RENZO FRANCABANDERA | Questo modo di fare teatro è antico. Il teatro documentario ha radici profonde nella storia delle arti performative, e la sua evoluzione nel corso del tempo ha riflettuto i cambiamenti sociali, politici e culturali del mondo circostante. Partendo dall’innovazione introdotta da Erwin Piscator nel primo Novecento fino alle moderne declinazioni di oggi, è possibile tracciare un percorso affascinante che evidenzia il ruolo cruciale di questa forma d’arte nell’interpretare e rappresentare la realtà, insieme alla fortuna. Piscator era stato già un secolo fa un pioniere del teatro politico e documentario, introducendo una nuova visione del teatro come strumento per analizzare e commentare gli eventi contemporanei. Attraverso l’uso di montaggi, proiezioni di filmati e l’incorporazione di elementi giornalistici nelle sue produzioni, Piscator aveva creato una forma di spettacolo che sfidava le convenzioni teatrali tradizionali e coinvolgeva attivamente il pubblico nel processo di riflessione politica e sociale.
Dopo L’Istruttoria di Weiss di metà degli Anni 60, giusto per fare il rimando più celebre, in epoca contemporanea, una rinascita del teatro documentario ha cominciato a prendere forma a partire dalla fine degli anni 90, con nuove declinazioni da parte di artisti che, sfruttando anche le nuove dotazioni multimediali che consentono di lavorare anche fuori dallo spazio teatrale convenzionale, hanno avuto un grande esito internazionale, da Roger Bernat a Rimini Protokoll o Milo Rau e Lola Arias, per nominare alcuni fra coloro che hanno avuto recenti circuitazioni anche nel nostro Paese.
Diverse sono le compagnie italiane che hanno scelto questa formula di espressione per il proprio codice scenico. Fra queste, negli ultimi anni, un particolare successo ha avuto l’azione di Domesticalchimia, compagnia fondata nel 2016 da Francesca Merli (regista), Elena Boillat (perfomer e coreografa) e Federica Furlani (sound designer
e musicista)  Intorno a questo nucleo, si
aggiunsero presto Camilla Mattiuzzo (drammaturga), Laura Serena (attrice) e Davide Pachera (attore).
Già con il primo lavoro, Il Contouring Perfetto, spettacolo prodotto con il sostegno di ERT Emilia
Romagna Teatro e Rami Residenze Artistiche, la compagnia risultò vincitrice del Festival“Avanguardie 20 30”. Sono seguiti nel 2018 Una Classica Storia d’Amore Eterosessuale, vincitore del Premio “Theatrical Mass” indetto da Campo
Teatrale e del Bando di Opera Prima Festival per la categoria nuove scoperte.
Si arriva così al successivo progetto La Banca dei Sogni, che 
si propone di raccogliere e documentare i sogni delle persone attraverso interviste audio e video, per poi trasformarli in materiali artistici da utilizzare in performance teatrali. Questo approccio permette di dare voce ai sogni individuali e di esplorare le loro connessioni con la realtà quotidiana e l’esperienza umana.
Questo lavoro d’inchiesta sull’attività onirica di persone di tutte le fasce d’età che collegandosi alla pratica del teatro documentario, si configura come forma artistica che combina elementi della realtà con quelli della rappresentazione teatrale, offrendo al pubblico come prospettiva di fondo, non immediata ma che si arriva a leggere chiaramente in controluce, una riflessione indiretta su tematiche sociali, politiche o esistenziali. Il progetto pur nelle difficoltà del tempo pandemico, ha avuto un particolare successo e molti teatri in diverse regioni italiane l’hanno sostenuto, “adottandolo”.
L’ultimo in ordine di tempo a chiedere alla compagnia un intervento sul proprio territorio è stato il Teatro Stabile del Veneto che ha ospitato gli artisti a Padova per un’indagine che ha coinvolto tra l’altro molte realtà e associazioni del territorio e che si è conclusa sia con la consueta restituzione spettacolare, sia con una partecipata tavola rotonda, tenutasi l’8 marzo dopo lo spettacolo, e a cui hanno partecipato oltre agli artisti (Merli, Serena e , anche docenti universitari (la prof. Cina e il prof. Cellini del dipartimento di psicologia e neuroscienze), esponenti dell’associazionismo coinvolti nel progetto (Sebastiano Rizzardi e Nicola Bernardi), coordinati nel dialogo da Diletta Rostellato del TSV.
L’intento è stato quello di riflettere, al termine della replica, insieme al pubblico presente sulle similitudini che esistono tra teatro e antropologia, tra teatro e psicologia, tra teatro e filosofia mostrando anche come l’interdisciplinarietà tra queste realtà all’apparenza così differenti, possa creare un’alleanza efficace, mettendo il linguaggio dell’arte a comunque denominatore.

