RENZO FRANCABANDERA | La storia è presto detta e inizialmente ha un sapore shakespeariano (ma William la sapeva lunga quanto a capacità di costruire intrecci avvincenti): due giovani si incontrano in biblioteca e gli interessi comuni fanno scattare un colpo di fulmine. Sono emigrati di seconda generazione in USA, figli di famiglie di condizione borghese, una di origine ebraico-israeliana (lui, Eitan, interpretato da Federico Palumeri), l’altra arabo-palestinese (lei, Wahida, Lucrezia Forni).
Come gli Uccelli (Tous des oiseaux; English translation: Birds of a kind del 2019), notevolissima drammaturgia teatrale di Wajdi Mouawad, uno dei maggiori drammaturghi del nostro tempo, libanese naturalizzato canadese quindi pienamente interprete e portatore incarnato delle contraddizioni dell’emigrazione, è il luogo letterario in cui i due si incontrano; ma è anche quello fisico della rappresentazione di cui i due personaggi sono protagonisti, e che arriva in Italia nella bellissima versione teatrale realizzata da Il Mulino di Amleto. L’imponente messa in scena è una coproduzione fra A.M.A. Factory, TPE – Teatro Piemonte Europa, Elsinor Centro di Produzione Teatrale e Teatro Nazionale di Genova.
Lo abbiamo visto, dopo il debutto torinese e il passaggio in Liguria, nelle ultime date di questa stagione teatrale nello spazio del Teatro Fontana, realtà del circuito Elsinor da anni fra le più interessanti nel rapporto fra classico e contemporaneo, con una particolare attenzione al teatro indipendente.
Il Mulino ha portato in questa sala i suoi lavori fin dagli inizi, trovando terreno fertile per la crescita del segno, e suona quasi come una bella metafora della crescita di questi anni il fatto che dopo quasi un decennio dal Platonov, ora il palcoscenico di questo teatro riesca appena a contenere la grande macchina scenica.
La compagnia teatrale diretta da Marco Lorenzi, in questi anni recenti è stata protagonista di una serie di esiti teatrali coraggiosi e sorprendenti, come il Festen del giugno 2020 che anche questa stagione sta per riprendere la tournée, per evidente qualità registica e interpretativa. Formatisi alla scuola dello Stabile di Torino, Barbara Mazzi, attrice, e Marco Lorenzi, regista, con gli interpreti con cui spesso condividono il lavoro, hanno un modo peculiare di gestire il processo creativo che di solito prevede anni di preparazione all’esito scenico.
Negli anni si sono confrontati con la drammaturgia classica (Goldoni, Molière, Shakespeare, Victor Hugo, Brecht, Cechov, Pasolini) e contemporanea (Davide Carnevali, Magdalena Barile, Philippe Löhle, David Eldridge).
Nel 2023 oltre al debutto di questo nuovo lavoro, va registrata anche una pregevole versione di Affabulazione di Pasolini, su committenza di Emilia Romagna Teatro per il progetto sull’anniversario pasoliniano.
La strabica critica italiana non ha ancora tributato a questo gruppo di lavoro tutto il meritato e ormai, per conto di chi scrive, dovuto riconoscimento, ma si sa come a volte (non) funzionano queste cose…
Lorenzi negli ultimi lavori ha poi tarato l’equilibrio del segno, con un più misurato dosaggio fra gioco spettacolare e intensità attoriale: nelle ultime creazioni si è puntualizzato in particolare il secondo elemento e quindi la più profonda comprensione della relazione attore-personaggio, arrivando a un bisogno meno spinto del primo come motore della creazione.
Ma torniamo ai due ragazzi e alla loro vicenda che, benché scritta cinque anni fa, sembra immersa profeticamente nel contesto di una realtà storica che abbiamo sotto i nostri occhi, fatta di conflitti, dolore, odio e attentati. Dopo l’incontro iniziale dei due ragazzi, la trama ha un andamento temporale fatto di continui flashback e fast-forward, per alimentare ora la comprensione delle cose, ora la complicazione emotiva e il piombare della Storia nelle storie.
I due, come da protocollo dei topoi delle vicende d’amore, decidono di comunicare alle famiglie la loro relazione, ma la famiglia israeliana, ancorché storicamente attraversata da migrazioni, mescolanze, incontri, si oppone duramente all’ipotesi di una ragazza araba in famiglia.
Non una cosa inaspettata, invero, perchè il padre di lui odia profondamente gli arabi. Ma proprio mentre si recano dalla nonna di Eitan, Leah (Irene Ivaldi), per capire quale segreto sia nascosto nella vita del padre del ragazzo, profondo odiatore del popolo arabo, il destino decide di irrompere in modo imprevedibile nella vicenda: Eitan rimane vittima di un attentato terroristico sul ponte che collega Israele e Giordania, l’Allenby/King Hussein Bridge, e finisce in coma.
