GIULIA BONGHI | Il Festival Donizetti di Bergamo inizia nella città bassa. La prima opera in programma è Il diluvio universale. In scena al Teatro San Carlo di Napoli il 6 marzo 1830 viene rimaneggiato quattro anni dopo per il Teatro Carlo Felice di Genova. Appartiene al genere dell’opera ‘quaresimale’; nei Teatri Reali napoletani era infatti abitudine dal 1785 che si rappresentassero in quaresima spettacoli consoni e cioè senza balli e solitamente di argomento biblico. Il genere era stato codificato da Rossini nel 1818 con il Mosè in Egitto.

Donizetti parte dal modello rossiniano, creando un’opera innovativa. Anticipa inoltre il Nabucco verdiano, dimostrando ancora una volta la sua centralità nello sviluppo del melodramma italiano Ottocentesco. Della sua prima – e ultima – opera quaresimale, Donizetti si assume anche il compito, solitamente del poeta, di cercare un argomento e di immaginarne l’intreccio e la struttura. All’episodio della Genesi, la predicazione di Noè e il diluvio, aggiunge una dimensione privata, con il triangolo amoroso tra Sela, Cadmo e Ada, traendo spunto da varie fonti letterarie. Dalla tragedia di Francesco Ringhieri ricava i nomi delle mogli di Sem, Cam e Jafet e l’antagonismo di Cadmo nei confronti di Noè.
L’ostinata opposizione di Cadmo è il perno dell’idea registica dei MASBEDO, duo artistico formato da Nicolò Massazza e Iacopo Bedogni, affiancati da Mariano Furlani, incaricato della drammaturgia visiva. Il cataclisma divino è traslato al giorno d’oggi in crisi climatica. Cadmo – voce tenorile nella parte del cattivo, da scrittura vocale rossiniana, interpretato da Enea Scala – rappresenta la volontà di non abbandonare lo stile di vita abituale, il menefreghismo e l’ossessione del presente, l’immobilità di fronte al cambiamento climatico e agli avvertimenti della natura.
Il pre-opera fuori dal teatro richiama l’attivismo di organizzazioni come la Sea Shepherd, per la difesa del Mar Mediterraneo e la salvaguardia dell’ecosistema marino e della biodiversità. Un esempio di lotta per la tutela della natura. Vi hanno partecipato gli allievi di diversi istituti bergamaschi, indossando giacche impermeabili colorate e mostrando, su monitor carrellati, immagini di habitat marini in pericolo, che appariranno anche sul palcoscenico.
La scena, creata da 2050+, prevede un ledwall, quinte assenti, un lungo tavolo sul quale si consuma “l’ultima cena dell’umanità” e l’arca. Si tratta di una struttura di metallo appesa, che sarà la gabbia che tiene chiusi gli individui all’interno di un mondo fintamente protetto. Uno spazio-installazione nel quale agiscono i due gruppi rivali, accompagnati da una regia video live. Parte dell’opera prevede una serie di immagini video più o meno coerenti, per lo più slegate dalla musica e dal libretto. Il banchetto nel palazzo di Cadmo prevede invece una regia in presa diretta. Sono gli stessi MASBEDO a riprendere attori e cantanti che attorno alla tavola divorano gelatine ed esibiscono espressioni e atteggiamenti lascivi. Uno sguardo che scava nel privato degli indolenti.

I video proiettati distraggono molto dal resto della scena e soprattutto dalla musica, e ciò spiega in gran parte le vive contestazioni del pubblico alla regia, al termine della rappresentazione. Applaudita invece è l’esecuzione musicale di grande pregio del M° Riccardo Frizza e degli interpreti.

Il diluvio universale – Ph Gianfranco Rota

Superate le antiche mura veneziane, si prosegue per le strade lastricate della città alta. Una visita alla Basilica di Santa Maria Maggiore è stata doverosa. Lì si possono ammirare il monumento funebre a Gaetano Donizetti e le tarsie dell’iconostasi – che separa il presbitero dalle navate – di Lorenzo Lotto, tra le quali il Diluvio universale. Giusto per restare in argomento.