Ispirate dall’omonimo libro degli antropologi J. & F. Duvignaud e F. Corbeau, che con i sogni hanno raccontato le tensioni di classe della società francese degli anni ‘70 e ‘80, Domesticalchimia ambisce con questa operazione a raccontare la nostra società, nel percorso esistenziale e anagrafico che va dal bambino all’anziano, una scansione temporale che si dà anche nello spettacolo, che evolve proprio per scene che raccontano l’infanzia, l’adolescenza, l’età adulta e la vecchiaia attraverso i sogni di persone anagraficamente coerenti con questo dato anagrafico.
Come si arriva a questo?
La compagnia ha intervistato bambine/i, adolescenti, adulte/i e anziane/i di Padova come di diverse città d’Italia prima di questa, da Firenze, a Milano, Novara, Treviso, Lecce e Trieste, ogni volta restituendo quanto raccolto con una nuova riscrittura scenico-drammaturgica.
L’idea non è quella di fare psicanalisi o interpretazione, ma di scattare una fotografia, o meglio una radiografia del nostro presente, condotta attraverso uno strumento che generalmente si considera intimo, captando le tematiche che riguardano ciascuna età della vita, dai sogni per il futuro alle prospettive del tempo del lavoro, fino alla progressiva decadenza che l’essenza vivente conosce nell’ultimo tempo dell’esistenza. Lo spettacolo, come forma di restituzione, diventa quindi una sorta di termometro della specifica comunità su cui il progetto si innesta, traendo spunto dai “sognatori” che Domesticalchimia incontra di volta in volta con la sua indagine.

Vengono quindi messe in scena storie vere di persone comuni, utilizzando spesso tecniche di intervista e testimonianza per creare uno spettacolo autentico e coinvolgente e a differenza che nelle altre città, qui la sperimentazione è stata ulteriore. Infatti il modulo creativo in origine prevedeva che i sognatori stessi fossero in scena. Qui invece Merli, da sempre affascinata dalla pratica cinematografica, crea un dialogo fra i due artisti in scena (Laura Serena, Marco Trotta).

In questa nuova formula, il teatro documentario di Domesticalchimia continua a evolvere, spingendosi oltre i confini tradizionali della rappresentazione scenica tal quale. Con i nuovi media disponibili, ma che già Piscator usava un secolo fa, gli artisti hanno a disposizione nuovi strumenti per raccogliere storie e testimoniare esperienze, creando spettacoli che si nutrono della partecipazione diretta del pubblico e si inseriscono nel contesto contemporaneo in modi sempre più innovativi e coinvolgenti. L’evoluzione storica del teatro documentario è stata caratterizzata da una costante ricerca di nuove forme espressive e di nuove modalità di coinvolgimento del pubblico. Da Piscator all’attualità, questa forma d’arte ha dimostrato la sua capacità di adattarsi e rinnovarsi, rimanendo sempre fedele alla sua missione di dare voce alle esperienze e alle testimonianze del contemporaneo.

