SARA PERNIOLA | Io sono Cassandra – un altro studio per la misura umana è uno spettacolo del Teatro dei Venti che ha come protagoniste le detenute attrici della sezione femminile della Casa Circondariale Sant’Anna di Modena: in coproduzione con il Coordinamento Teatro Carcere Emilia-Romagna e all’interno di AHOS All Hands on Stage – progetto cofinanziato dal programma Creative Europe – fa anche parte del percorso di ricerca per il prossimo spettacolo della compagnia per gli spazi urbani di grandi dimensioni, con debutto previsto nel 2026. Un’esperienza che per il Teatro dei Venti è ben nota, dal momento che si impegna in carcere dal 2006 costruendo attività con molti professionisti e promuovendo un processo ricco di benefici sociali e umani. Con il suo lavoro quasi ventennale ha creato, infatti, un vero e proprio presidio culturale all’interno dell’Istituto, apprezzato dal pubblico e dalle Direzioni, con laboratori e spettacoli significativi e intensi.
Io sono Cassandra ha debuttato il 12 dicembre ed è andato in scena nuovamente nella sala teatrale del carcere il 2 febbraio e replicato dal 5 all’8 solo per il pubblico già autorizzato. La data scelta per la nostra visione è l’ultima giornata: dopo i canonici controlli per poter accedere all’Istituto, dopo gli sguardi curiosi e silenti che rivolgiamo verso gli spazi e le persone, attendiamo in una grande stanza, che è anche un lungo corridoio, dove a farci compagnia c’è un bellissimo mural ricco di colori raffigurante musicisti e che ricorda la street art. Già emozionati, entriamo nella grande e moderna sala teatrale del carcere e immediatamente veniamo immersi in un’atmosfera scura e sacrale, in cui anche noi siamo i protagonisti di un rito di purificazione che, nella sua semplicità, sembra celare un complesso processo di significati.
In fila indiana, veniamo accolti da due moderne seguaci della sacerdotessa Cassandra: la prima effettua con una brocca l’abluzione delle nostre mani, la seconda ci accompagna ai posti. Ci accomodiamo e le sedie nere costituiscono un cerchio che delimita i confini di un universo simbolico condiviso anche con le altre protagoniste dello spettacolo – Cassandra e due attrici/discepole – di fianco a noi.
Pochi altri elementi costituiscono l’apparato scenografico: la simulazione di un altare sacrale, due microfoni e alcuni quaderni, un contenitore rotondo posto a terra in cui verranno posate, a fine spettacolo, le nostre lettere piene di enigmi scritte per Cassandra. Un allestimento che ha il suo punto di forza, dunque, nell’intimità dell’atmosfera, che contribuisce a rappresentare situazioni antichissime che affondano la loro radice nel mito.
La pièce porta la firma registica di Stefano Tè, il quale, insieme ad Azzurra D’Agostino, si è occupato anche della drammaturgia: un’indagine potente ed emozionante sulla figura di Cassandra, che ha fin da subito suscitato l’interesse del pubblico attivando riflessioni significative e facendo provare sentimenti profondi. La narrazione, attraverso un reading di racconti, visioni, voci sul futuro, di un personaggio enigmatico come quello della profetessa, all’interno di un luogo marginale per eccellenza come il carcere, sembra calare nella contemporaneità la complessità del reale; Cassandra proietta nella sua vicenda i problemi di tutte e di tutti, interrogativi che non hanno una risposta immediata e che si radicano perlopiù nel vivere e nella condizione umana.
Il passato e la colpa, la consapevolezza e il presente, il futuro e la libertà, sono alcuni dei nodi cruciali estratti dal materiale mitico e attualizzati in forma poetica, essendo la poesia, come afferma la poetessa Azzurra D’Agostino, «sempre, in qualche modo, profezia». I testi sono scritture originali dell’autrice, frutto del lavoro con le detenute attrici grazie ai percorsi di creazione a cura di Francesca Figini e Oxana Casolari. Ed è proprio sulle riflessioni e sulle domande che si scambiano che si concentra lo spettacolo: tre di loro – tra cui Cassandra – interpretano stralci narrativi da tre quaderni diversi che hanno in mano, scandendo lentamente e con intensità ogni parola, impreziosendo ogni imperfezione o piccolo errore.
Nel mentre, sembra che ci conducano sempre più e sempre meglio verso il loro mondo interiore. Questa connessione emotiva diventa ancora più intensa quando c’è un contatto corporeo con il pubblico, ovvero quando le interpreti iniziano a camminare con lentezza all’interno del cerchio per poi fermarsi di fronte a noi e guardarci negli occhi intensamente, prendendo le nostre mani e tracciando linee con le loro dita sui nostri palmi. Un momento delicato e di profonda comunicazione relazionale che si conclude con i nostri acuti interrogativi la cui soluzione chiediamo a Cassandra.
Io sono Cassandra si rivela essere, dunque, più che uno spettacolo, una vera e propria esperienza, dirompente e autentica, con modalità di espressione del linguaggio e del corpo – per le pronunce, i ritmi e la gestualità caratteristici di ognuna – diversi e capaci di far comprendere al pubblico quanto sia potente la relazione basata sul dono, la quale non soltanto supera l’individuo e fa pensare a un’identità collettiva, ma fa anche cogliere tutti gli sforzi e la propensione di riscatto che il teatro può offrire per guardare oltre e respirare aria di libertà. Uno spettacolo, poi, che riguarda tutte e tutti poiché anche noi, alla fine, doniamo a Cassandra i nostri enigmi irrisolti, sperando che ci risponda, liberandoci, in parte, dalle nostre catene.
In uno stato ancora di sospensione e con gli occhi pieni di bellezza usciamo dall’Istituto grati al Teatro dei Venti e alle detenute attrici per averci messi di fronte ai nostri dilemmi quotidiani e sentendo vicini quelli degli altri, grazie all’incontro di visioni del mondo e di storie di vita differenti.
IO SONO CASSANDRA