La seconda opera del Festival, Lucie de Lammermoor, è in scena al Teatro Sociale. Si tratta della versione francese, riadattata per il Théâtre de la Reinassance di Parigi e andata in scena il 6 agosto 1839, di quella napoletana del 1835 – il soggetto è tratto dal romanzo The Bride of Lammermoor di Walter Scott. Le modifiche apportate al libretto e alla partitura sono notevoli, tanto che l’impressione è quella di un’opera nuova. Il compito era quello di rendere Lucia un’opera de genre, sostanzialmente un’opera italiana per forma e convenzioni ma in lingua francese.

Il libretto presenta le modifiche più rilevanti, adeguandosi alle regole drammaturgiche che seguiva il teatro classico francese: l’attenzione alle unità aristoteliche e alla liaison des scènes, che prevede che almeno un personaggio rimanga a cavallo tra una scena e l’altra, garantendo coesione e continuità. L’impianto musicale rimane pressoché lo stesso, adeguato alla prosodia francofona. Significativo è il progressivo isolamento di Lucie, enfatizzato dall’assenza dei due unici personaggi che le sono solidali: Alisa, che scompare del tutto, e Raimondo, che da “educatore e confidente” diviene “ministre protestant”. Lucie rimane l’unica donna, strumentalizzata dagli uomini, usata come moneta di scambio per ragioni politiche, senza spazio di compassione nei suoi confronti.
Il regista Jacopo Spirei colloca la tragedia in un bosco, senza connotazioni specifiche; è un luogo della mente. La scena, firmata da Mauro Tinti, con i costumi anni ’50-‘60 di Agnese Rabatti, prevede un doppio fondale – quello posteriore viene svelato e celato all’occorrenza, proiettando poche immagini utili a sottolineare l’atmosfera. Sul palcoscenico un albero e della terra, che prolungano così l’immagine del bosco impressa nel fondale. Mi richiama alla memoria alcune opere suggestive dell’artista tedesco Anselm Kiefer, come Shevirath Ha Kilim – 2009, Kiefer Pavilion.

Aperto il sipario, due giovani amanti sono nel bosco. Si cercano, giocano, si baciano, fin quando la ragazza si ritrova circondata da altri uomini. Entra lentamente tutto il coro maschile e altre tre donne. Sono in trappola. La caccia per la quale si erano dati appuntamento gli uomini non è alle bestie ma alle donne. La violenza si palesa fin dalle prime note: le quattro ragazze vengono inseguite, si intuisce l’abuso, e infine “accumulate” per terra da Henri Ashton – Vito Priante – come pezzi di carne. Ogni tanto cadono dalla graticcia delle foglie; la poeticità autunnale enfatizza la ferocia di questi uomini.

Anche l’incontro tra Lucie ed Edgard – Patrick Kabongo – non sottrae una certa irruenza. I due giovani nel dirsi addio fanno un patto di sangue, tagliandosi e unendo i palmi della mano, e si scambiano gli anelli: negli antichi usi scozzesi, il rito aveva il valore di un matrimonio celebrato a tutti gli effetti. Edgard parte e nei mesi che seguono Henri ordisce un piano per tenerlo separato da sua sorella, Lucie, e unirla in matrimonio con Sir Arthur – Julien Henric -, una mossa politica per ricevere privilegi. Gli invitati alle nozze sono una società inquietante che applaude, fittizia e incosciente. Le donne meste e gli uomini compiaciuti. Lucie in abito da sposa è pallida e lugubre sotto il velo bianco. Lo stesso tavolo, posto in diagonale, sul quale si taglia la torta, sarà scenario della follia di Lucie insanguinata, con il corpo freddato di Arthur sul fondo.
Nel finale il bosco ospita una macchina sfasciata, sfondo del suicidio di Edgard. Su un ammasso di terra a sinistra sono ammucchiati i cadaveri di alcune donne. Viene gettata benzina sui corpi esanimi e sulla fiamma dell’accendino termina l’opera.

