VALENTINA SORTE | La diciannovesima edizione di Generazione Scenario 2023 ha debuttato il 9 e 10 gennaio a Milano, al Teatro Verdi e al Teatro Bruno Munari. Gli spettacoli proposti in questa due giorni sono stati i vincitori del Premio Scenario 2023 e del Premio Scenario Periferie 2023, oltre alle due segnalazioni speciali del Premio Scenario 2023, non più come studi di venti minuti, ma per la prima volta nella loro forma compiuta.
L’iniziativa, promossa da tempo dall’Associazione Scenario ETS con il sostegno del MiC e con la collaborazione del Teatro del Buratto, è rivolta ad artisti under 35 con lo scopo, da una parte, di indagare e “censire” nuove forme di teatro o nuovi linguaggi creativi, e di supportare, dall’altra parte, quei progetti che esplorano i temi dell’interculturalità, della marginalità e dell’inclusione sociale.
Dei quattro spettacoli proposti, siamo riusciti a seguire anonimasequestri di Leonardo Tomasi e Tre Voci di Tilia Auser. Anche se molto diversi fra loro, entrambi i lavori ci sono sembrati interessanti in quanto caratterizzati da una forte commistione di linguaggi performativi e da una drammaturgia originale. La loro ricerca parte da temi identitari o da questioni molto intime e scava proprio in quelle zone interstiziali tra un linguaggio e l’altro, guidandone le scelte drammaturgiche. Lo spazio scenico diventa, così, un enorme e prolifico incubatore di forme e narrazioni differenti.
Nel caso di Tre Voci, Tilia Auser parte dal poema radiofonico di Sylvia Plath, Three Women. A Poem for Three Voices, per creare un dispositivo scenico in bilico tra poesia sonora, performance e installazione. Nella composizione originale la voce e la sua modulazione sono di basilare importanza. Si tratta, infatti, di un testo nato per essere recitato, per prendere forma attraverso la voce. I soliloqui di cui si compone l’opera sono tre storie viste dall’interno e raccontate per autoconfessione. Le tre voci femminili si intrecciano dentro la stessa cornice spaziale, ovvero un reparto di maternità, eppure non si toccano mai. Non rispondono l’una all’altra. Il dialogo non è fra le tre donne, ma fra ognuna di loro e la propria coscienza.
La prima donna si trova in ospedale per dare alla luce un bambino, la seconda condotta da un aborto spontaneo, la terza per liberarsi della gravidanza indesiderata. La storia della prima donna è solo apparentemente più felice, in realtà si adombra di sottili paure. «Mi grava sulle palpebre l’attesa (…) / come un vasto mare. Lontano, lontano sento la prima onda trascinare / verso di me il suo carico di tormento, marea ineluttabile».
Le tre voci risuonano tra i corridoi dell’ospedale, interrogando il proprio corpo fecondato che si piega, si ferisce, si lascia abitare. «Sono una montagna adesso, in mezzo a donne-montagna». «Sono una ferita che esce dall’ospedale». Il loro canto sale distinto e potente, in versi sciolti, mentre un controcanto sotterraneo, non scritto, li percorre tutti. Per gli spettatori è però facile distinguerlo in questa narrazione polifonica: li guida, infatti, la chitarra elettrica di Riccardo Scuccimarra, vero e proprio contrappunto drammaturgico.
Come in Sylvia Plath, anche nella riscrittura di Sara Bertolucci la voce è un elemento centrale, di grande potenza. Viene da pensare che sia stata la sensibilità di questa giovane artista verso questo medium a guidare, forse, la scelta del testo e non viceversa. La parola poetica, attraverso il corpo della performer, diventa parola intonata e cantata, e ancora di più, si fa parola incarnata. Assistiamo a un’epifania della parola e, allo stesso tempo, alla sua continua modulazione e diffrazione, come se fosse una materia malleabile. L’attrice usa tre microfoni diversi per rendere riconoscibili le tre voci e, accompagnata da Scuccimarra, ricorre a sua volta a effetti sonori come distorsioni, delay e loop. La chitarra è usata come voce e la voce è usata come chitarra. È una sperimentazione originale.
La costruzione dello spazio scenico è un altro elemento interessante. La scenografia è essenziale e rigorosa allo stesso tempo. Tre teli di cellophane (due frontali verso i lati e uno sul fondo, per tutta la lunghezza della scena) delimitano in modo funzionale tre diverse aree sceniche, corrispondenti alle tre diverse voci, ma su piano più astratto ricreano un’ambientazione botanica, una sorta di serra/sacca amniotica che rende tutto lo spazio molto evocativo. Non si parla solo di ambienti uterini, ma di creazione in senso lato. Tilia Auser gioca su atmosfere diafane grazie anche a un delicato disegno luci che dal basso insiste su trasparenze, ombre cinesi, diffrazione e opacizzazione dell’immagine, che si sovrappongono alla diffrazione sonora. La figura di Scuccimarra rimane, infatti, sempre presente anche visivamente dietro il telo sul fondo.
Tre voci è un lavoro molto coraggioso, potente e delicato, la ricerca che lo muove è davvero singolare. Non è un caso che abbia ricevuto la segnalazione speciale al Premio Scenario 2023, ma risente probabilmente della sua stessa genesi: da uno studio di pochi minuti è diventato uno spettacolo più articolato. Nella sua versione finale manca talvolta di fluidità e coesione, diventando, nella seconda parte, troppo frammentario, soprattutto in alcuni movimenti scenici che risultano un po’ macchinosi. È sicuramente uno spettacolo che può crescere molto e ce lo auguriamo.
