ELENA SCOLARI | Come si fa a far uscire la musica da un libro? Lo ha fatto Lello Cassinotti con il volume Artaud e i suoni della crudeltà edito da Ponte Quarantatre. Cassinotti è attore e performer, fondatore della Compagnia Delleali teatro, esplora da sempre con particolare passione il mondo dei suoni e della voce attraverso il corpo/strumento. Lo stimolo di partenza di ogni suo lavoro è dettato da un immaginario visivo o sonoro. Realizza letture di poesia sonora, installazioni o contesti visivi in cui agisce in prima persona.
Ora ha creato un bellissimo libro d’arte in cui coabitano i suoi collage grafici con interventi di numerosi attori, artisti, musicisti, poeti, insegnanti, scrittori, registi che hanno affiancato il loro personale contributo all’immagine, in forma libera, immaginando (oppure no) un pensiero legato alla musica, al suono o ad Artaud.
Il volume contiene anche preziosi e ricchi testi della studiosa di teatro Vincenza Di Vita, della filosofa Florinda Cambria, del regista, drammaturgo e critico Franco Ruffini.
Forse è stato proprio lo spirito di quel pazzo di Antonin Artaud a ispirare un’operazione così articolata e variegata, niente affatto “crudele” ma anzi generosa e stimolante per tutti quelli che sfoglieranno queste pagine, fatte di carta piacevole anche al tatto.

Abbiamo dialogato con l’autore Antonello Cassinotti di questa avventura editoriale e artistica.

Cosa ha a che fare Artaud con te e con il tuo teatro?

Io non sono un intellettuale ma studio, leggo e sono curioso, il mio approccio al teatro è sempre stato pratico. Mi piace abitare la macchina, lo faccio come organizzatore, come insegnante e anche come performer.
Anna Maestroni del TTB (Teatro Tascabile di Bergamo, n.d.r.), per prima mi parlò di Artaud, io ero giovincello e a quel tempo non ho troppo approfondito ma poi alla Scuola del Teatro Arsenale mi fecero leggere L’arte segreta dell’attore – Un dizionario di antropologia teatrale” di Barba e Savarese, poi testi sul teatro Nō giapponese – Kuniaki Ida era già tra gli insegnanti – e poi lessi “Il teatro e il suo doppio“. E pensai: che personaggio! Mi ha affascinato la vita di Artaud, prima e più che le sue teorie e peripezie attorno al teatro e al cinema. E per un po’ è rimasto sul comodino.
Nel mio primo spettacolo, poi, Tutto quello che avreste voluto sapere sugli occhi storti e di cui non avete mai osato chiedere, che fa riferimento al film di Woody Allen (Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso e non avete mai osato chiedere, n.d.r.), raccontavo l’aneddoto della mia vita in cui sono diventato strabico a causa di un’indigestione di banane.

Che è un fatto biografico degno di Artaud, diciamolo.

Già! Mia madre mi ha sempre raccontato che avevo un anno e mezzo, eravamo in vacanza, mio cugino più grande mangiava una banana, ovviamente la volevo anche io e così gliene presi un pezzo, l’ho mangiata e poi nel giro di qualche ora mi è salita la febbre. Avevo fatto un’indigestione che ebbe un effetto amplificato, ebbi scompensi nervosi, convulsioni… e in seguito a questa crisi i miei occhi subirono un danno.
Nello spettacolo di cui ho accennato cito Artaud quando – più o meno – afferma che la gente ha fame e la cultura non ha mai sfamato nessuno. Ho trasposto questa osservazione al concetto simbolico della fame insaziabile, una bulimia di vita che porta alla questione della sovrapposizione tra teatro e vita. Tutti noi teatranti ne siamo vittime. Banane o non banane. Sentiamo la necessità di alimentare quel modo di vivere che sovrappone vita e arte. Per Artaud questo riguardava la poesia del teatro, per lui il teatro era poesia. Significava rivoluzionare se stessi.

Ritmo scandito – collage di Lello Cassinotti

Com’era questo spettacolo al potassio?