Diviso in quattro parti, con lo scorrere avanti e indietro nel tempo (1967, 1982, 2017), lo spettacolo, pur nella sua immanente fissità determinata da una imponente scenografia giocata intorno ad un grande simbolico muro, cambia anche di ambientazione passando da New York a Berlino e Gerusalemme, in una babele di lingue che abitano la scena (l’ebraico, l’arabo, il tedesco e l’italiano) e ricoprono, sovrapponendosi, la scenografia stessa tramite le videoproiezioni dei sovratitoli che però si sovrascrivono, senza cancellarsi mai del tutto, in un effetto di persistenza che finisce per far evaporare il segno originario per lasciare la sensazione della lavagna cancellata dove tutto si sovrascrive e si mescola.
Al letto d’ospedale, dopo l’attentato, convergono dalle rispettive diaspore familiari i genitori di Eitan, David e Norah (Elio D’Alessandro e Rebecca Rossetti) e il nonno Etgar (Aleksandar Cvjetković), che vivevano in Germania, e la nonna Leah, che era invece rimasta a Gerusalemme.
Il destino sconvolge le certezze e i pregiudizi degli uomini, mostrandone d’improvviso le fragilità, che non aiutano mai a capire in modo certo chi siamo veramente. A rendere rotonda e ulteriormente immaginifica la drammaturgia, la presenza “magica” del personaggio dello scrittore arabo seicentesco (Said Esserairi) a cui la ragazza stava dedicando i suoi studi.
In scena, in questo curato adattamento della drammaturgia originaria, realizzato dallo stesso Lorenzicon Lorenzo De Iacovo sulla bella traduzione di Monica Capuani che è anche dramaturg, incombe, come dicevamo, un imponente muro materico, che viene manovrato e per lo più ruotato in scena dagli interpreti stessi e che diventa spesso superficie per le videoproiezioni che ambientano l’azione, fanno effimero murales dei testi e raccolgono immagini ospitate al tema dell’acqua, dalla lacrimosa pioggia che cade dal vetro al mare in tempesta.
Dialogano assai bene la scenografia e i costumi (di Gregorio Zurla) con il profondo e onirico disegno luci di Umberto Camponeschi che insieme al disegno sonoro di Massimiliano Bressan restituiscono un piglio cinematografico all’atto scenico, rotto solo da una (invero non indispensabile) rottura della quarta parete.
La soldatessa ebrea Eden (Barbara Mazzi), violenta e sorda a ogni ragionevole incontro di pensieri, sancisce l’ineluttabilità dell’atto violento e della separazione: «Non c’è riconciliazione possibile. Troppe terre rubate, bambini uccisi, autobus fatti esplodere, troppi stupri, troppi omicidi. Come dimenticare quello che fanno loro a noi e come dimenticare quello che facciamo noi a loro?! Allora li ignoriamo! E quando bisogna attaccarli li attacchiamo, e quando ci dobbiamo difendere ci difendiamo».
Il testo era stato scritto quasi cinque anni fa e ha debuttato incredibilmente pochi giorni dopo l’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre.
Lo spettacolo ha adesso un respiro epocale, come l’Angels in America o il Leheman Brothers di qualche anno fa. Una saga intergenerazionale che racconta il tempo presente, quello che stiamo vivendo. Un must see assoluto di questa stagione teatrale (ma ormai possiamo dire della prossima, visto che per questa le repliche sono finite).
Siamo convinti sia assolutamente fra i testi stranieri più interessanti proposti in Italia negli ultimi anni su cui Lorenzi ha costruito un pensiero registico notevole, supportato da un lavoro collettivo di altri tempi: è giusto che questo spettacolo possa ambire a più di un premio.
COME GLI UCCELLI
di Wajdi Mouawad
consulente storico Natalie Zemon Davis
traduzione Monica Capuani
del testo originale Tous les oiseaux
adattamento Lorenzo De Iacovo, Marco Lorenzi
regia Marco Lorenzi
con Aleksandar Cvjetković, Elio D’Alessandro, Said Esserairi, Lucrezia Forni, Irene Ivaldi, Barbara Mazzi, Raffaele Musella, Federico Palumeri, Rebecca Rossetti
assistente alla regia Lorenzo De Iacovo
dramaturg Monica Capuani
scenografia e costumi Gregorio Zurla
disegno luci Umberto Camponeschi
disegno sonoro Massimiliano Bressan
vocal coach e composizioni originali Elio D’Alessandro
esecuzione al pianoforte de La marcia del tempo e Valzer per chi non crede nella magia Gianluca Angelillo
video Full of Beans – Edoardo Palma & Emanuele Forte
consulente lingua ebraica Sarah Kaminski
consulente lingua tedesca Elisabeth Eberl
un progetto di Il Mulino di Amleto
produzione A.M.A. Factory, TPE – Teatro Piemonte Europa, Elsinor Centro di Produzione Teatrale e Teatro Nazionale di Genova
in collaborazione con Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale e Festival delle Colline Torinesi
con il sostegno di ART-WAVES Produzioni 2022 e 2023 Fondazione Compagnia di San Paolo
immagine di copertina Paolo Arlenghi