Molto diverso anonimasequestri di Leonardo Tomasi, vincitore del Premio Scenario 2023. La ricerca formale che lo muove è sempre singolare, si muove per stratificazioni e rimodulazioni, ma i linguaggi utilizzati sono molto diversi. Non è più la voce o la vertigine del verso a guidare le scelte drammaturgiche, quanto il concetto di visione/rappresentazione. È un lavoro cervellotico, non convenzionale, ma allo stesso tempo molto ironico e spiazzante. Insomma, si ride tanto.
Visto che il tema dell’identità, e in questo caso specifico la sardità/la sarditudine, è un denso groviglio di fili e, dunque, di narrazioni, perché non iniziare a dipanare la matassa scomponendo i diversi piani di realtà? Quello che lo spettatore si ritrova davanti, infatti, sono diversi livelli di rappresentazione che, attraverso un intricato gioco di meccanismi metateatrali, portano la narrazione a continui slittamenti. La scrittura scenica, quindi, è molto stratificata, eppure la sua lettura risulta immediata e accessibile. Il pubblico non si sente affatto respinto da questo dispositivo drammaturgico, al contrario riesce a inserirsi in questa struttura: c’è spazio anche per lui. Lo spettatore guarda e ride, non bovinamente, ma domandandosi per cosa sta ridendo esattamente. Leonardo Tomasi e Sonia Soro, la dramaturg, declinano in chiave contemporanea la teoria dell’umorismo.
Sulla falsariga di Agrupación Señor Serrano, una telecamera proietta sullo sfondo delle immagini in presa diretta. A manovrarla è lo stesso Tomasi. In scena due trentenni sardi (Federico Giaime Nonnis e Daniele Podda) provano a sbarcare il lunario, arrabattandosi tra spot turistici e provini per fiction sul banditismo. I piani iniziano, però, a sdoppiarsi e a sovrapporsi. I due giovani organizzano finti sequestri di persona, in onore dei vecchi fasti della propria terra, ma, a un certo punto, il ruolo che interpretano inizia a confondersi/coincidere con la loro identità. I banditi provano battute e studiano piantine come farebbero gli attori della fiction.
Allora, il gioco dei piani di realtà inizia a esplodere/implodere. Non manca nulla: sullo schermo vengono proiettati filmati e documentari degli anni ‘70 che si sovrappongono a film poliziotteschi, a spot pubblicitari, alle stesse immagini degli attori in presa diretta, mentre escono e rientrano nel loro personaggio. Teatro e cinema diventano codici complementari. Interviene anche la voce fuori campo e la registrazione video della nonna di uno degli attori, ovviamente sarda.
Si procede per sovraesposizione e rovesciamento: tutti gli stereotipi di appartenenza geografica e linguistica vengono indossati e portati all’eccesso, per poi essere rovesciati. L’accento sardo è molto caricato (un proto-sardo?), i banditi sono troppo banditi. E in mezzo a questo sovraccarico di segni e significati, ogni tanto spunta qualche parentesi di verità: Graziano Mesina, Antonio Gramsci, giusto per citarne due.
Quindi, cos’è questa sarditudine? Non è facile raccontarla. Riportando le parole della giuria: «Non abbiamo modo di capire se la sardità è appartenenza, trauma, orgoglio, vergogna, nevrosi o tutte queste cose insieme». Emerge in tutta la sua forza il conflitto identitario di una generazione sotto scacco, «orfana di una lingua e di una cultura, ma succube del fantasma di una reputazione perduta».
Anonimasequestri è uno spettacolo vertiginoso, in tutti i sensi. Molto vitale e intelligente, ma a volte disorientante. La sovrapposizione dei piani di realtà e di rappresentazione è il suo punto di forza, è la sua cifra stilistica, ma si sente la necessità, in alcuni passaggi nevralgici, di mettere più a fuoco la narrazione. Sicuramente in questi giovani artisti c’è tanto, tanto talento.
Generazione Scenario si dimostra, ancora una volta, un osservatorio privilegiato di lavori teatrali fuori dai circuiti istituzionali, non convenzionali, anagraficamente giovani e con una forte vocazione per la ricerca formale e l’innovazione. Bravi.
TRE VOCI
studio scenico per un radiodramma in versi di Sylvia Plath
con Sara Bertolucci, Riccardo F. Scuccimarra
ideazione, drammaturgia, composizione vocale Sara Bertolucci
disegno sonoro e musiche originali Riccardo F. Scuccimarra
con il sostegno di Scenario ETS, L’arboreto – Teatro Dimora | La Corte Ospitale – Centro di Residenza Emilia-Romagna, Santarcangelo Festival, Florian Metateatro – Centro di Produzione Teatrale
si ringrazia Dello Scompiglio
ANONIMASEQUESTRI
un sequestro organizzato da Leonardo Tomasi
con Federico Giaime Nonnis, Daniele Podda, Leonardo Tomasi e un ostaggio
dramaturg e assistente alla regia Sonia Soro
produzione Fondazione Metastasio di Prato e Sardegna Teatro
con il sostegno di Scenario ETS e Teatro Due Mondi – Residenza per artisti nei territori, Faenza
GENERAZIONE SCENARIO 2023, 09-10 gennaio
Teatro del Buratto (Teatro Verdi e Teatro Bruno Munari)