GIULIA BONGHI | Il ventotto gennaio a Venezia è il secondo giorno del Carnevale. Quest’anno è dedicato a Marco Polo, il grande viaggiatore del XIII secolo. Chi scrive è, in questo caso, anch’esso viaggiatore, alla scoperta del Gran Teatro La Fenice.
Riedificato due volte dalle sue ceneri, come il mitologico e immortale volatile narrato da Erodoto, il teatro mantiene intatti i suoi cinque ordini di palchetti e le piccole logge. La prima ricostruzione avvenne a seguito dell’incendio del 1836. La seconda, che ha effettuato un intervento conservativo e una ricostruzione filologica delle parti rimanenti, finanche utilizzando materiali e tecniche tradizionali, avvenne dopo l’incendio doloso del 1996.
L’allestimento de Il barbiere di Siviglia di Bepi Morassi proposto in cartellone, è nato a Padova nel 2002, con le maestranze veneziane in trasferta. È stato portato nel 2004 al Teatro Malibran, costruito al posto della residenza di Marco Polo, distrutta in un incendio – la Serenissima è la città tanto dell’acqua quanto delle fiamme – e inaugurato nel 1678. Dal 2011 è stato più volte ripreso sul palco della Fenice, che si erge elegante in campo San Fantin dal 1792.
Le scene e i costumi di Lauro Crisman descrivono la casa di Don Bartolo nella Siviglia settecentesca. Avvolto da enormi tendaggi, lo spazio si presenta dapprima come un esterno “con ringhiera praticabile circondata da gelosia che deve aprirsi e chiudersi a suo tempo con chiave”, poi come interno, la camera di Bartolo con scrittoio e “di prospetto la fenestra con gelosia”, aderendo alle indicazioni scenografiche del libretto.
La scelta di conformità alle idee originarie del librettista e del compositore, nel recupero di una forma più classica di realizzazione dell’opera in questione, è piacevolmente d’effetto. Tuttavia, l’impostazione registica non segue con altrettanto riguardo la scrittura rossiniana, aggiungendo fronzoli buffoneschi di cui il teatro di Rossini non ha alcuna necessità.
Morassi arricchisce e varia nel tempo la regia, pertanto ogni nuova ripresa ha qualcosa di diverso dalle altre. Il pericolo di un accomodante cedimento all’adulazione del turista è, malauguratamente, plausibile. Soprattutto in una città come Venezia, sovrastata dal turismo di massa che presuppone un rapporto rapido e distratto con le attrazioni del luogo.
Perché di questo si tratta: attrazioni. Luoghi snaturati, caricature, immagini da depliant; la città, come tanti altri borghi italiani, sostituisce le attività necessarie per la vita dei residenti con i servizi per i turisti, trasfigurandosi in un prodotto vendibile, favorendo un’immagine di sé stereotipata. Un palcoscenico, un’esperienza artefatta.
L’opera lirica, un prodotto culturale dei più ricchi e complessi, diviene un’offerta commerciale, un’experience che dà al turista l’illusione dell’esserci, la possibilità di aggiungere un’altra foto alla propria collezione, per poter dire “c’ero anch’io”.
Così, sono state introdotte gag di una comicità grossolana e brevi coreografie che risultano poco amalgamate con il tutto. A partire dal duetto All’idea di quel metallo, in cui Figaro e Almaviva accennano qualche passo di danza adoperando due bastoni da passeggio con pomello d’avorio, richiamando il musical americano. Il personaggio di Berta esplode in astiose risate da strega Disney. Il gioco attoriale si avvale di svariati ammiccamenti al pubblico per scatenarne la risata.
Il Barbiere possiede una narrazione scorrevole, lo humor, la sorpresa, la piacevolezza del canto e della musica, l’alternarsi di momenti cinetici e statici, mantenendo alta l’attenzione dello spettatore. Non servirebbe, insomma, ideare delle scenette risolte nella ricerca di un umorismo poco raffinato, accompagnate dall’effetto estetico grossier del disegno luci di Andrea Benetello.
«I nostri eccellenti scrittori di Dibattiti hanno trovato l’azione del pezzo folle, senza vedere, poveretti, che se non fosse folle non converrebbe più a questo genere di musica che non è che una follia organizzata e completa»; questa frase celebre di Stendhal descrive l’abilità compositiva e teatrale di Rossini, che gioca con la musica, sviluppando intanto l’antica scuola di canto napoletana verso il “belcanto”. Un gioco che sfida con leggerezza e divertimento l’impossibile, all’interno di un rigoroso equilibrio formale al servizio della musica. Detto ciò, la messa in scena di Morassi è anche piacevole a tratti, ma non illumina mai realmente la partitura o la drammaturgia dell’opera rossiniana.
Sul versante musicale si è purtroppo – e forse inevitabilmente – verificata una conformità alla resa scenica. Tutti fanno il proprio dovere, ma il risultato si può definire approssimativo. Gli interpreti non sono stati aiutati né dalla regia né dalla direzione distratta di Renato Palumbo, in altre occasioni apprezzato per il sicuro segno drammatico che imprime alle sue conduzioni operistiche.
Si sono distinti per maggiore chiarezza musicale e interpretativa Omar Montanari e Francesco Milanese, rispettivamente nei ruoli di Bartolo e Basilio. Di Alessandro Luongo si percepisce l’esperienza vocale e teatrale nel ruolo di Figaro. Bene gli altri: Marina Comparato (Rosina), Giovanna Dandini (Berta), Nico Darmain (il conte d’Almaviva ), William Corrò (Fiorello) e Nicola Nalesso (un ufficiale).
Come Marco Polo, viandante tra le meraviglie di un Oriente sconosciuto, chi scrive si aspettava un incontro onesto e ammirabile, scontrandosi invece con un prodotto commerciale per il turista inconsapevole.
La cultura spesso cede alle lusinghe del marketing. Eppure, vorrei rivendicare il mio ruolo di spettatore. Poiché in quel teatro, in quella sala, su quelle poltrone, ci sono anche io e chi come me non è un passeggero ignaro, ma un viaggiatore alla ricerca di qualcosa di autentico.
IL BARBIERE DI SIVIGLIA
Opera buffa in due atti di Cesare Sterbini
Musica di Gioachino Rossini
Il conte d’Almaviva Nico Darmain
Bartolo Omar Montanari
Rosina Marina Comparato
Figaro Alessandro Luongo
Basilio Francesco Milanese
Berta Giovanna Dandini
Fiorello William Corrò
Un ufficiale Carlo Agostini (26/1, 1, 7, 11/2)
Un ufficiale Nicola Nalesso (28/1, 3, 9, 13/2)
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Maestro concertatore e direttore Renato Palumbo
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Maestro al fortepiano Roberta Ferrari
Regia Bepi Morassi
Scene e costumi Lauro Crisman
Light designer Andrea Benetello
Fondazione Teatro La Fenice di Venezia
Venerdì 26 gennaio 2024 ore 19.00
Domenica 28 gennaio 2024 ore 15.30
Giovedì 1 febbraio 2024 ore 19.00
Sabato 3 febbraio 2024 ore 19.00
Mercoledì 7 febbraio 2024 ore 19.00
Venerdì 9 febbraio 2024 ore 19.00
Domenica 11 febbraio 2024 ore 17.00
Martedì 13 febbraio 2024 ore 19.00