RENZO FRANCABANDERA | Il conto alla rovescia che precede il lancio di un razzo in una proiezione a fondale: è questa ipotetica avventura verso un mondo ultraterrestre ad aprire Chi resta, creazione scenica concepita e diretta da Matilde Vigna e Anna Zanetti, che ha debuttato recentemente al Teatro delle Moline di Bologna in una coproduzione ERT/Corte Ospitale, uno spettacolo che sfida il pubblico a esplorare le intricate dinamiche delle relazioni familiari.
Forte è lo scarto fra questo inserto video introduttivo e la scena successiva: un algido interno domestico con pochi elementi scenici, dominato da tonalità bianche, ospita una giovane donna di 37 anni, interpretata da Vigna stessa, in completo monocromo giallo, rannicchiata in posizione fetale, un gesto simbolico di richiamo alla nascita.
Il palcoscenico e l’azione si animano con l’arrivo della iconica presenza di Daniela Piperno, in monocromo verde smeraldo: scopriremo dopo un po’ che la donna matura è la madre della giovane. Si svilupperà così, dopo un primo momento più sospeso ed equivoco, una dinamica di scambi e tensioni che delinea la complessità della relazione madre-figlia.
Il conflitto drammaturgico ruota intorno all’abulia della figlia, prostrata dal lutto, mentre la presenza della madre ha la funzione di caustico grillo parlante, che riporta alle incombenze del quotidiano, della vita che continua.
L’interazione tra le due protagoniste si snoda attraverso continui scarti emotivi, rivelando una trama ricca di sfumature e piccoli disvelamenti, fino a quello cruciale e sul quale il testo volutamente per un po’ equivoca, e cioè il fatto che la scomparsa di cui si parla è proprio quella della madre che è in scena. La sua dipartita improvvisa emerge come elemento catalizzatore, rendendo evidenti le dinamiche complesse di distanza e vicinanza che caratterizzano il rapporto familiare.
Il confronto tra generazioni, uno degli assi portanti dello spettacolo, si aggancia al personaggio della figlia millennial, procrastinatrice e in cerca di orizzonti post ideologici, che si scontra con le convenzioni sociali e le aspettative familiari. A conti fatti però, incalzata da una figura femminile consigliera ma distaccata, lucida e diretta, la giovane finisce per rivelarsi incapace di un’interpretazione del lutto piena e consapevole, con il rifiuto di tutto quello che la vedrebbe occupata in prima persona, come la gestione delle formalità burocratiche e del funerale.
La drammaturgia al femminile, declinata attraverso la figura della figlia unica, offre spunti di riflessione sulla nuova configurazione delle famiglie e delle reti sociali contemporanee. La protagonista si trova ad affrontare il lutto in un mondo in cui è saltato il reticolo della forma sociale di prossimità, quella, per capirci, che nelle drammaturgie ad esempio di Eduardo de Filippo, invadeva le case: i vicini di pianerottolo, il parente, il portinaio, tutti a recare conforto e interesse (vero o morboso che fosse) per la vicenda umana.
Qui invece questo universo non c’è, il formicaio umano scompare, lasciando la ragazza a gestire da sola gli adempimenti legati alla perdita.
La vivace e ironica interpretazione di Piperno, ectoplasma incarnato della defunta, crea un contraltare perfetto per questo personaggio-struzzo, generando una commistione di momenti dolci e spigolosi che esplorano temi universali come l’esperienza di essere figli, la maternità e la perdita di un genitore, tematiche queste indagate attraverso due chiavi di lettura peculiari e interconnesse: la dimensione generazionale e quella cosmico-filosofica. Sarà la mamma fantasma a organizzare la festa di compleanno della ragazza, in una stanza diventata già disordinata e caotica, con vestiti e oggetti alla rinfusa.
L’uso della videoproiezione e dei suoni consente piccoli intervalli fra le scenette in cui è ripartito il dialogo madre-figlia. La madre che canta la canzone Lepre di Lucio Corsi, la cui lirica tratta di un allunaggio, contribuisce a consolidare il legame con il macrocosmo, fino al momento commovente in cui la donna, vestendosi da astronauta, diventa interprete del viaggio extraterrestre con cui lo spettacolo si era aperto, e chiarendo in via definitiva la simbologia dell’ultramondo.
Da qui in poi si avvia la seconda parte dello spettacolo, un monologo affidato a Vigna e fondato su un approccio scientifico-cosmico al tema della perdita.
La drammaturgia si apre qui e riflessioni su buchi neri, dimensioni spazio-temporali alternative e la trasformazione della materia, elementi che costituiscono lo sfondo esistenziale psicologico per una contemporaneità borghese illuministica e disincantata, ormai lontana dai riti religiosi di matrice familiare, e che prova a darsi una ragione personale del passaggio dalla presenza all’assenza.
L’opera teatrale, pur nella sua essenzialità risulta complessa, arricchita da una performance attorale robusta. Il testo è pubblicato dentro Sopravviverci. Due pezzi sulla perdita della collana LINEA / Luca Sossella editore, che comprende le drammaturgie di Chi resta e Una riga nera al piano di sopra, spettacolo precedente di Vigna e candidato al Premio Ubu 2022 come Miglior novità drammaturgica italiana.
La componente cosmica aggiunge un elemento di originalità e profondità sebbene questa seconda parte fatichi rispetto alla prima a sviluppare una sua compiutezza, sia per lo scarto dovuto all’assenza di un’entità dialogante, sia per il profilo da monologo a sfondo esistenziale di questa donna senza dio, con gli ovuli in scadenza, che si interroga sulla costruzione della famiglia del futuro, in un mondo in crisi su cui pende la spada di Damocle di essere l’ultima generazione.
Incombono i temi della maternità, della crisi climatica e della ricerca di nuovi modelli di sopravvivenza in un intreccio narrativo che spazia tra passato e presente, tradizione e cambiamento: sono molte cose insieme, che fanno in parte evaporare la pienezza emotiva della prima parte ma che con qualche aggiustamento – forse ancora sul tono dell’ironia – possono trovare un equilibrio.
Il pubblico giovane mostra un’empatia comunque particolare verso la struttura narrativa. Forse la chiave da considerare è anche questo particolarissimo momento della storia della comunicazione, in cui si creano registri generazionali, con ritmi e forme che più facilmente dialogano con le nuove generazioni, fenomeno anche questo interessante e fondamentalmente alla base dello spettacolo.
CHI RESTA
ideazione e regia Matilde Vigna, Anna Zanetti
con Daniela Piperno, Matilde Vigna
video Federico Meneghini
progetto sonoro Alessio Foglia
musiche originali spallarossa
luci Umberto CamponeschiAdramaturg Greta Cappelletti
consulenza, scene e costumi Lucia Menegazzo
consulenza scientifica dott. Matteo Nobili
scene costruite nel Laboratorio di Scenotecnica di ERT
responsabile del Laboratorio e capo costruttore Gioacchino Gramolini
costruttore Sergio Puzzo
scenografa decoratrice Benedetta Monetti
direttore tecnico Massimo Gianaroli
capo elettricista Sergio Taddei
fonica Manuela Alabastro
sarta Elena Dal Pozzo
produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale
in collaborazione con La Corte Ospitale
con il sostegno del MiC e di SIAE, nell’ambito del programma “Per Chi Crea”
elaborazione immagine astronauta Antonio Visceglia
foto di scena Luca Del Pia