CHIARA AMATO* | In occasione dell’ultimo spettacolo di Emma Dante, in prima assoluta in a Milano fino al 28 marzo, il Teatro Studio – Melato cambia la propria struttura, con una gradinata frontale allo spazio scenico, che avvicina gli attori al pubblico, disposto solitamente su una platea emiciclica.
Lo spettacolo Re Chicchinella è tratto da una fiaba de Lo cunto de li cunti ovvero lo trattenemiento de peccerelle, nota raccolta di novelle in lingua napoletana, che Giambattista Basile pubblicò nel 1634 e dedicò ai membri dell’Accademia Napoletana degli Oziosi (da otium latino inteso come svago).
L’opera di Basile, nota anche con il titolo di Pentamerone (cinque giornate), è una raccolta di cinquanta fiabe, raccontate in cinque giornate da dieci narratrici: i racconti sono collocati in una cornice che segue lo schema del Decameron di Boccaccio anche se diversi sono il linguaggio e i temi trattati. Infatti l’autore seicentesco aveva arricchito le fiabe popolari utilizzando il dialetto napoletano nelle sue espressioni gergali, colorite fino al turpiloquio, perchè riprendessero i toni della nuova commedia dell’arte. La partitura metrica è decisamente barocca e riesce a sollevare dal basso la morale che ognuno di questi racconti vuole lasciare al lettore, ricordando i drammi shakespeariani (come ebbe a scrivere Benedetto Croce).
La regista torna quindi a indagare questo autore dopo i precedenti due lavori, La Scortecata e Pupo di zucchero, chiudendo così questa trilogia fiabesca. Spiega Dante che ‘Re Chicchinella racconta la storia di un sovrano malato (…) circondato da una famiglia anaffettiva e glaciale che ha un solo interesse, ricevere un uovo d’oro al giorno. L’animale vive e si nutre dentro di lui, divorando lentamente le sue viscere’.
Il fine è sempre quello di svelare lati dell’animo umano attraverso il grottesco, il paradossale, la comicità e la tragicità dell’esistenza e delle relazioni, in questo caso familiari e di corte. Lati bui e miseri delle dinamiche di potere commentando le quali il Re malato risponde ‘a che servono li denari?!’ se questa è la vita che lo aspetta?
L’opera si apre con una scena interamente nera, elaborata dalla stessa regista che insieme a Sabrina Vicari si è occupata anche dei costumi, e un’immagine molto suggestiva: gli attori (Annamaria Palomba, Angelica Bifano, Stephanie Taillandier, Viola Carinci, Davide Celona, Roberto Galbo, Enrico Lodovisi, Yannick Lomboto, Samuel Salamone, Marta Zollet, Samuel Salamone, Viola Carinci, Marta Zollet) vestiti a lutto indossano maschere di gallina e borbottano versi, sgranando fra le mani un rosario; ai loro piedi un ammasso nero di tulle, piume e balze si comincia a muovere.
Da questo fuoriesce a torso nudo il Re (Carmine Maringola) che comincia a relazionarsi con i suoi due paggi (Davide Mazzella e Simone Mazzella). Viene spiegato che tutta la tragicomica vicenda è iniziata quando una volta, defecando, e non avendo mezzi con i quali pulirsi, aveva utilizzato una gallina che credeva morta, ma che invece si era introdotta nel suo deretano. L’animale si nutre di quello che lui ingerisce e per questo il protagonista inizia a digiunare, sperando che la gallina muoia e che la sua corte non sia più interessata solo all’aureo tornaconto: siamo infatti di fronte a una parabola che fonde la leggenda di Re Mida e la favola di Esopo sulla gallina dalle uova d’oro.
Segue l’arrivo delle damigelle, che indossano reggiseni decorati di gemme, parapalle e scarpette che richiamano la danza classica. Queste formano un vero corpo di ballo e infatti il loro unico linguaggio in scena è eminentemente corporeo (raramente brevi frasi in lingua francese). L’effetto generato è comico grazie al loro muoversi all’unisono, come galline impazzite in un pollaio, e nel ripetere le stesse frasi a turno: si sputano cibo addosso reciprocamente, mangiano con ingordigia, si sporcano e danzano da una parte all’altra della scena.
La storia narrata riguarda il Re Carlo III d’Angiò e in scena, tra i suoi familiari reali, appaiono la figlia e la moglie, dalle quali non si sente né amato né capito ma solo sfruttato.