A inizio recita, il direttore artistico Francesco Micheli dedica la rappresentazione a Giulia Cecchettin, il cui corpo è stato ritrovato quella mattina stessa, e a tutte le vittime di   femminicidio. A oggi, quest’anno, in Italia sono ottantatré. Annuncia anche l’indisposizione della protagonista Caterina Sala, che decide di cantare ugualmente. Purtroppo, date le evidenti difficoltà palesatesi sin da subito, è costretta a rinunciare a cantare nel terzo atto. Rimane in scena a recitare mentre a lato del palco canta Vittoriana De Amicis, che, nonostante il mancato acuto finale, ha esibito un bel timbro agile. Il direttore Pierre Dumoussaud guida con gesto impreciso l’orchestra Gli originali, che non ha saputo trovare un giusto equilibrio e ha mostrato diversi problemi di intonazione – ben più ostica quando si utilizzano gli strumenti antichi. Se la resa musicale è un po’ traballante, convince pienamente l’impostazione registica.

Lucie de Lammermoor – Ph Gianfranco Rota

Il mattino seguente ho avuto il piacere di assistere al concerto Casa e Bottega, alla casa natale di Donizetti. I brani eseguiti dai giovani allievi della Bottega Donizetti, sono tratti da due raccolte del compositore bergamasco: Soirées d’automne à l’Infrascata, quattro brani e due duetti, e Nuits d’été à Pausilippe, sei ariette e sei notturni a due voci, per canto e pianoforte.

Nuovamente davanti al Teatro Donizetti, in città bassa, una scena pre-opera introduce l’ultimo melodramma del Festival: Alfredo il Grande. La storia del primo grande sovrano dei britanni non ha una fonte letteraria ma è una figura che circolava nei libretti dell’epoca. L’opera debutta il 2 luglio del 1823, i due riferimenti principali per il giovane compositore furono Alfredo il grande, re degli Anglosassoni di Mayr, maestro di Donizetti, e la Donna del lago di Rossini, opera anch’essa di carattere eroico, in scena nella medesima stagione. Delle vicende storiche del re condottiero il libretto si concentra sull’episodio di Athelney, dove Alfredo rimane nascosto in incognito, per riorganizzare le truppe inglesi in vista della battaglia di Ethandun contro l’esercito danese.

Siamo nel IX secolo. Durante il primo atto la regina Amalia – eccezionale Gilda Fiume – ritrova Alfredo – Antonino Siragusa -, senza accorgersi di essere pedinata dal generale danese Atkins – Adolfo Corrado. Il secondo atto è una lunga attesa della battaglia annunciata, che non vediamo mai. Di fatto il libretto di Tottola è, dal punto di vista drammaturgico, estremamente asciutto, senza alcun approfondimento psicologico dei personaggi.
Il regista Stefano Simone Pintor decide di soffermarsi sulla figura di Alfredo  riguardo al suo ruolo politico e militare ma anche di intellettuale: il suo apporto culturale infatti influisce nella creazione di un’identità nazionale.
La struttura scenica di Gregorio Zurla si presenta come un grande libro, ledwall e praticabile, sul quale si muovono tutti i personaggi. Raccontano la storia di Alfredo, suggerendo parallelismi con il mondo contemporaneo. “In tempi di guerra come quelli che stiamo vivendo anche oggi, la cultura diventa subito una delle vittime”, sottolinea il regista intervistato da Alberto Mattioli sul programma di sala.

Partecipa per la prima volta al Festival il Coro della Radio Ungherese, in vesti da concerto. Anche il cast indossa, sugli abiti da sera, pochi costumi distintivi – firmati da Giada Masi – utili alla narrazione. Così come sono limitati gli oggetti in scena, per lo più libri. Poche connotazioni per una resa efficace della narrazione, e utilizzo di simboli. Primo fra tutti quello della croce. Compare chiaramente sulla copertina degli spartiti del coro, separando le due fazioni: la croce di San Giorgio, croce rossa su fondo bianco, identifica la bandiera inglese; il Dannebrog, croce bianca su fondo rosso, quella danese.
A rafforzare il concetto alla base dell’idea registica vi sono diversi gesti, come l’atto di Atkins di strappare le pagine del libro che Amalia porta sempre con sé, e le proiezioni. Scontri, ostilità, incendi, libri arsi. C’è la denuncia dell’orrore della guerra e dell’ignoranza che la segue – e la precede, aggiungerei. L’azione procede con movimenti semplicissimi, talvolta anche del coro, lasciando grande spazio a un’esecuzione musicale ineccepibile.

