CRISTINA SQUARTECCHIA | Al sesto appuntamento di Vertigine, la stagione di danza a cura di Valentina Marini, un fil rouge di voci, corpi e movimento ha tenuto insieme in modo armonico il trittico presentato lo scorso 3 Marzo. Due estratti degli ultimi lavori di Roberto Zappalà – realizzati con la sua Compagnia Zappalà danza – hanno aperto e chiuso questa sesta giornata, alternati da una anteprima di Mauro Astolfi al teatro Biblioteca del Quarticciolo di Roma.
Il cinguettare di uccellini delle prime ore dell’alba risveglia il creato nell’annunciare l’arrivo di un nuovo giorno. È l’inizio di Ri-fare Bach, la poetica creazione che Roberto Zappalà ha dedicato a Johann Sebastian Bach nel 2021. Un lavoro profondamente poetico sulle sofisticate e purissime sonorità del grande compositore tedesco, il cui portato estetico e culturale non esaurisce fascino e influenza, neanche oggi in tempi di intelligenza artificiale, anzi, ne moltiplica interessi e ispirazioni. Di Bach il coreografo catanese coglie la dimensione del dolore, l’estetismo sonoro, quelle impalcature armoniche che stratificano polifonie, le stesse che si ritrovano nella sua costruzione drammaturgica del gesto e del movimento. «Non credo che Bach fosse consapevole del potenziale della sua musica per la danza» – ha più volte affermato il coreografo Zappalà. Ed è vero, Bach non finisce mai. Tutta la sua musica serve e sostiene la danza in modo inequivocabilmente assoluto, inutile elencare la devozione della coreografia novecentesca e attuale alla sua infinita poetica. In questo estratto di Ri-fare Bach, ri-battezzato 2×2, si percepisce la stessa estetica che innerva la pièce integrale, godendo, malgrado la riduzione, di una propria autosufficienza espressiva.
Un chiarore ovattato di luci accoglie l’ingresso della danzatrice Anna Forzutti, che lentamente si posiziona in un punto decentrato dello spazio scenico mentre viene seguita dalla seconda Silvia Rossi. In un primo dialogo di contrasto dei corpi, si compone un duo articolato di tensioni, dinamiche che rilasciano nello spazio scenico fisicità primordiali, miste a sequenze di lirismo e fragilità che caratterizzano la condizione effimera dell’umano. Il sentimento di dolore e al contempo di forza e resistenza puntella la danza tra momenti di unisono, incastri di contact, che piacevolmente confortano lo sguardo dello spettatore per fare posto poi a rotture, cambi di direzioni e sospensioni. La musica di Bach, in versione pianistica, sostiene una danza che si polarizza tra una tensione animale dei corpi ed una più eterea e tragica. In mezzo l’umano e i suoi timori. Resistenze ed effimere debolezze che svaniscono all’abbassamento delle luci, nel preciso istante in cui la materia dei corpi scompare.
Di altra atmosfera la nuova creazione di Mauro Astolfi che, proprio sabato scorso, ha debuttato a Vicenza. Solo andata è un lavoro per tre danzatori, due donne e un uomo che compongono un trio attorno ad un tavolo e delle sedie. C’è in questa pièce un sapore antico che rimanda ai luoghi della partenza: una stazione, un porto, un aeroporto da dove ognuno di loro si appresta a dirigersi verso mete ignote. Mauro Astolfi, in questa pièce di 25 minuti circa, dilata il tempo che precede la partenza, quel momento preparatorio all’andare che è il tempo del saluto, del congedo. Un tempo riempito di sospensioni ed esitazioni, di un voler andare ancora incerto. Una danzatrice, Maria Cossu, con calzini rossi e un abito a fiori, entra nello spazio scenico e avanza nel palco prendendosi delle brevi pause. Si guarda intorno con una postura che dà vita a movimenti nervosi e scatti improvvisi, tipici dello stile Astolfi. La scena cambia all’ingresso del secondo danzatore, Alessandro Piergentili, in abito bianco, che si siede al tavolo e osserva la danzatrice, mentre una voce radiofonica in lingua inglese accoglie l’azione scenica. Ci si guarda, ci si lascia e ci si prende, ci si infila tra i piedi del tavolo e delle sedie, mentre la danza resta trattenuta nei corpi dei due danzatori: quasi un ostacolo di comunicazione tra i due ne impedisce il suo naturale fluire. Una condizione che si mitiga all’ingresso della terza danzatrice, Giuliana Mele, il cui movimento rompe una tensione a due generando nell’insieme un concatenarsi di pose tra i corpi. Il trio si intreccia tra agganci fluidi, l’uno conseguenza dell’altro, riproducendo ogni volta una sorta di microstorie replicabili all’infinito, una dopo l’altra, come piccole finestre che si schiudono sul mondo. Si prova in qualche modo ad uscire da questa triangolazione a circuito chiuso, spostando sedie e tavoli in punti diversi della scena, ma tutto resta immutato, e forse, quel desiderio di andare implode.