Nel contesto dello spettacolo teatrale, i sogni diventano una fonte preziosa di ispirazione e materia prima per la creazione artistica. Gli attori, attraverso l’interpretazione dei sogni raccolti, offrono al pubblico una visione intima e personale di mondi interiori, trasformando le esperienze oniriche in narrazioni vivide e coinvolgenti. Attraverso l’uso di elementi scenici, come luci, suoni e movimenti coreografici, gli attori riescono a trasmettere l’atmosfera surreale e suggestiva dei sogni, invitando il pubblico a esplorare il proprio inconscio e ad interrogarsi sul significato profondo delle proprie visioni notturne. Qui, dal sogno professionale del giovane ragazzo la cui vita è stata attraversata dalla malattia, fino ai sogni del ragazzo Asperger e all’ipotetico dialogo per un’assunzione lavorativa, e poi alla vita segnata dall’esperienza traumatica del sisma di un giovane dalla doppia vita, fino alla signora che aiuta in una comunità i malati di Alzheimer, oltre la semplice rappresentazione artistica, come testimoniato anche dall’incontro dell’8 marzo, La Banca dei Sogni si pone come uno strumento di ricerca che consente di esplorare tematiche legate alla memoria, all’identità e alla percezione della realtà.

Nello spettacolo, attraverso l’analisi dei sogni, che a volta sono sogni lucidi sulle proprie speranze concrete di vita, e la loro trasformazione in materiale teatrale, il progetto offre uno spazio di riflessione e di confronto sulle dimensioni nascoste dell’essere umano. Si è generato così anche a Padova un dialogo aperto e profondo sulla natura dell’inconscio e sulle sue manifestazioni artistiche, e ovviamente molti esiti, pur venuti fuori nel dialogo con persone che hanno attraversato esperienze traumatiche/post traumatiche, non sono state poi portate in scena proprio per proteggerle e lasciarle in quello spazio di trasformazione affidato all’arte ma non reso pubblico con l’esito spettacolare. È bene chiarire che non si tratta di un’istallazione interattiva ma di un vero e proprio spettacolo, c’é una trama legata all’evolvere delle età della vita, attraversate da “personaggi” che sono sia gli “spettattori” (in questo caso partecipanti al progetto di indagine onirica) sia gli attori in scena, mentre la regia lavora oltre che alla resa cinematografica (invero particolarmente accurata e di qualità fotografica molto alta) anche al montaggio dei materiali esterni e alla presenza scenica dei due performer con drammaturgia site specific.

La Banca dei Sogni rappresenta un esempio di come il teatro documentario possa essere utilizzato per esplorare tematiche complesse, offrendo al pubblico un’esperienza artistica e sociale stimolante. Attraverso la fusione tra realtà e sogno, su cui la drammaturgia si apre e si chiude, collegandosi ad un’esperienza di messa in scena goldoniana e di una sua possibile adesione al reale, il progetto invita gli spettatori a immergersi in mondi interiori e a scoprire nuove dimensioni dell’esistenza, in un cortocircuito fra tempi, spazi e racconti, che si esalta nei tratti documentari, dimostrando così il potere illuminante dell’arte teatrale.

LA BANCA DEI SOGNI

Un progetto di Domesticalchimia
ideazione di Francesca Merli, Laura Serena
drammaturgia Matteo Luoni
regia Francesca Merli
con Laura Serena, Marco Trotta
in video Andrea Bortolami, Luisa Pasti, Enrico Balestra, Andrea Benetton, Guido Sciarroni, Khalil, Giusy Molena
indagine a cura di Matteo Luoni, Francesca Merli, Laura Serena, Marco Trotta
musiche Federica Furlani
disegno luci Francesca Merli
assistente alla regia e cura dei costumi Enrico Frisoni
riprese video, montaggio Stefano Colonna
foto di scena Serena Pea
produzione TSV – Teatro Nazionale
si ringraziano Casa Priscilla, Liceo Nievo, Stranger Teens Oncologico, Talents Lab Lego, Cucine Economiche Popolari, Associazione IASI pronto anziano, Associazione Alzheimer di Piove di Sacco, Università degli Studi di Padova – Dipartimento di Psicologia Generale , PADOV-HA!