La lettura di Corrado Rovaris è precisa, varia nella coloratura e dinamica. L’opera termina con un inno alla pace, con il Rondò belcantistico di Amalia e la banda in scena che dialoga con l’orchestra in buca. Sullo sfondo emerge una frase: “la cosa più triste per un uomo è che sia ignorante, la più eccitante è che sappia”.

Alfredo il Grande – Ph Gianfranco Rota

Una conclusione ideale di questi tre giorni densi e ricchi di scoperte. Il potere dell’arte si evince proprio quando pare impossibile discutere, o anche solo parlare. In questi tre giorni durante il Festival si è dibattuto di emergenza climatica, di femminicidio e della crisi di ignoranza che è la principale fonte di violenza e disinteresse. La cultura è la nostra migliore salvaguardia contro ogni egoismo, abuso e crudeltà.

Festival Donizetti Opera

IL DILUVIO UNIVERSALE

Azione tragico sacra di Domenico Gilardoni
Musica di Gaetano Donizetti
Edizione critica della versione di Napoli a cura di Edoardo Cavalli
Noè Nahuel Di Pierro
Jafet Nicolò Donini
Sem Davide Zaccherini*
Cam Eduardo Martinez*
Tesbite Sabrina Gárdez*
Asfene Erica Artina
Abra Sophie Burns
Cadmo Enea Scala
Sela Giuliana Gianfaldnoni
Ada Maria Elena Pepi*
Artoo Wangmao Wang
Orchestra Donizetti Opera
Direttore Riccardo Frizza
Coro dell’Accademia Teatro alla Scala
Maestro del coro Salvo Sgrò
Progetto, regia, regia in presa diretta e costumi MASBEDO
Drammaturgia visiva Mariano Furlani
Scene 2050+
Movimenti scenici Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco
Light Designer Fiammetta Baldiserri
Costumista collaboratrice Cinzia Mascheroni

LUCIE DE LAMMERMOOR

Opéra en trois actes di Alphonse Royer e Gustave Vaëz
Musica di Gaetano Donizetti
Revisione sulle fonti originali a cura di Jacques Chalmeau
Henri Ashton Vito Priante
Edgard Ravenswood Patrick Kabongo
Sir Arthur Julien Henric
Gilbert David Astorga
Raimond Roberto Lorenzi
Lucie Caterina Sala
Orchestra Gli Originali
Direttore Pierre Dumoussaud
Coro dell’Accademia Teatro alla Scala
Maestro del coro Salvo Sgrò
Regia Jacopo Spirei
Scene Mauro Tinti
Costumi Agnese Rabatti
Light Designer Giuseppe Di Iorio
Assistente alla regia Alessandro Pasini

ALFREDO IL GRANDE

Dramma per musica di Andrea Leone Tottola
Musica di Gaetano Donizetti
Edizione critica a cura di Edoardo Cavalli
Alfredo Antonino Siragusa
Amalia Gilda Fiume
Eduardo Lodovico Filippo Ravizza
Atkins Adolfo Corrado
Enrichetta Valeria Girardello
Margherita Floriana Cicìo*
Guglielmo Antonio Gares
Rivers Andrés Agudelo
Orchestra Donizetti Opera
Direttore Corrado Rovaris
Coro della Radio Ungherese
Maestro del coro Zoltán Pad
Regia Stefano Simone Pintor
Scene Gregorio Zurla
Costumi Giada Masi
Light Designer Fiammetta Baldiserri
Video Designer Virginio Levrio
Assistente alla regia Veronica Bolognani

*Allievi della Bottega Donizetti

CASA E BOTTEGA

Concerto alla casa natale di Gaetano Donizetti
Soireés d’automne à l’Infrascata
Nuits d’été à Pausilippe
Musica di Gaetano Donizetti
Bottega Donizetti
Soprano Floriana Cicìo
Soprano Sabrina Gárdez
Mezzosoprano Maria Elena Pepi
Tenore Davide Zaccherini
Baritono Eduardo Martínez
Pianoforte Hana Lee

Bergamo, 16 novembre – 3 dicembre