CHIARA AMATO*| Al Franco Parenti di Milano è andata in scena l’esilarante commedia Agosto a Osage County (August: Osage County) del drammaturgo statunitense Tracy Letts, premiata nel 2008 con il Pulitzer e dalla quale è stato tratto anche il film I segreti di Osage County. Con la traduzione a opera di Monica Capuani e la regia di Filippo Dini, lo spettacolo mette in luce le disfunzionalità familiari della famiglia Weston, in Oklahoma, dove in seguito alla morte del padre di famiglia vengono disvelati segreti e intrecci tragicomici. L’opera debuttò a Chicago nell’estate 2007 e fu per Letts «il tentativo di esplorare questo scisma generazionale e la sensibilità del Midwest, perché […] Agosto a Osage County ci può dare una possibilità per imparare come le dinamiche della “famiglia” continuino a plasmare noi e il nostro approccio al mondo».
In queste lande desertiche, dove il caldo uccide anche i pappagallini tropicali e il genocidio dei nativi americani ha lasciato terre senza futuro, la pièce inizia con Beverly (Fabrizio Contri) che prima di sparire misteriosamente e poi essere trovato annegato, ingaggia una tuttofare “indiana” che badi alla moglie Violet (Anna Bonaiuto).
La prima disfunzionalità è già nella coppia cardine dell’intreccio, in quanto lei è dipendente dagli antidepressivi e lui è alcolizzato e infelice.
Tutta la vicenda è ambientata nella casa dei Weston: grazie ai cambi di scena molto rapidi ideati da Gregorio Zurla lo spazio si suddivide in una parte alta, che rappresenta la zona notte della casa, con poltroncine in velluto, e uno spazio basso in cui pareti scorrevoli (e con arredi agganciati) suddividono le ambientazioni. Assistiamo, di volta in volta, alla resa scenica di una cucina con mattonelle bianche, un salotto con una poltrona, un divano e carta da parati a strisce, e, infine, una camera da pranzo, dove avverrà lo scontro al vertice tra i familiari. L’unica scena che avviene fuori dal contesto domestico è quella dei funerali di Beverly, dove il palco, lo sfondo e i costumi sono parati a lutto.
Tutto questo è realizzato con naturalezza grazie anche alle luci, di Pasquale Mari, che si focalizzano su parti della scena, con un’illuminazione dall’alto dai toni caldi, e anche qui l’unica eccezione è nella scena della veglia funebre, in cui la luce è laterale e grigia.
All’interno di questa casa gli scontri sono continui tra i vari membri (interpretati da Manuela Mandracchia, Filippo Dini, Orietta Notari, Andrea Di Casa, Fulvio Pepe, Stefania Medri, Valeria Angelozzi, Edoardo Sorgente, Caterina Tieghi, Valentina Spaletta Tavella): le tre sorelle litigano perché solo una è rimasta a occuparsi dei genitori; la coppia di separati cerca di accusarsi reciprocamente per i comportamenti della figlia adolescente; gli zii si trattano con modi bruschi a causa del figlio “scemo”, che altro non è che l’unico buono della famiglia; e la madre, che a momenti alterni dà addosso a tutti perché, come urla nel finale, «sono io la più forte».
Il funerale, in realtà, diventa così una resa dei conti, come accade durante molti ritrovi familiari, e Dini riesce a dare valore al sarcasmo e al grottesco, tipici dell’autore d’oltreoceano: un viaggio sulle relazioni, condito di cinismo e black humour.
Le musiche (di Aleph Viola) si delineano come un fluido accompagnamento, non costante durante la recita ma che interviene spesso durante i cambi di scenografia. Vi è un solo vero momento musicale quando Charlie Piccolo, uomo che subisce la mater familias opprimente, scoppia in un canto: finalmente alza la voce per mostrare che ha ambizioni, qualità e obiettivi per la sua vita amorosa; in quest’occasione, per pochi minuti, cambia tutto e siamo in un musical, dove gli interpreti ballano e cantano all’unisono, come un corpo di ballo.
Gli attori, bravi tutti, riescono a tenere il pubblico agganciato, nonostante la durata importante dello spettacolo, grazie alla rapidità dei dialoghi, i botta e risposta coloriti (il turpiloquio non manca) e una interpretazione frizzante. Spiccano sugli altri lo stesso Dini e le due donne cardine della vicenda Violet e Barbara (Bonaiuto/Mandracchia), che spesso provocano fragorose risate, dolce-amare, in platea.
Madre e figlia, infatti, sono due donne forti, che reagiscono alla vita in maniera aggressiva, mai passive, fino a ferire i propri cari e sé stesse: entrambe finiscono in balìa degli antidepressivi e isolate dai familiari. I loro caratteri vengono ben delineati dalla regia di Dini, che riesce a calibrare l’irriverenza delle parole e la violenza fisica del loro stare in scena con le debolezze velate e, in rari momenti, mostrate: un passaggio che ben esprime il contrasto è quando Barbara, che fino all’ultimo istante litiga con l’ex marito coprendolo di insulti, rotta dal dolore, una volta che lui è andato via, dice: «Io ti amo ancora»; ma ormai è sola, nessuno sta più ascoltando quel suo sussurro d’amore.
Il lavoro di Dini è ben riuscito, anche per come lo spazio viene usato dagli interpreti, dando sempre la sensazione di naturalezza: non c’è sperimentazione ma un forte realismo e il regista riesce a rendere a pieno il coraggio del testo di Letts nel raccontare quelle bassezze, che solo ai familiari si osa mostrare.
Le citazioni di Eliot e Dickinson nella pièce sono solo parte dei riferimenti letterari che balzano all’orecchio, anche senza essere menzionati, così c come i personaggi di Ibsen e Cechov. Come in Spettri, del drammaturgo norvegese, anche qui si affrontano temi tabù come l’incesto e la corruzione morale; si rompe l’immagine tradizionale della famiglia come un’istituzione armoniosa e felice e i personaggi sono intrappolati in relazioni disfunzionali e segreti oscuri, che minano il loro benessere emotivo.
Che poi quale sarà mai questa immagine tradizionale e quando mai sarà esistita?
AGOSTO A OSAGE COUNTY
di Tracy Letts
traduzione Monica Capuani
regia Filippo Dini
con Anna Bonaiuto, Manuela Mandracchia, Filippo Dini, Fabrizio Contri, Orietta Notari, Andrea Di Casa, Fulvio Pepe, Stefania Medri, Valeria Angelozzi, Edoardo Sorgente, Caterina Tieghi, Valentina Spaletta Tavella
dramaturg e aiuto regia Carlo Orlando
scene Gregorio Zurla
costumi Alessio Rosati
luci Pasquale Mari
musiche Aleph Viola
suono Claudio Tortorici
produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
Teatro Franco Parenti, Milano | 21 gennaio 2024
* PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture, anche in collaborazione con docenti e università italiane, per permettere il completamento e la tutorship formativa di nuovi sguardi critici per la scena contemporanea e i linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac ne accoglie sul sito gli articoli, seguendone nel tempo la pratica della scrittura critica.