ILENA AMBROSIO | Scrive Leopardi nel suo Zibaldone: Tutto è follia in questo mondo fuorché il folleggiare. Tutto è degno di riso, fuorché il ridersi di tutto. Tutto è vanità fuorché le belle illusioni e le dilettevoli frivolezze (Zibaldone, 3990).
Belle e dilettevoli sono per il Recanatese le illusioni, balsamo per quel cuore che resiste alla terrifica visone dell’arido vero. Immaginarle, praticarle è atto di resistenza e anche espressione massima dello spirito vitale dell’uomo capace di restare fanciullo, puro, entusiasta.
Un uomo che potrebbe avere i tratti del protagonista di Hotel Borges, ultima creazione della Piccola Compagnia della Mongolia, ospitata in quel luogo anch’esso della resistenza dell’immaginazione, che è Sala Ichos a San Giovanni a Teduccio, a Napoli.
Lui è Fortunello, un giovane che convive «con una pietra d’oro nella testa» grazie alla quale legge, vede, ascolta le cose a milioni e non le dimentica più. Cose della realtà, i particolari che lo circondano, e anche della non realtà; ciò che c’è e ciò che invece esiste solo nel mondo dorato della sua testa. Oggi, nell’oggi della rappresentazione, Fortunello compie 18 anni e un generico loro vuole portarlo fuori per togliergli la pietra dalla testa. Fuori, perché Fortunello abita una cantina, uno spazio tutto e solo suo, che è un quadrato di terra illuminato da una luce che ha il luccichio di una polvere luminosa, nel quale gli fanno compagnia solo un televisore, due fotografie e una manciata di biscotti della fortuna incartati di dorato cui di tanto in tanto attinge. Le piccole perle di saggezza che i biscotti custodiscono sono per lui come uno squarcio che si apre sul mondo.
Fortunello ama scrivere e ama scrivere perché «la condizione di orfano gli concedeva grandi spazi di solitudine», annodando a filo stretto la creatività a un necessario sentimento della malinconia. Conserva i suoi diari sotto il primo strato di terra, come fossero un tesoro da cercare ogni volta per leggercene qualche pagina. Quelle righe sono squarci sul suo di mondo.
Ma soprattutto Fortunello ha un sogno: diventare concierge d’hotel. Lui ama gli hotel, rivede, recitandole a memoria, le scene di Pretty Woman in cui il perfetto portiere è colui capace di far sentire speciale l’umanità che gli passa davanti, perché è in grado di leggerla, vederla, ascoltarla. Del resto «ogni essere umano è un piccolo albergo».
Questo Fortunello appare in scena ricoperto di una tinta dorata, elegante nel suo completo bianco. Sembra un po’ uomo e un po’ bambino, parla po’ come confessandosi e un po’ come volendo insegnare qualcosa di assolutamente indispensabile da sapere. Le sue movenze sembrando venire da lontano, dalla Commedia dell’Arte, da Totò, dalle dita abili di un burattinaio e tanto da Petrolini, cui il suo nome fa omaggio. Si muove come un equilibrista sul suo quadrato di terra, ma, allo stesso tempo, vi rimane ben piantato; ed egualmente in equilibrio sta sul filo delle sue visioni labirintiche, che osservano o ricordano o ripensano il reale – le polpette della mamma e suoi i capelli biondi, la differenza abissale tra un cane visto di profilo e poi di fronte – e insieme l’immaginifico e il magico – la parola lucidità, che emana il ricordo della madre, un vulcano dorato, schiave cieche, che gli insegnavano la letteratura da bambino, un albergo-labirinto, in cui collocare un nuovo Minotauro per rifarne il mito.
La storia di questo Fortunello è tante cose.
È la trama di una scrittura, quella di Giorgia Cerruti, che da molteplici suggestioni – Autobiografia del Rosso di Anne Carson, il realismo magico di Borges, l’estetica di Fellini e di Arrabal, la malinconica ironia di Petrolini – è riuscita a comporsi in una maniera del tutto originale, che fa della levità la sua cifra. Le parole si susseguono in un visionario flusso di coscienza come sfiorando appena le cose che significano, leggere come la polvere dorata che ricopre Fortunello, ma, a ogni svolta del racconto, sempre presenti e pregnanti.
E questo perché la storia di Fortunello è anche l’incontro tra queste parole e il corpo dell’attore, anzi, precisamente il corpo di Davide Giglio. La poetica della scena della Piccola Compagnia della Magnolia trova in questo incontro un particolarissimo e illuminato equilibrio, nel quale le spigolosità più barocche si addolciscono nella presenza piena dell’attore, che incarna parole scritte proprio per lui, assecondandone le diverse temperature, senza mai riversarsi nell’eccesso.
Così, ciò che si definisce nella piccola Sala Ichos è uno spazio di accoglienza, in definita un vero hotel. Nella cantina di Fortunello si accolgono reciprocamente le parole e il corpo dell’attore. Anzi, si donano le une all’altro stringendo ancora un po’ un sodalizio artistico lungo ormai vent’anni. Si accolgono gli autori che variamente hanno suggestionato le atmosfere del lavoro; si accoglie, concretamente – lo fa la scrittura, lo fa il gesto – lo spettatore, il quale, se capace di abbandonarsi, può ritrovarsi, diciamolo pure, come per magia, in una dimensione diversa, anzi nella dimensione del diverso.
Perché la storia di Fortunello è, soprattutto, la storia di un essere speciale, non convenzionale, né convenzionabile, che vuole con tutto sé stesso strabordare dalla maglie strette della realtà, quelle imposte da chi vuole «ridimensionarlo». Uno con una pietra d’oro nella testa. Uno capace, grazie a quella “anomalia”, di vedere l’Aleph, quel non-luogo in cui tutto convive in cui tutti i tempi si incontrano e, vedendolo, di essere l’Aleph, perché nel suo sguardo, di riflesso, contiene tutto.
Hotel Borges è, allora, un omaggio alla fragilità del diverso, al potere magico dello sguardo che sa vedere oltre la realtà. Un omaggio a tutti gli Aleph o forse alla parte di Aleph che si nasconde in ciascuno di noi.
HOTEL BORGES
scrittura Giorgia Cerruti
regia Giorgia Cerruti
in scena Davide Giglio
liberamente ispirato alle atmosfere di Borges e altri visionari…Cocteau, Petrolini, Sgorbani, Fellini, Arrabal
Piccola Compagnia della Magnolia
Creazione 2023
Sala Ichos, San Giovanni a Teduccio
3 dicembre 2023