La prima indossa un abito bianco piumato e un fiocco rosso fra i capelli mentre la seconda un abito lungo nero dalle maniche bianche: i colori potrebbero simboleggiare il carattere molto infantile della principessa, che infatti parla anche come una bambina, e l’austerità e la rigidità della regina che non è innamorata del suo sposo, anzi tutt’altro.
I due coniugi reali si denigrano e battibeccano in scena con toni volgari, masticano il dialetto napoletano con grande abilità e si affrontano fisicamente molto da vicino, in cerca dello scontro. La disperazione del Re giunge al culmine, mentre tutti banchettano allegramente sotto i suoi occhi, e prega il medico di tirargli via il pennuto animale dal culo.
Le infermiere, vestite in culotte, parapalle e top bianco, insieme al medico in total-black rimandano alla famosa scena di Arancia Meccanica di Kubrick, dove il protagonista viene tenuto immobilizzato contro la sua volontà per poi arrivare alla ‘guarigione’: la musica è sacrale, ma in questo caso non arriva il lieto fine e il re crolla morto a terra, dopo una convulsa danza macabra.
A conclusione tutti gli interpreti in lutto circondano il corpo che giace a terra, disponendo inginocchiatoi da chiesa lo avvolgono in un’ipocrita preghiera e spunta il pennuto (Odette Lodivisi), questo sì ben voluto e caro a tutta la corte. Sulle note di Passacaglia di Battiato, si chiude l’opera con il plauso del pubblico, che durante lo spettacolo ride, non di rado davvero a crepapelle.
Il lavoro diretto da Dante ha vari punti di forza nell’equilibrio ben calibrato fra la violenza della lingua e la leggerezza delle battute, tra la bellezza dei costumi e del movimento scenico degli interpreti. Proprio quest’ultimo riflette un lavoro intenso che la compagnia deve aver chiaramente sostenuto durante le prove: il corpo e la fisicità, nonostante la danza sia marginale rispetto al recitato, sono gli elementi cardine dello spettacolo e si ricollegano a una particolare sensibilità della regista che ha sempre guardato al codice coreografico a complemento della presenza scenica.
Gli attori si muovono spesso in maniera corale, sembrano guitti della Commedia dell’Arte, c’è nudità come a voler amplificare questa centralità del corpo. Si è immersi in uno tempo arcaico e in uno spazio tra la favola e la realtà perché le dinamiche relazionali sono fin troppo reali e offerte al pubblico con carica forte e senza convenevoli.
Gli abiti meritano una menzione particolare per due ordini di ragioni: sono belli ed eccessivi, ricordano lo stile di Dolce&Gabbana e delineano i personaggi. Sono parte integrante dei caratteri e anticipano la natura degli animi dei protagonisti di questa favola sui generis, tutta in piena coerenza con la cifra di Basile, al cui stile si resta coerenti, pur nella rilettura del tempo presente.
Il risultato è che l’impronta della regia di Emma Dante accresce le parole dell’autore napoletano, dandogli contemporaneità, pur rimanendo in uno spazio/tempo lontano e irreale.
RE CHICCHINELLA
Prima assoluta
libero adattamento da Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile
scritto e diretto da Emma Dante
elementi scenici e costumi di Emma Dante
luci Cristian Zucaro
assistente ai costumi Sabrina Vicari
con Carmine Maringola (Re), Annamaria Palomba (Regina), Angelica Bifano (Principessa), Davide Mazzella, Simone Mazzella (Paggi), Stephanie Taillandier (Dama d’onore), Viola Carinci, Davide Celona, Roberto Galbo, Enrico Lodovisi, Yannick Lomboto, Samuel Salamone, Marta Zollet (Dame di corte), Samuel Salamone (Dottore), Viola Carinci, Marta Zollet (Infermiere), Odette Lodovisi (Gallina)
coproduzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Atto Unico/Compagnia Sud Costa Occidentale, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale, Carnezzeria, Célestins Théâtre de Lyon, Châteauvallon-Liberté Scène Nationale, Cité du Théâtre – Domaine d’O – Montpellier / Printemps des Comédiens
coordinamento e distribuzione Aldo Miguel Grompone, Roma
coordinamento di produzione Atto Unico/Compagnia Sud Costa Occidentale Daniela Gusmano
Teatro Studio Melato, Milano | 9 marzo 2024
* PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture, anche in collaborazione con docenti e università italiane, per permettere il completamento e la tutorship formativa di nuovi sguardi critici per la scena contemporanea e i linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac ne accoglie sul sito gli articoli, seguendone nel tempo la pratica della scrittura critica.