RENZO FRANCABANDERA e ELENA SCOLARI | RF: Parliamo qui di un allestimento particolare, che il regista Claudio Autelli ha voluto creare sulla base di una riscrittura operata da Davide Carnevali da un romanzo breve di Fëdor Dostoevskij. Carnevali è autore e drammaturgo impostosi negli ultimi anni sulla scena italiana con una serie di scritture di tono contemporaneo capaci di accogliere possibili adattamenti registici di cifra post-drammatica. L’adattamento che ricava dal testo del maestro russo riduce al confronto fra i due principali personaggi maschili la vicenda portata in scena e interpretata da Ciro Masella e Francesco Villano. Sulla operazione drammaturgica e sul confronto con l’originale passo però la parola a te che del grande scrittore russo sei appassionata.
ES: L’adattamento de L’eterno marito è sostanzialmente fedele al romanzo, un’opera in cui l’autore sonda il tema del doppio (come ne Il sosia), declinandolo nel complesso rapporto tra i due protagonisti: Aleksej Vel’caninov (Francesco Villano) si occupa di affari legali vive a San Pietroburgo, è scapolo, e nove anni prima, nella città di T., fu l’amante di Natalia, moglie di Pavel Pavlovic (Ciro Masella). Quest’ultimo ricompare misteriosamente nella vita di Vel’caninov, un uomo con un cappello ornato di un crespo nero a lutto pare seguirlo per giorni tra le vie della città senza avvicinarlo, finché si presenta a casa sua, nottetempo e ubriaco. In questa visita gli comunica la recente morte di Natalia per tisi e fa cenno alla figlia Lisa, alludendo a curiose coincidenze temporali sulla sua data di nascita e la improvvisa partenza di Aleksej da T.
Ancora non è chiaro se fosse a conoscenza della tresca di gioventù ma Vel’caninov teme che voglia vendicarsi, tramando qualcosa a suo danno.
Da qui comincia un inquietante balletto tra i due personaggi: l’uno vorrebbe rifuggire l’altro ma Aleksej è stranamente attratto da Pavel, che un po’ lo lusinga e un po’ lo insulta, un po’ lo salva e un po’ lo minaccia, e soprattutto lo tiene legato insinuando di aver qualcosa da rivelare.
Come spesso succede in Dostoevskij la figura negativa è misera ma anche diabolica, Masella è spiritato e incarna una sfumatura grottesca, sì, non sono però convinta che arrivi ad apparire veramente pericoloso.
RF: Lo spazio scenico in cui lo spettacolo si ambienta (idea di Maddalena Oriani) propone un interno borghese ricavato con una parete tripartita a fondale, e un semplice sofà come elemento di arredamento. Qui in realtà c’è da dirimere una questione piuttosto importante, perché l’idea registica originaria, diremmo organica alla visione ricorrente di Claudio Autelli, era quella di un micromondo che doveva condensarsi dentro la scatola teatrale vuota, in modo da far emergere in modo più spiccato il teatrino del ‘salotto borghese’.
Tale configurazione, diremmo più “ideologica” è invero piuttosto sacrificata dalla scelta operata dal Teatro Franco Parenti che ha ospitato le repliche nella più piccola Sala A come A invece che nella sala grande. Questo ha costretto alla coincidenza dimensionale, quindi concettuale, del palcoscenico in larghezza con la parete del salotto stessa, neutralizzando e facendo in parte evaporare la sensazione di dentro e fuori il “teatrino” che di tanto in tanto – con qualche artificio – viene riproposta, ma con effetti sicuramente meno rimarchevoli di quelli che si potrebbero apprezzare in uno spazio a vista piena, dentro un palcoscenico di più grandi dimensioni.
Questo sacrificio però potrebbe aver enfatizzato alcuni sentimenti claustrofobici tipici della poetica dostoevskjiana. Che ne dici?
ES: Molto dell’intreccio si svolge effettivamente in interni, diciamo che la ‘costrizione’ spaziale del palco può forse essere letta – facendo di necessità virtù – come allusione a una sede compressa della coscienza, luogo dove si combattono i sentimenti contrapposti tra i due uomini, vero nocciolo del racconto.
RF: Ed effettivamente consideravo (anche pensando alla grandezza originaria di Dostoevskij) che l’abito di pensiero è così ben fatto da adattarsi a contesti anche molto diversi.
In questa co-produzione Teatro Franco Parenti / LAB121 / TrentoSpettacoli, a completare i segni scenici ci sono il disegno luci di Omar Scala, che crea una serie di mutevoli atmosfere, le musiche originali mai invasive e il sound design di Gianluca Agostini.
Interessanti e curati i costumi di Margherita Platé e il film-making di Alberto Sansone. La regia infatti si giova di numerosi inserti video, alcuni realizzati anche in presa diretta, che fanno da contraltare narrativo alla parte recitata dei due interpreti e che lasciano un sapore da sceneggiato televisivo.
Che impressione hai ricavato del dialogo fra linguaggio teatrale e inserto filmico scelto dalla regia?
ES: Personalmente ho trovato un po’ macchinoso l’andirivieni stilistico scena/video: andare a prendere la videocamera per piazzarla e poi andarla a riporre fuori dalla vista del pubblico, più volte, non è un’azione che trova – a mio avviso – una vera giustificazione drammaturgica. Le immagini in presa diretta producono un realismo artificiale che non giova al valore simbolico degli elementi cruciali della storia.