Lo spettacolo era una parabola in cui un personaggio, in un teatrino (il cui boccascena era la copertina de Il teatro delle marionette di Von Kleist), chiedeva una banana, gli veniva data, poi ne chiedeva una seconda che otteneva con difficoltà, poi ancora altre con maggiori difficoltà, man mano con gradini sempre più alti, a metà spettacolo gli serviva una mappa per trovare la banana, una vera caccia. Il personaggio scova uno scrigno ma nessuno saprà mai cosa ci ha trovato o non trovato; da lì in avanti comincerà a prendersi tutte le banane che vuole, le ruberà, con uno scarto sempre maggiore di necessità. Alla fine avrà e mangerà banane su banane. Una indigestione crudele.
La gente rideva da matti fino allo spiazzamento finale: lo spettacolo si chiudeva con la frase: «Come successe a un bambino nel 1961, in una località in provincia di Bergamo denominata Leffe, a cui si storsero gli occhi e rimasero così per sempre».

Quali sono stati gli altri incontri artaudiani sulla tua strada?

Sono stati in tante forme diverse e con tante persone diverse: ho conosciuto l’autore e fotografo Maurizio Giannangeli (il cui intervento è nel volume) e nelle conversazioni con lui Artaud usciva sempre, è un personaggio che mi è stato sempre presente benché non lo capissi fino in fondo, e forse nemmeno ora ma credo che Artaud non vada capito, Artaud va frequentato. Ci sono troppi Artaud da conoscere: la sua idea di teatro, la sua vita, Artaud letterato, antropologo, filosofo…
Vidi César Brie in Talabot (regia di Eugenio Barba) in cui recitava la conferenza Le théâtre et la peste, vidi spettacoli dell’Odin Teatret; vidi il lavoro di Danio Manfredini, che mi sembrò di stile decisamente artaudiano; poi lessi il saggio di Artaud Van Gogh il suicidato della società, scritto – su richiesta – in seguito alla visita alla mostra dedicata al pittore dal Musée de L’Orangerie di Parigi e ne rimasi molto colpito per la visione “sociologica” che ne emergeva, di un artista schiacciato e impedito dal contesto in cui era calato.

Arriviamo al tuo interesse per la musica: il suono segue da sempre il tuo percorso, hai fatto anche studi “beniani” (legati a Carmelo Bene), ti piace mescolare suono e voce per farne materia. Hai trovato osservazioni di Artaud su questo elemento del tuo fare teatro?

Rispetto alla musica ho portato Artaud verso di me. Io avrei voluto essere un musicista, ho provato con la tromba ma non ottenevo cose abbastanza belle in rapporto alla fatica, così ho pensato di fare musica in un altro modo, con la voce, per arrivare a un’idea musicale del teatro, in cui ogni gesto e ogni luce sia parte di una composizione. Sperimentando ho costruito spettacoli in cui il testo veniva meno, diventava materia sonora, il fruitore non capiva le parole perché le rompevo, le acceleravo. E qui stava il nocciolo della mia decostruzione.
Ho collaborato con musicisti come Nino Locatelli e Giovanni Fontana (entrambi presenti nel libro). Quest’ultimo mi ha fatto conoscere la dimensione dell’improvvisazione, ho sperimentato la poesia sonora attraverso musicisti come Luigi Pasotelli, un poeta sonoro e visivo che crea composizioni grafiche su partiture, a un certo punto della sua carriera si è scoperto performer e ha cominciato a chiamare i suoi interventi “teatrini sonori”. L’unione era dunque possibile. E così ho lavorato sul passaggio dal verbale al non verbale in scena per comporre poesia sonora.
Chi si considera performer non fa teatro, realizza la totalità, l’estremizzazione dell’uomo-teatro, Artaud era il teatro nella vita e fuori, quindi era un performer.
Il mio teatro è una continua indagine su come intrecciare, come far coabitare la pulsione musicale con quella teatrale.

Il libro è esso stesso una composizione: ci sono i tuoi collage – a loro volta creazioni composte – e poi c’è la parola scritta, come esce la musica da qui?

