RENZO FRANCABANDERA | Domenica 21 gennaio, alle 18, si inaugura con I giganti e noi, prodotto dalla storica compagnia abruzzese Arti e Spettacolo, e ispirato a I giganti della montagna di Luigi Pirandello, la sedicesima edizione della Rassegna Strade. Sul palco dello Spazio Nobelperlapace nove interpreti, diretti da Giancarlo Gentilucci.
Si tratta di uno spettacolo nato durante la pandemia che rielabora I giganti della montagna con riflessioni sul teatro contemporaneo e che è divenuto, in questo contesto, anche occasione per festeggiare i trent’anni di attività sul territorio di Arti e Spettacolo Impresa Sociale Srl, nata nel 1994 a L’Aquila come Associazione Culturale con la presidenza e la direzione artistica di Giancarlo Gentilucci – scenografo, costumista e regista teatrale che opera nel settore del teatro dal 1970 – già direttore artistico del Teatro Accademico dell’Università dell’Aquila.
La compagnia si occupa da allora di produzione, programmazione, formazione e residenze artistiche nel campo dello spettacolo dal vivo e ha avuto il riconoscimento da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali ai sensi dell’art. 16, come organismo di promozione e perfezionamento teatrale, fino al 2014.
Dal 2018 è divenuta poi una delle tre residenze Artisti nei Territori (Art. 43 del FUS) finanziate dalla Regione Abruzzo e dal MIC, con il progetto di residenza artistica Contaminazioni.
Un vero e proprio spartiacque è stato ovviamente il terremoto che il 6 aprile 2009 ha colpito L’Aquila e il suo comprensorio: l’Associazione ha allora riorganizzato l’attività anche perché la residenza artistica di Casentino, inaugurata solo alcuni mesi prima, a giugno 2008, era nel frattempo diventata inagibile.
Gli artisti decisero quindi di dedicarsi a una pratica di militanza sul campo, prima nella tendopoli di Villa Sant’Angelo e poi trasferendosi a San Demetrio Ne’ Vestini (piccolo Comune a 13 km da L’Aquila). Qui, grazie a una raccolta fondi da sponsor privati (il principale dei quali è stato il Segretariato Permanente dei Premi Nobel per la Pace) il 9 luglio 2009, è stato inaugurato lo Spazio “Nobelperlapace” alla presenza del Premio Nobel Betty Williams e degli attori George Clooney e Bill Murrey. Nell’estate 2014, grazie a un finanziamento della Regione Abruzzo, lo Spazio Nobelperlapace è stato trasferito su un terreno messo a disposizione dall’Amministrazione Comunale di San Demetrio, ricollocato e ampliato ed è tuttora la sede operativa di Arti e Spettacolo.
Lo Spazio Nobelperlapace è oggi, con il suo teatro da 100 posti e la biblioteca delle arti performative con 3.500 volumi, un importante presidio culturale a servizio di una zona fatta di tanti piccoli Comuni disseminati in un territorio di media montagna.
La rassegna Strade che vede in apertura questo lavoro de La Compagnia del Teatro che fa Bene, con nove interpreti di diverse generazioni diretti da Giancarlo Gentilucci, mira con questo e altri allestimenti multidisciplinari che verranno proposti alla comunità, a lavorare sul doppio binario della presenza sul territorio e della educazione ai linguaggi della contemporaneità.
Abbiamo intervistato il regista Gentilucci.
Giancarlo, come è nata l’idea della rassegna Strade e quali caratteristiche ha?
Nel 2008 insieme a Tiziana Irti e Daniela Vespa avevamo preso in gestione una scuola abbandonata in un paese con centoquaranta abitanti, Casentino, nel comune di Sant’Eusanio.
In quell’estate dello stesso anno, dopo aver restaurato a nostre spese l’edificio, proponemmo la prima edizione della nostra rassegna Strade, pensando di coinvolgere gli abitanti incontrandoli con le nostre proposte culturali. Eravamo convinti che affrontare queste piccole realtà con una continua presenza, con proposte culturali adeguate ci sarebbe servito a creare nuove sinergie con gli abitanti, per affrontare con più consapevolezza i problemi dell’ isolamento e dell’abbandono dei piccoli centri montani dell’Abruzzo interno e di poter continuare a praticare il teatro che ci interessa.
