MARIA FRANCESCA SACCO* | Chi siamo? Questa eterna domanda, che fa eco al binomio essere-apparire, risulta tragicamente senza risposta: essere accettati dagli altri, acconsentendo di indossare una maschera o perseguire la propria libertà, mostrare se stessi, con il rischio di restare soli?
Pirandello trova risposta e rifugio nella follia, benefico riparo da se stessi, dalle discrasie della vita, unico modo per sopportare le irrisolvibili incongruenze che il mondo non risparmia a nessuno. Ed è per questo che l‘Enrico IV pirandelliano è il veleno e insieme l’antidoto all’eterno vagare, eterno cercare, eterno essere insoddisfatti: la follia protegge, offrendo un sicuro ricovero dalle angosce esistenziali, un’elegante via d’uscita dalla realtà.
A riproporre il capolavoro pirandelliano insieme alle sue immortali questioni esistenziali è la Piccola Compagnia della Magnolia sul palcoscenico del Teatro Menotti di Milano: la performance si inserisce all’interno di una più ampia riflessione della compagnia sulla vulnerabilità umana rispetto al tempo e alle apparenze. Il Progetto Vulnerabili si propone come un percorso orchestrato in tre spettacoli, Favola, Enrico IV e Cenci (quest’ultimo debutterà nel 2024), tutti con la collaborazione del drammaturgo Fabrizio Sinisi e la regia di Giorgia Cerruti. Favola (qui l’intervista di PAC) gioca sulla dimensione onirica raccontando il sogno del dolore della coppia protagonista e i suoi traumi, affrontati e rivissuti attraverso la narrazione di tre favole. Il fil rouge che lega questo lavoro a Enrico IV è evidente: la messa in scena per superare un trauma.
Un elegante tendaggio, secondo sipario oltre a quello del teatro, decora la scena denunciando già la finzione nella finzione: da questo elemento decorativo infatti entrano ed escono i personaggi, lasciando sempre intravedere quel che vi è dietro. Sopra il tendaggio spiccano due quadri, neri, vuoti, senza volto e senza rimandi: unica suggestione, l’idea che racchiudano ritratti. Di chi, sta allo spettatore figurarselo.
L’atmosfera appare evanescente come quella della dimensione onirica ed è ben resa grazie alle luci di Lucio Diana che catapultano lo spettatore in un limbo ovattato tra follia e sogno, come in un quadro di Chagall, in cui si muove, anima randagia, Enrico IV alla ricerca angosciosa della propria essenza.
L’esordio è affidato prevalentemente all’udito: lo spettatore è accolto dallo scalpitare di zoccoli di cavallo, nitriti e urla che fanno intendere che qualcosa è successo. Il protagonista, infatti, è caduto da cavallo durante una festa di Carnevale e da allora crede di essere Enrico IV. Tutti gli altri, gli amici, si comportano, dietro indicazioni dello psichiatra Belcredi, come personaggi della sua corte, assecondando la finzione e scimmiottando la vita di un passato lontano.
La prima riflessione parte dal titolo: Enrico IV_ una commedia. Pirandello lo chiamò dramma, qui è detta commedia. Del resto: non è forse comico, in senso grottesco, quell’eterno mascherarsi dell’essere umano? La messinscena alla quale sono costretti i protagonisti non è forse ridicola? Fingere di essere personaggi della corte di Enrico IV, indossare buffi vestiti e parlare in maniera incomprensibile ma, ancora di più, assecondare il matto. Questo è l’elemento di umorismo nero che serpeggia senza pietà nello spettacolo e lo trasforma in commedia, amara, beninteso. Le risatine degli amici di Enrico IV mentre vestono abiti da cortigiani, lo sberleffo sottile ma costante sono la prova impietosa di quel conflitto sano di mente/matto che, di conseguenza, porta all’ancor più spietata equazione matto uguale risibile.
L’incomunicabilità è protagonista sulla scena, perché Enrico IV si muove su un piano diverso da tutti gli altri: prima quello della follia e dopo quello della nuda verità. Infatti egli svela come a un tratto sia tornato in sé ma, devastato dalla menzogna del mondo circostante, abbia deciso di continuare a fingersi pazzo, consapevole del teatro della vita. E mentre tutti gli altri restano intrappolati nel ruolo della loro stessa esistenza, lui grida: «Sono guarito, signori, perché so perfettamente di fare il pazzo, qua; e lo faccio, quieto! Il guaio è per voi che la vivete agitatamente, senza saperla e senza vederla, la vostra pazzia».
I personaggi risultano così tutti soli, non più in grado di riconoscere se stessi e gli altri, nostalgici per un passato che non c’è più: basti pensare a Matilda che continua a sostenere di essere identica a quando era giovane.
Tutti loro vivono con la maschera, hanno un loro dramma che viene fuori poco alla volta. Giorgia Cerruti decide infatti di mettere in luce il disagio di ogni personaggio, così ciascuno di loro acquisisce uno spessore. Sono le dinamiche psicologiche e relazionali che emergono anche attraverso i movimenti degli attori che si spostano, si avvicinano e allontano come in perfette coreografie di danza. Il lavoro minuzioso sulla puntualità e pulizia del movimento sullo spazio scenico è centrale per tutto lo spettacolo: il corpo veicola lo stato d’animo e l’abilità registica sta proprio nel creare immagini suggestive in cui luci, costumi (bellissimi, curati dalla stessa Giorgia Cerruti), movimenti e parole trovano un equilibrio scenico perfetto che fa da contrappeso ai dialoghi sull’instabilità umana, consegnando al pubblico un prodotto di grande impatto visivo ed emozionale.
Una performance che si fa strumento di riflessione sulla prigionia del ruolo della maschera: guardarsi negli altri, riconoscersi attraverso di loro diventa àncora di salvezza per evitare di cadere nella follia.
ENRICOIV_una commedia
produzione Piccola Compagnia della Magnolia
regia, costumi Giorgia Cerruti
adattamento dell’opera di Pirandello Fabrizio Sinisi
cast attuale Davide Giglio, Giulia Eugeni, Luca Serra Busnengo, Giorgia Cerruti
disegno luci, consulenza scenotecnica Lucio Diana
sound design, fonica Guglielmo Diana
tecnico di Compagnia, realizzazione scene Marco Ferrero
datore luci Adriano Antonucci, Marco Ferrero
sarte Alexandra Trifan, Daniela Rostirolla
Teatro Menotti, Milano | 16 dicembre 2023
*PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture, anche in collaborazione con docenti e università italiane, per permettere il completamento e la tutorship formativa di nuovi sguardi critici per la scena contemporanea e i linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac ne accoglie sul sito gli articoli, seguendone nel tempo la pratica della scrittura critica.