CHIARA AMATO * | Al Teatro della Cooperativa di Milano torna Giovinette. Le calciatrici che sfidarono il Duce, con la regia di Laura Curino.
Lo spettacolo, tratto dall’interessante omonimo romanzo storico di Federica Seneghini, giornalista del Corriere della Sera, e di Marco Giani, storico e membro della Società italiana di Storia dello Sport, è coprodotto da Rara Produzione con PEM, Associazione Culturale nella quale operano professionalità artistiche unite dal desiderio di creare progetti con un contenuto sociale (tra le fondatrici, Rita Pelusio insieme ad Anna Marcato).
L’autrice si è interessata all’argomento in occasione dei mondiali 2019 e ha scelto di lasciare la narrazione in prima persona a Marta Boccalini, una delle protagoniste, partendo da alcune testimonianze scritte sul suo diario. Il testo parla infatti di vite private all’interno di un contesto storico ben specifico: la Milano che fa infatti da sfondo è quella del periodo fascista ed è interessante anche il processo di ricostruzione fatto da Seneghini.
Siamo nel 1932, decimo anno dell’era fascista, e un gruppo di ragazze appassionate di calcio decide di sfidare gli stereotipi (anche) sportivi sul “gentil sesso”, formando una squadra di calcio femminile. Il racconto, basato su fatti realmente accaduti, ci porta con loro attraverso gli ostacoli che incontreranno per poter vivere liberamente una passione e avere il diritto di divertirsi allenandosi e giocando: derise pubblicamente, picchiate nei focolai domestici, messe ai margini del sociale, accontentate con piccole libertà, queste giovani calciatrici finiscono poi per sparire nel dimenticatoio quando il governo del Duce decide che non dovranno più esistere.
In scena una panchina e alle spalle una cornice rettangolare grigia, nient’altro: scelta netta di Lucio Diana che rimanda sia a un luogo di dialogo sia alla panchina in senso sportivo, quella ai lati del campo, dove il resto della squadra può partecipare solo emotivamente.
Lo spettacolo è strutturato seguendo l’ordine cronologico degli eventi: dalla fondazione del GFC (Gruppo Femminile Calcistico), alle restrizioni subite (dovevano usare un pallone di gomma e indossare la gonna, passare la palla rasoterra e in porta doveva esserci un uomo per preservare le loro “capacità riproduttive”), fino alla ricerca di popolarità attraverso un vero e proprio “stalkeraggio” alle testate sportive. Riescono a ottenere la possibilità di giocare al Meazza, per poi essere nuovamente escluse dal calcio quando il fenomeno stava prendendo troppo piede.
Le tre attrici (Federica Fabiani, Rossana Mola, Rita Pelusio) indossano abiti d’epoca, ideati da Francesca Biffi, sulle tinte del nero e del bianco: camicia, gonna e scarpe con il tacco. Tutto molto essenziale. Quello che deve essere evidenziato e detto a squarciagola è la loro storia, le loro parole di libertà, di rabbia, di impotenza.
Si alternano, con ironia e leggerezza, dialoghi e monologhi, questi ultime caratterizzati da un cambio luci e dalla posizione in scena dell’attrice coinvolta; infatti, in queste occasioni, a turno, si staccano dal trio e avanzano verso il pubblico, si raccontano e si mostrano nei tratti più intimi delle loro paure e dei loro pensieri, abbassano il tono della voce e anche le luci (di Valentino Ferro) da aperte e forti lateralmente diventano basse e sulle tinte del lilla e del blu.
Nei dialoghi invece il ritmo è serratissimo e le voci sono squillanti, in particolare quella di Rita Pelusio, che svela la sua esperienza come comica e cabarettista: si muove rapidissima, generando entusiasmo ed empatia per la vicenda. Anche il personaggio di Fabiani risulta molto buffo per la grande espressività facciale adoperata e per le scaramucce e gli sfottò con le altre due. Mola invece interpreta il personaggio più posato e politicamente schierato contro il regime; a muoverla è la passione per la libertà più che per lo sport, e viene da una storia familiare di partigiani ed esiliati.
Nel complesso si percepisce armonia nella recitazione delle tre attrici: funzionano le combinazioni di caratteri e di differenze espressive, creando insieme uno spaccato dell’epoca lasciato in panchina.
Di particolare verve comica il monologo di Pelusio trovatasi finalmente di fronte al suo idolo Giuseppe Meazza: parte in un vortice di parole che trasmette tutta la sua ansia da prestazione, la sua gioia quasi infantile e l’imbarazzo di una dilettante che però è riuscita ad arrivare fin lì. Un fiume in piena interrotto solo da quel termine che durante tutto lo spettacolo le aveva fatto prendere a pugni qualsiasi cosa le capitasse a tiro: il famoso calciatore infatti la chiama ‘signorina’, anche lui, anche all’interno di uno stadio, ma signorina lei non si sente.
La regia di Laura Curino, vincitrice nel 2023 del Premio della critica dell’Associazione Nazionale Critici di Teatro, è semplice, schietta e arriva al pubblico per la sua comicità dolce-amara. Adopera un linguaggio ordinario e rispetta il testo di partenza, facendo la cronaca dei fatti, assumendo i toni della telecronaca sportiva per alcuni passaggi.
Non c’è nessuna sperimentazione, l’utilizzo dello spazio si articola in maniera classica e frontale e le attrici si aggirano per l’intero palco rincorrendosi, esultando e narrando una vicenda, come accadrebbe in un contesto amicale. Il linguaggio verbale e fisico, insieme al movimento scenico è lineare e pulito e tutto resta sulle tonalità del gradevole senza mai eccedere né sul politico né sul comico in un giusto equilibrio, per nulla facile da ottenere senza risultare banali.
Quello che poteva essere regolato in maniera diversa è l’utilizzo dei toni, che spesso rasentano l’urlato, risultando talvolta eccessivi, ma i sentimenti che prevalgono in sala sono vicinanza e simpatia per le protagoniste di una vicenda che resta comunque attuale per il genere femminile: ieri come oggi le donne subiscono violenze nel focolaio domestico, sono escluse o declassate in determinati sport, dipendono troppo spesso dagli uomini per poter avere sostegno nelle attività imprenditoriali.
I tre fischi finali e la loro sconfitta lasciano un boccone arduo da digerire per le figure in scena e per le donne in sala: ogni piccolo passo di emancipazione e ogni diritto raggiunto è stato faticato, voluto e non sempre ottenuto completamente.
Le “giovinette” non vogliono essere ‘signorine’ perché dietro quel termine e quelle gonne ci sono donne calciatrici, combattive, sognatrici.
GIOVINETTE
Le calciatrici che sfidarono il Duce
tratto dall’omonimo romanzo di Federica Seneghini e Marco Giani
regia Laura Curino
con Federica Fabiani, Rossana Mola, Rita Pelusio
collaborazione artistica Marco Rampoldi
adattamento drammaturgico Domenico Ferrari
con la collaborazione di Laura Curino, Rita Pelusio
scene e scelte musicali Lucio Diana
realizzazione costumi e assistente alla regia Francesca Biffi
datore luci Valentino Ferro
co-produzione PEM Habitat Teatrali, Rara Produzione
con il sostegno di Fondazione Memoria della Deportazione e della Sezione ANPI Audrey Hepburn
Teatro della Cooperativa, Milano | 29 novembre 2023
* PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture, anche in collaborazione con docenti e università italiane, per permettere il completamento e la tutorship formativa di nuovi sguardi critici per la scena contemporanea e i linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac ne accoglie sul sito gli articoli, seguendone nel tempo la pratica della scrittura critica.