La musica è nel senso delle parole, nel significato degli interventi raccolti, a volte in maniera esplicita altre invece nel ritmo e nell’armonia dei contributi.
Il primo (mio) contributo, Il grido silenzioso, è accoppiato al collage Il grido lanciato, in quella pagina si parla di musica; nella pagina di Eliogabalo o l’anarchico incoronato a cui mi riferisco, Artaud parla di musica per parlare di teatro.
Dal punto di vista più diretto ci sono poi alcuni QR code che rimandano a file audio da ascoltare.
In origine non ero nemmeno partito con l’idea di fare un libro.

Il grido lanciato – collage di Lello Cassinotti

E come hai stabilito che la forma libro sarebbe stata la giusta via?

Data la mia passione indagatoria per la musica parallela a quella per Artaud, ho cominciato ad appuntarmi tutte le sue frasi che avevano a che fare con la musica, frasi dove ci fosse almeno un termine che riportasse alla musica o alla sonorità. È stato anche un gioco terapeutico per prendermi un tempo fuori dal lavoro di organizzazione. Contestualmente ho iniziato a costruire i collage, senza nessuno scopo preciso, poi li ho associati alle frasi che avevo raccolto, cominciando a pensare che questa unione avrebbe potuto diventare un libro.

Come hai scelto le persone per il libro e quali consegne hai dato loro?

La maggior parte l’ho scelta per rapporti di fiducia reciproca e per un modo simile di abitare il palco. Ho chiamato i colleghi con i quali condivido una dimensione compositiva del mettere in scena o che trovo abbiano un modo di fare musicale: tra i tanti, Roberto Latini per il suo rapporto artistico con Gianluca Misiti, César Brie e Danio Manfredini per le ragioni raccontate prima, Andrea Cosentino per il suo essere un po’ musicista e per la sua personalissima frequentazione teatrale con le teorie di Artaud.
Tengo molto poi alla presenza di Giovanni Fontana, poeta e performer che ha fatto parte dei più importanti movimenti di poesia sperimentale e performativa degli anni ’60 collaborando a numerose riviste di poesia sonora tra cui Baobab di Adriano Spatola e Giulia Nicolai. Il suo contributo comprende un piccolo poema di Artaud del 1946 che Jean-Jacques Lebel inviò alla rivista La Taverna di Auerbach e che in Italia è stato tradotto e pubblicato solo nel 1989-90 proprio da Giovanni.
Vincenza Di Vita poi mi ha aiutato suggerendomi altre persone che pensava adatte per un’operazione del genere.
A tutte le persone che hanno accettato l’invito ho mandato l’immagine di un mio collage e la frase a cui l’avevo associato, lasciando libertà assoluta per la forma del contributo. Letteralmente carta bianca. Ho soltanto suggerito che le linee tematiche giravano intorno al suono e ad Artaud ma senza che nemmeno queste fossero vincolanti.

Quali sono i primi riscontri dopo l’uscita del volume?

Io sono felicissimo! Oltre che per il volume in sè anche perché durante le presentazioni sembra nascere nel pubblico un interesse più ampio di quanto sta nel libro stesso. E questo è uno degli obiettivi. Il mio sogno è che si organizzi un giorno una tavola rotonda su teatro e musica in Artaud.

Ma intanto a Bergamo ci sarà presto un’occasione importante, dicci qualcosa al riguardo.

Sì! A Bergamo il TTB organizza una settimana di studi su Artaud che si aprirà proprio con la presentazione del mio libro, il 10 marzo alle ore 17. L’evento si intitola Gli orienti di Artaud – Poeta, attore, visionario, uno dei grandi profeti del teatro. Ci saranno mostre, seminari, laboratori, performance e si terrà dal 10 al 17 marzo presso il Monastero del Carmine.

ARTAUD E I SUONI DELLA CRUDELTÀ

Autore Antonello Lello Cassinotti
Organizzazione Ponte43
In collaborazione con delleAli Teatro e Theatron 2.0
Curatela scientifica e coordinamento Antonello Lello Cassinotti
Coordinamento editoriale Ponte43
Grafica e impaginazione Armando Fettolini
Referenze fotografiche Giudicianni & Biffi – Mezzago
Stampa La grafica – Trento