RITA CIRRINCIONE | Al centro della scena, vicina a una scatola da cui proviene una fievole luce, una figura accovacciata, ripiegata su sé stessa, maneggia un piccolo registratore; tutto intorno è buio e immerso in una fitta nebbia; si sentono rumori di fondo, stridori, voci a volte concitate: a scena aperta, prima dell’inizio dello spettacolo, via via che si sistema sugli spalti, il pubblico comincia ad assorbire alcune suggestioni sensoriali che in qualche modo anticipano l’atmosfera di IPERDARK, lo spettacolo di e con Dario Muratore – aiuto regia di Gisella Vitrano – che ha inaugurato la sesta edizione di Scena Nostra allo Spazio Franco di Palermo.

IPERDARK di e con Dario Muratore – ph Fulvia Bernacca

«Prova! Prova! Prova!» esordisce il protagonista al microfono dell’apparecchio che ha tra le mani iniziando la narrazione. Poi tra sé: «Bisogna sempre provare, andare avanti!».

Con un gioco di slittamenti semantici e temporali che, in questo come in altri momenti della performance, lega i diversi livelli – reale, onirico, metaforico – in cui si articola il testo, irrompono le parole della madre dal potere sferzante e sottilmente svalutante.

Il piccolo uomo è lì, impotente e spaventato, in uno spazio claustrofobico e regressivo, immerso tra cartoni, tavole di legno e fogli di plastica, circondato da oggetti, anzi da scarti e involucri di oggetti, nella cantina della casa in cui vivono i suoi, una famiglia litigiosa e attaccata alle cose materiali, con una madre per la quale fare la spesa sfruttando le offerte del momento costituisce l’evento della settimana, il cui solo imperativo categorico è: «Risparmiare!».

Forse indotto dalla lettura delle centinaia di volantini con le ultime promozioni ammassati nello scantinato o forse istigato dagli sproni materni ormai interiorizzati, in una dimensione surreale, il piccolo uomo abbandona la sua tana e si ritrova all’interno del “Gigante, l’Ipermercato dei sogni con i suoi 11 mila quadrati di convenienza”, a vagare di notte, tra file di casse chiuse e un’infinità di corridoi deserti rivestiti di scaffali ripieni di prodotti di ogni genere, enormi vetrine-frigorifero altrettanto piene di cibo, e il reparto formaggi visitato da blatte imprigionate dietro i vetri del bancone. Il Gigante ben presto si rivela un labirinto di merce in cui egli si sente prigioniero e da cui tenta di liberarsi cercando una via di fuga, districandosi tra sensori rossi che lo spiano e numeri di reparto che gli mandano messaggi da decifrare, alla ricerca della porta a vetri per uscire da quello che è diventato un incubo e che, presto, si trasformerà in un inferno.

IPERDARK di e con Dario Muratore – ph Fulvia Bernacca

Giocata su paradossi e opposte polarità, la pièce oscilla tra piccoli spazi claustrofobici e luoghi sconfinati, tra il letterale e il simbolico, tra nobili dubbi esistenziali e basse pulsioni, e anche nella scrittura drammaturgica si dibatte tra linguaggio quotidiano e riferimenti colti.

Molte, ma sempre ben digerite, le suggestioni letterarie più o meno esplicite che riecheggiano nel testo: da Il sogno di un uomo ridicolo di Dostoevskij allo scarafaggio di kafkiana memoria; dai sensori come spie che ricordano Orwell, alla Vertigine della lista di Umberto Eco, nell’interminabile elencazione dei prodotti stipati nelle scaffalature; dall’idea borgesiana di labirinto alle fiamme distruttrici come in Auto da fé di Elias Canetti.

A noi ha ricordato anche (non sappiamo se pure all’autore) l’appassionata riflessione sul “gigantismo” di James Hillman ne La politica della bellezza. Nell’esaltazione dell’enorme, come pure nell’economicismo, nella devastazione ambientale, nella bruttezza delle città e nell’insignificanza dei suoi luoghi, Hillman vede un derivato della perdita del senso del limite, della giusta misura dell’uomo contemporaneo, la sua disconnessione dalla bellezza senza la quale Eros si spegne a discapito dell’armonia con la propria interiorità e con l’anima mundi.

IPERDARK di e con Dario Muratore – ph Fulvia Bernacca

Notevole la prova attoriale di Dario Muratore: una narrazione che richiama sulla scena presenze familiari, ciascuna interpretata con la propria postura e il proprio linguaggio, in primis la madre che, con i suoi slogan e le sue sollecitazioni, più volte sembra insinuarsi nel flusso narrativo, quasi materializzandosi; una recitazione vivace e ritmata, tra pause e accelerazioni, a tratti martellante e ossessiva; una gestualità ora contenuta, ora ampia e danzata; l’irruzione di episodi onirici, di momenti del passato o di suoni come il fischio con cui il padre lo richiamava, rendono la messinscena dinamica e ricca di sfumature, tanto da far dimenticare che si tratta di un monologo.

Fondamentale il disegno luci di Gabriele Gugliara che accompagna la narrazione e interagisce con il corpo dell’attore in scena, ora disegnandone la sagoma o illuminandolo appena, ora trafiggendolo da un lato e all’altro, ora sovrastandolo dall’alto. Discrete e appropriate le musiche di Giovanni Magaglio.

IPERDARK
di e con Dario Muratore
suono Giovanni Magaglio
disegno luci Gabriele Gugliara
allestimento e costumi Fulvia Bernacca
aiuto regia Gisella Vitrano
produzione FrazioniResidue con Babel
in collaborazione con Spazio Franco e Piccolo Teatro Patafisico

Spazio Franco ai Cantieri Culturali alla Zisa, Palermo | 19 gennaio 2024