Questo deriva da una scelta fatta a monte, e cioè quella di applicare un filtro teatrale ai fatti rappresentati: i due protagonisti si presentano a noi come attori, a tratti narrano in terza persona una parte dell’intreccio, escono dall’interpretazione del ruolo e diventano Masella e Villano che sovrappongono loro stessi ai personaggi; è una cornice che può apparire posticcia perché il fulcro de L’eterno marito è l’ambiguità di relazione tra due uomini, due facce di un’insoddisfazione comune agli esseri umani tutti. Per essere più chiari: Pavlovic invidia ‘con rabbia’ Vel’caninov per qualità umane innate che lui non ha, non perché sia più bravo nell’esercitare lo stesso mestiere; questo sarebbe in fondo poco più che meschino, invece Aleksej sa risultare istantaneamente simpatico anche agli sconosciuti, possiede un savoir faire naturale che ben dispone gli altri nei suoi confronti, riesce a farsi amare, insomma. Ecco cosa fa imbestialire l’inadeguato Pavel.
RF: L’operazione, pur nella sua semplicità scenica, in questo riadattamento spaziale incorpora talune piccole complessità tecniche legate all’utilizzo delle telecamere in presa diretta la cui macchinosità andrebbe rivista in uno spazio con minori difficoltà di movimento rispetto a quello in cui noi abbiamo visto lo spettacolo; per altro verso queste dinamiche muovono la resa e il ritmo, creando progressivamente un pathos piuttosto fedele all’originale per intonazione, sebbene sia stata operata la scelta di trasferire sui due interpreti non solo i ruoli tradizionali ma anche la dimensione di auto-finzione, leggibile – come dicevi – dal fatto che spesso si chiamano con il loro vero nome.
La cosa è venuta come progressivo frutto di una serie di riscritture, proprio per adattare la narrazione non solo ai due personaggi ma anche alle due persone: di qui l’idea poi di arrivare alla sovrapposizione fra carattere e interprete, anche se l’elemento specifico non risulta significativamente additivo rispetto al resto della vicenda, che di suo ha già una ricchezza ampia, come sempre in Dostoevskij (rispettosamente avvicinato da Carnevali) tragicamente ironica e grottesca.
Autelli tiene una regia nitida, coerente dall’inizio alla fine nei modi e nella profondità di lettura dei personaggi. Le due interpretazioni rendono assai bene i portati umani che lo scrittore stesso volle così diversi ma profondamente così affini.
L’aggiunta peculiare operata da Carnevali mi pare risieda nel voler dar voce alle volontà delle giovani generazioni, cosa che arriva per bocca di un finto spettatore cui è affidato un ruolo interpretativo, che viene fuori in un momento della recita in cui la rappresentazione si apre in modo piuttosto ampio verso la platea.
ES: Sì, Villano e Masella sono decisamente una coppia ben assortita.
RF: Concordo!
ES: …e la dinamica tra i due personaggi vive senza dubbio della brillante qualità attoriale di entrambi.
Nella scena di apertura verso il pubblico cui ti riferisci, alla canzone Non arrossire di Gaber cantata da Villano per un momento di interazione giocosa, si aggiunge l’intervento del giovane Lobov – che pure è in Dostoevskij – che concentra la sua presa in giro sull’età dei due uomini e sul fatto che non si sappia più a chi dare fiducia, oggi. Lo slittamento è nel metterlo tra di noi, in borghese, invece che sul palco.
Se il video della scena alla stazione è poco riuscita per eccesso di semplificazione, funziona invece lo sguardo di Villano nella lunga inquadratura finale sul treno in viaggio, che proietta lui e la vicenda in un futuro eternamente indeterminato.
RF: Questione video a parte (in fondo anche escamotage mediale utile a rompere lo schema del duale senza dover ricorrere a un numero più ampio di interpreti in scena), l’operazione è pulita, ha un suo valore molto attuale perchè rifugge la logica manichea del buono e del cattivo, del bene e del male.
Gli opposti, le qualità e le miserie albergano in ciascuno, così come, forse, l’ineluttabilità dell’individuo a recitare sempre e comunque la stessa parte, salvi dirottamenti ferroviari imprevisti dell’ultimo minuto.
ES: Lo scandaglio nelle profondità dell’animo è il tema principe di Dostoevskij: l’invidia, la meschinità, la codardia, il male, gli slanci lucenti di generosità sono di tutti gli essere umani.
RF: E il deragliamento dalla strada segnata arriva per sorte o volontà?
L’ETERNO MARITO
da Fëdor Dostoevskij
libero adattamento Davide Carnevali
regia Claudio Autelli
con Ciro Masella e Francesco Villano
in video Sofija Zobina e Lia Fedetto
scene Maddalena Oriani
disegno luci Omar Scala
musiche originali e sound design Gianluca Agostini
costumi Margherita Platé
film-making Alberto Sansone
responsabile tecnico Emanuele Cavalcanti
assistente alla regia Valeria Fornoni
organizzazione Daniele Filosi e Dalila Sena
ufficio stampa Cristina Pileggi
produzione Teatro Franco Parenti / LAB121 / TrentoSpettacoli
con il sostegno di NEXT laboratorio delle idee per la produzione e programmazione dello spettacolo lombardo, edizione 2022/23 | Regione Lombardia
Fondazione Caritro | Provincia Autonoma di Trento, Centro Servizi Culturali Santa Chiara di Trento
Teatro Franco Parenti, Milano | 11 e 13 febbraio 2024