Ma poi c’è stato il terremoto…
Già. Dopo questa prima edizione abbiamo affrontato l’emergenza del terremoto del 2009, riorganizzandoci in una nuova sede, lo Spazio Nobelperlapace a San Demetrio Ne’ Vestini e lì Strade ha proseguito il suo percorso fino ad arrivare a questa sedicesima edizione, senza mai tradire negli anni lo scopo iniziale.
In apertura, un vostro lavoro interpretato da persone del territorio: qual è stata la genesi di questo lavoro?
Da molti anni lavoriamo sulla formazione teatrale con un gruppo di persone che risiedono nei paesi che frequentiamo con le nostre attività, e con loro abbiamo spesso allestito e presentato lavori attinenti alle varie capacità acquisite nelle discipline dello spettacolo dal vivo.
Un paio di anni fa mi dissero di voler affrontare un testo teatrale importante e che volevano mettersi alla prova con tutti gli strumenti che normalmente in uno spettacolo vengono utilizzati.
La cosa mi sorprese ma mi stimolò anche, la proposta veniva da loro e non da me facendomi pensare di provare a vedere cosa eravamo in grado di fare con loro noi come teatro.
Quindi hai accettato e rilanciato la sfida, proponendo un autore complesso da portare in scena nel teatro d’oggi, e che negli ultimi anni è meno presente nei cartelloni. Pare una sfida.
Ho pensato a un testo che mi ha sempre affascinato, ma talmente complesso da averlo riposto sempre in quell’angolo della nostra mente in cui appoggiamo le cose che ci piacerebbe fare, ma che sicuramente non faremo mai.
Lo spettacolo che ho proposto è stato quindi I giganti della montagna di Luigi Pirandello.
Alla prima lettura con gli attori l’unica domanda che mi è stata fatta è stata: cosa ti abbiamo fatto di male per proporci un testo del genere?
Ma poi…
Beh, sono seguiti in primis incontri, letture e visione dei video dei vari allestimenti. È arrivato il covid mentre lavoravamo a questa idea, e con lui anche la preziosa collaborazione di un’amica, che è soprattutto una brava drammaturga, Stefania Marrone che, durante la pandemia, ci ha permesso di lavorare da remoto coinvolgendo tutti i partecipanti.
Ogni partecipante ha scelto quale personaggio interpretare e il significativo lavoro della drammaturga è stato anche quello, attraverso gli incontri, di comprendere le eventuali affinità tra il personaggio e l’interprete.
Stefania è un’artista sensibile e attenta al teatro sociale, con cui siete in relazione creativa da diverso tempo. Cosa è successo quando sono finite le restrizioni pandemiche?
A conclusione del ciclo di incontri, Stefania ha scritto un nuovo testo, ambientato in una stazione ferroviaria di un paese periferico, dove i treni non si fermano più da molto tempo e dove si incontrano una compagnia teatrale sull’orlo del fallimento, in perenne ricerca del consenso dei critici, e un gruppo di persone che è accampato lì stabilmente: nasce così una riflessione sul teatro come viene praticato oggi. Del testo pirandelliano resta questo incontro e i nomi dei personaggi presenti in scena.
E cosa ne è venuto fuori?
Il risultato è uno spettacolo realizzato impiegando tutte le arti dello spettacolo dal vivo.
L’originalità di questo allestimento è dunque la sua genesi e la presenza di nove interpreti riuniti in una compagnia intergenerazionale che si è data il nome di Compagnia del teatro che fa Bene, perché nel corso degli anni hanno vissuto un’esperienza che ha permesso loro di riflettere sulle proprie esistenze, praticando il teatro.
Una compagnia teatrale in crisi che incontra gente ferma ad aspettare chissà cosa: è una miccia creativa che ha qualcosa a che fare con le difficoltà delle arti e della società oggi.
Monologhi e dialoghi ci rendono partecipi di una serie di contraddizioni che tutti noi nella nostra socialità viviamo e incontriamo quotidianamente.
Ci siamo abituati anche nelle arti a incontrare sempre meno la bellezza e il piacere di poterci rigenerare.
Questo spettacolo vuole, attraverso la forza del teatro, fornirci nuovi stimoli e riflessioni per noi, da poter condividere anche con chi ci è seduto accanto in platea.
Una vicinanza militante, quella che avete offerto a questa comunità, che va avanti da decenni ormai.