Cultus è il terzo e ultimo lavoro presentato in programma, e, anche l’ultimo progetto coreografico di Roberto Zappalà prima della Trilogia dell’estasi che comprende Après midi d’un faune, Bolèro e Le Sacre du printemps in prima assoluta i prossimi 30 e 31 maggio al teatro del Maggio Musicale Fiorentino. Cultus ha visto la luce lo scorso luglio nel Parco archeologico del Scolacium (CZ) per poi debuttare al teatro Verdi di Gorizia per il Visavì Festival. Dei suoi 65 minuti, ne abbiamo applaudito qui a Roma una parte ridotta che ha comunque trasmesso i temi di amore, cura e bellezza. La creazione appartiene all’ampio progetto di ricerca che accompagna il percorso artistico di Roberto Zappalà, Transiti Humanitatis ed è un viaggio coreografico, come lui lo definisce, dentro una miriade di sensazioni emotive che portano lo spettatore ad una sospensione temporale. C’è in questo lavoro una selezione accurata di testi, brani e musiche di David Lang, per la precisone il suo The little match girl passion, di memoria bachiana nella monumentale Passione secondo Matteo, e il monologo di Charlie Chaplin nel film Il grande dittatore, che nutrono il concept coreografico verso una spiritualità raggiungibile solo dopo la catarsi, quel processo di liberazione dal dolore che purifica. Un ideale che il corpo può perseguire se rispettato, quasi venerato, curato nelle sue manifestazioni, che ogni danzatore ci svela indicandone una parte: spalla, piede, braccio, mentre pose scomposte, distorsioni al limite dell’armonico si inanellano l’un l’altra. Ma la danza per Zappalà trova nella sua drammaturgia soluzioni che aprono frammenti fluidi, gesti intimi, movimenti ritmati, lentezza e attimi di unisono tra i quattro danzatori, che indossano tutine trasparenti in cotone. Fucsia per Anna Forzutti, blu indaco per Silvia Rossi, mentre Giuseppe Zarconi in glicine e verdino Filippo Domini. Un inno tra i corpi e nei corpi che anela all’eternità, al desiderio di superare quella condizione caduca dell’umano dichiarato coralmente dai danzatori nell’ultimo minuto della pièce: eternity forever.
2X2
coreografia Roberto Zappalà
musica Johann Sebastian Bach
danza e collaborazione Anna Forzutti, Silvia Rossi
costumi e luci Roberto Zappalà
SOLO ANDATA
coreografia Mauro Astolfi
interpreti Maria Cossu, Giuliana Mele, Alessandro Piergentili
luci Marco Policastro
musiche autori vari
produzione Spellbound Contemporary Ballet
coproduzione Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza
CULTUS
coreografia Roberto Zappalà
musica William Shakespeare, David Lang
danza e collaborazione Filippo Domini, Anna Forzutti, Silvia Rossi, Erik Zarcone
costumi e luci Roberto Zappalà
Foto di scena Giuseppe Follacchio