MARIA FRANCESCA SACCO* | Strade dissestate, ospedali pieni di malati che non vengono curati, soldi destinati a opere pubbliche che non si sa dove vadano a finire: la Russia di Nikolaj Gogol’ di fine Ottocento è un quadretto di ipocrisia e corruzione facilmente riferibile al potere di tutte le epoche e tutti i Paesi. Personaggi come il Podestà, rappresentante del governo corrotto e profittatore, il giudice con il suo ghigno di falsità, il dirigente scolastico: sono alcuni dei portavoce del potere che Gogol’ mette violentemente alla berlina ne L’ispettore Generale. Un testo divertente ma scomodo e insidioso, quello di Gogol’, con il quale pochi hanno azzardato confronto: risale a quasi dieci anni fa una messa in scena di Damiano Michieletto che, nel 2014, decise di riproporre il testo dell’autore russo cavalcando l’onda dell’eccesso facendo sfilare sul suo palco una serie di personaggi esuberanti oltre ogni limite, calati nella contemporaneità del bar. Queste figure incedevano su zeppe vertiginose e si nascondevano dietro Ray Ban taroccati: una gara di pacchianeria tra gli esponenti del potere, che ritraeva gli eccessi del potere di ogni tempo.
In questa stagione il racconto ritorna nei teatri italiani per la regia di Leo Muscato, premiato come miglior regista nel 2007 dall’Associazione italiana dei critici teatrali e attivo nella prosa e nella lirica, che ne ha proposto una rilettura fedele sia nel testo che nelle atmosfere, e andato in scena di recente al Fraschini di Pavia.
Sotto suggestive nevicate notturne (fascinose le scene di Andrea Belli che riproduce le strade bianche di neve del paesino russo), su note di canti russi e fiumi di vodka, si muovono queste macchiette nel tentativo di districarsi dal ginepraio di imbrogli in cui si sono cacciati.
La commedia degli equivoci inizia con uno scambio di persona: un giovane sprovveduto viene infatti preso per un Ispettore Generale giunto nel piccolo paesino a controllare che tutto vada bene e che vi regni la virtù: niente di più lontano dalla realtà. Così, l’intera vicenda dal tratto tragicomico sarà una continua gara da parte degli esponenti delle istituzioni per ingraziarsi il finto ispettore, Chlestakov, che Daniele Marmi rende come un impacciato bambinone a cui, per una volta, la sorte sembra aver detto bene. Come conquistarlo? Elargendogli denaro, naturalmente, pur di comprare il suo silenzio, il suo favore. L’importante è che non si mostrino gli scheletri nell’armadio: nascondere, sotterrare, mettere a tacere. Niente scandali, dunque.
I personaggi si muovono in coro, esagerati, un po’ per la gestualità enfatica, un po’ per la recitazione a tratti leziosa che, pur impeccabile, tende a privarli di personalità propria. Una menzione particolare, tuttavia, va a Giulio Baraldi che interpreta Osip, il servo del finto Ispettore Generale: egli infatti tratteggia il suo personaggio con una postura ricurva alla Gollum e lo esalta con la cinesica, con i gesti misurati, necessari, come, ad esempio, lo stipare dei soldi donati al suo padrone nella minuscola borsetta, tutto curvo su di essa, custodendo gelosamente il “tessoro”.
È bene dire che la caricatura potrebbe ben calzare a questa sfilza di personaggi ridicoli di per sé, ampliandone i connotati negativi e sottolineandone le trivialità, tuttavia sono rappresentate allo stesso modo anche le vittime, come la vedova che viene frustata dal Podestà (Rocco Papaleo), ugualmente resa buffa nel momento in cui va a implorare l’aiuto del finto Ispettore.
Il Podestà incarna il potere subdolo, quello della meschinità del denaro e della politica e Rocco Papaleo ben lo restituisce attraverso i gesti e la mimica: il modo di allungare le banconote, accarezzandole e lasciandole scivolare nelle mani bramose dell’Ispettore ammaliato, ad esempio. O gli sguardi smaliziati di chi sa di potere tutto grazie al denaro o, ancora, il tono di voce ammiccante nel pronunciare il numero di rubli elargiti.
Il divertimento aleggia in sala e questi personaggi dal tratto macchiettistico, forse persino troppi per potercisi affezionare, appaiono come simpatiche maschere che, seppur drammaticamente vicine alla realtà, sembrano appartenere a un contesto così lontano da impedire al pubblico l’identificazione e dunque l’indignazione: restare entro le atmosfere russe dei colbacchi e delle gelide nevicate, monca per certi versi lo spettacolo di un’ulteriore spinta salace in grado di aggredire lo spettatore e tirarne fuori lo sdegno. Si resta un po’ nelle piacevole leggerezza del politically correct, forse distante dalle intenzioni del testo originale: la mordacità della satira, a suo tempo, scosse molto il pubblico dell’epoca, tanto che Gogol’ fu costretto ad apportare svariate modifiche.
In Gogol’ e così nella rappresentazione di Leo Muscato, il finale è lo scioglimento dell’equivoco, coronato dall’arrivo in città dell’Ispettore, quello vero stavolta. I personaggi dovranno fare i conti con la realtà oppure anche questo nuovo Ispettore sarà facilmente corruttibile?
Lasciando il pubblico nell’incertezza, i personaggi salutano la scena congelandosi in slow motion in un bellissimo quadro che, senza parole, racchiude tutta l’ambiguità finale e la drammaticità del testo. Le musiche originali di Andrea Chenna accompagnano questo frammento in cui il divertimento si perde per lasciare finalmente spazio al potere dell’immagine e al pensiero di ogni spettatore.
L’ISPETTORE GENERALE
Di – Nikolaj Gogol’
Adattamento e regia – Leo Muscato
Musiche originali – Andrea Chenna
Scene – Andrea Belli
Costumi – Margherita Baldoni
Luci – Alessandro Verazzi
Produzione – Teatro Stabile di Bolzano, Teatro Stabile di Torino – Teatro
Nazionale e TSV – Teatro Nazionale
Podestà – Rocco Papaleo
Chlestakov – Daniele Marmi
Osip – Giulio Baraldi
Moglie – Marta Dalla Via
Figlia – Letizia Bravi
Giudice – Marco Gobetti
Sovrintendente Opere Pie – Gennaro Di Biase
Dobčinskij – Michele Schiano di Cola
Bobčinskij – Michele Cipriani
Direttore scolastico – Marco Vergani
Ufficiale postale – Marco Brinzi
Medico, Vedova, Cameriera – Elena Aimone
Attendente, Mercante – Salvatore Cutrì
25 novembre 2023, Teatro Fraschini | Pavia
* PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture, anche in collaborazione con docenti e università italiane, per permettere il completamento e la tutorship formativa di nuovi sguardi critici per la scena contemporanea e i linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac ne accoglie sul sito gli articoli, seguendone nel tempo la pratica della scrittura critica.