I giganti e noi è assolutamente coerente con il nostro senso del lavoro sul territorio e per questo lo abbiamo scelto come prima azione artistica per festeggiare il trentesimo compleanno di Arti e Spettacolo.
Che tipo di creazione è nata e come si fa a dirigere un gruppo così eterogeneo? Che regia pensi sia venuta fuori, Giancarlo?
Coordinare un gruppo di interpreti con provenienza e formazione culturale così eterogenee obbliga sicuramente a una grande attenzione per salvaguardare i loro desideri e le loro aspettative. Ma è accaduto, al contempo, che loro stessi sono stati attenti a comprendere le discipline che il teatro mette in campo in un allestimento e con una grande cura hanno assolto ai compiti che di volta in volta venivano loro assegnati.
Per la regia è stato molto naturale tradurre in scena quello che la drammaturga suggeriva e, attingendo alle esperienze pregresse della professione da me esercitata in tanti anni passati, ho proposto questo allestimento, sperando di emozionare e coinvolgere sui temi che lo spettacolo suggerisce alla comunità degli spettatori.
In quale direzione si è spinta la vostra azione sul territorio in questi anni recenti e che tipo di progetti state cercando di portare avanti?
Penso che il teatro e tutte le arti siano uno dei pochi volani per intervenire dinamicamente, con la loro forza rivoluzionaria, in questi territori interni e montani, per incidere e costruire nuove identità che, attraverso la memoria e le vocazioni dei luoghi, producano nuova linfa per nutrire le giovani generazioni.
È possibile secondo te in contesti come questo favorire un dialogo intergenerazionale attraverso l’arte?
Abbiamo documentato nel tempo, con interviste agli anziani protagonisti del passato, come gestivano la qualità culturale ed economica dei loro luoghi.
Abbiamo stimolato i giovani a fare tesoro di questi suggerimenti che vengono dai luoghi di origine, ma soprattutto a cogliere le nuove proposte che arrivano dal loro mondo, per comprenderle e utilizzarle.
Dove ognuno può e deve diventare imprenditore di sé stesso.
E questo si riflette anche nei vostri progetti?
I progetti che portiamo avanti, anche realizzando narrazioni itineranti e podcast, sono volti a comprendere e sviluppare le vocazioni dei territori periferici per trasformarli in occasione di nuovi investimenti economici ma anche opportunità imprenditoriali da parte dei giovani, per non farli allontanare, e dare nuova vita ai luoghi di origine.
Vogliamo ricordare in chiusura anche le altre date della rassegna con gli artisti coinvolti e il motivo per il quale li avete selezionati?
Come ogni anno per la nostra stagione abbiamo scelto di non proporre un tema specifico ma di presentare spettacoli selezionati sia per la loro qualità artistica sia per permettere ai nostri spettatori di avere uno sguardo sulle diverse forme del teatro.
Il 4 febbraio la rassegna prosegue con Fine Pena Ora, tratto dal racconto autobiografico del testo omonimo di Elvio Fassone, magistrato ed ex componente del Consiglio Superiore della Magistratura, prodotto dal Teatro Stabile di Torino e da Tedacà.
Il 18 febbraio Fondazione I Teatri di Reggio Emilia – Associazione teatrale Autori Vivi portano in scena Dieci Modi per Morire Felici,uno spettacolo-gioco diretto da Emanuele Aldrovandi, in cui dieci spettatori hanno la possibilità di sperimentare una nuova vita con un solo obiettivo: morire felici.
Il 3 marzo è la volta della compagnia siciliana Quintoequilibrio che propone Felicia, spettacolo liberamente ispirato al libro illustrato Felicità ne avete? di Lisa Biggi e Monica Barengo: una storia di animali del bosco e una strega, Felicia, che con il suo arrivo rompe l’equilibrio. Un lavoro che abbiamo ospitato in residenza nel nostro teatro.
La rassegna si conclude il 17 marzo.
Sí, con Afanisi di Ctrl+Alt+Canc, una performance che rovescia i rapporti tra spettatore e spettacolo, tra realtà e sguardo che la osserva. Lo spettatore non è più fruitore passivo ma creatore attivo dell’opera che ha di fronte. Questo spettacolo è stato selezionato a seguito di una call della Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano, con la quale Arti e Spettacolo ha stipulato un protocollo d’intesa.