceri della carne con dedizione missionaria. Tutti saranno ingannati dal carismatico impostore Ferdinando che, fingendosi il lontano nipote della vedova, entra nella casa della presunta malata, risvegliando in lei e nelle altre figure circostanti un istinto per la vita a ogni costo.
La storia si conclude con una svolta finanziaria, mostrando il genio drammaturgico di Ruccello e consolidandola come la più rinomata creazione teatrale dello scomparso scrittore napoletano. Attraverso la sua evocazione onirica e destabilizzante della follia inarrivabile nel quotidiano mediocre, Ruccello ha anticipato gli sviluppi del panorama teatrale, in particolare quelli della scuola britannica degli ultimi due decenni del secolo scorso.
Il regista Arturo Cirillo, che interpreta anche il ruolo del prete, fornisce una prospettiva fedele e non scenicamente azzardata di questo capolavoro, volendo mantenere intatto la potenza dell’impulso creativo del drammaturgo. Il riferimento alla malata immaginaria, nell’inconscio del fruitore teatrale, si collega non solo alla versione storica interpretata da Isa Danieli, ma anche a Il malato immaginario di Molière.
In scena a dar corpo alla vicenda una compagnia formata da: Sabrina Scuccimarra (Donna Clotilde), Anna Rita Vitolo (Donna Gesualda), Arturo Cirillo (Don Catello), Riccardo Ciccarelli (Ferdinando), dentro un ambiente pensato da Dario Gessati che non viene praticamente quasi mai smosso da stimoli musicali (i pochi inserti sono a cura di Francesco De Melis). Preferisce la regia, che pure viene da un allestimento “musical” del Cyrano, il solo ritmo delle parole, senza altro ad aggiungersi. E questa specifica scelta appare invero apprezzabile e a fine recita mette in risalto ancor più l’impegno e la scommessa sulla parola ruccelliana.
Nella intricata narrazione, l’intensità si dipana attraverso caratterizzazioni e progressivi slittamenti dei profili psicologici, immergendo il pubblico nella stanza maleodorante della malattia, dove Donna Clotilde resiste asserragliata e disillusa alla fine del regno borbonico, chiudendosi quasi in un autismo verbale fatto di un dialetto ristretto, respingendo non solo la lingua della nuova Italia ma anche l’avanzare dell’età.
Il palcoscenico è dominato da un letto centrale con le coperte di un colore verdastro, santuario dove la nobildonna finge malattia, governando con fare dittatoriale sulla cugina povera, Gesualda, e attirando le oleose attenzioni del prete. Il desiderio sessuale ribolle sotto la superficie, sfidando antichi valori e lasciando intravedere l’avidità per l’eredità che i frequentatori di questo microcosmo potranno accaparrarsi alla morte della donna. L’arrivo di Ferdinando, un giovane e affascinante orfano, scompiglia l’equilibrio consolidato, risvegliando il desiderio in tutti i personaggi e disturbando dinamiche ben radicate.
Il design scenico di Dario Gessati, fisso e al contempo mutevole come le situazioni di cui ospita la narrazione, ruota attorno a un colossale tappeto rosso logoro e polveroso che fa da sfondo non solo a pavimento ma anche come parete di fondale, alzandosi in un continuum dal pavimento alle americane, illuminando la tela con tonalità luministiche ora rosso-bruna ora rosso sangue. Oltre al letto, un inginocchiatoio e sulla destra, in posizione nascosta, una sorta di piccolo studiolo, spazio di passaggio e accesso alla stanza della donna, in cui prima avranno luogo gli incontri fra il prete e Gesualda, e poi i transiti del giovane ospite, per spiare la situazione e arrivare a mettere sotto scacco gli altri personaggi della vicenda.
Cirillo costruisce dieci anni dopo un allestimento fondato su una diversa maturità di tutto il cast, che si muove dentro una camera di tortura, che sarà progressivamente abitata da veleni, pulsioni, finzioni ed esplosioni. I personaggi competono fra di loro in una recita continua e la rivelazione di desideri nascosti porta a una conclusione violenta, strappando via maschere indossate per contenere o liberare il desiderio.
Scuccimarra ritorna sulla sua già vigorosa Donna Clotilde di un decennio fa ma con una consapevolezza matura, interpretando una tiranna capricciosa che rivela vulnerabilità inaspettate, bilanciata nei suoi eccessi in modo invero perfetto da una impeccabile Anna Rita Vitolo, personaggio apparentemente più semplice ma in realtà complesso e centrale negli equilibri scenici.
Cirillo nei panni di Don Catello è un prete fin da subito con il colletto allargato e che propone una lettura dell’opera tradizionale e fedele, accessibile e con un ritmo gradevole, che il pubblico sottolinea con risate e applausi. Impertinente il Ferdinando di Ciccarelli, mix di paganesimo e cristianesimo, austerità e desiderio. Cirillo ripropone Ruccello con la cifra del classico senza tempo, capace di rivelare la fragilità dei desideri umani e delle strutture sociali.
FERDINANDO
di Annibale Ruccello
con Arturo Cirillo, Sabrina Scuccimarra, Anna Rita Vitolo, Riccardo Ciccarelli
scene Dario Gessati
disegno luci di Paolo Manti
costumi Gianluca Falaschi
musiche Francesco De Melis
regia Arturo Cirillo
regista collaboratore Roberto Capasso
produzione MARCHE TEATRO, Teatro Metastasio di Prato, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini