SARA PERNIOLA | Scandisk è uno spettacolo che l’attore e regista Jacopo Squizzato ha messo in scena basandosi sul primo testo della trilogia teatrale Wordstar(s) di Vitaliano Trevisan, composta tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio del nuovo millennio. La pièce è prodotta da Emilia Romagna Teatro ERT/Teatro Nazionale (è andato in scena al Teatro delle Moline di Bologna nell’ambito del Focus Lavoro – una programmazione creata da ERT con spettacoli e attività culturali dedicati all’argomento) e racconta del connubio tra il tema del lavoro e la memoria individuale, trattando quest’ultima come fosse una materia informatica da organizzare: in informatica, infatti, ScanDisk è un programma che controlla e ripara file system e cluster danneggiati nell’hard disk, e nella rappresentazione, decifrando la drammaturgia, è come se il regista analizzasse il rapporto tra Trevisan e il suo computer, il quale è presente in scena grazie al suono dei tasti battuti sulla tastiera.
I protagonisti sono tre operai di un magazzino di prodotti metallici in Veneto: mentre spostano e riordinano – a mano o con un carrello – pile di bancali in legno, fumano, bevono caffè e inveiscono contro il sistema, escogitano un piano che potrebbe finalmente dare una svolta alle loro insoddisfacenti vite. Sognano, infatti, paesi caldi e belle donne, una ricchezza semplice da acquisire e una felicità concreta, palpabile, un posto dove fare quello che si vuole, lontani dalla fabbrica che produce anche sudore, fatica e annullamento. Xino, Pelle e Massi – rispettivamente interpretati dai bravissimi Mauro Bernardi, Beppe Casales e dallo stesso Squizzato – si incontrano in cortile esterno alla fabbrica, durante le pause dai loro turni; qui riescono a creare un microcosmo tutto personale in cui riformulare la centralità della dimensione produttiva del lavoro ed esorcizzare il disagio e il malessere per l’eccessivo investimento sulle loro abilità adattive verso contesti di incertezza e fortemente stressanti.
Un luogo dove dare libero sfogo ai desideri inerenti la realizzazione personale, all’attenzione per i problemi della vita privata, all’emancipazione individuale, liberandosi da schemi comportamentali predefiniti. Così, se Xino e Pelle, licenziosi e spavaldi, fantasticano su sensuali donne latine, Massi viene preso in giro per la sua monogamia e per i suoi toni più moderati e dimessi, mentre aspettano gli uccelli migratori di cui si trovano a parlare: oltre la recinzione della loro fabbrica c’è, infatti, ironicamente, una riserva del WWF. Un ambiente protetto che si staglia al centro di una terra fredda, amata e odiata, di fronte a una fabbrica che rivela una realtà dura, dove l’operaio si ritrova a fare i conti con condizionamenti sociali – competitività, prestigio della mansione, regole, adattabilità al cambiamento – che ribaltano e svuotano il concetto stesso di libertà.
Una durezza che troviamo anche nella lingua veneta e nella sua sfumatura vicentina, nell’uso magistrale della voce come forma di potere, cercando di farsi sentire, come sinonimo di esistenza politica e di rappresentazione: intonazioni vocali rocciose tanto quanto la terra da cui provengono i personaggi, chiusi qui invece in una scenografia ristretta.
La scena è allestita in modo da simulare un cortile riempito da pochi elementi: le pile di bancali in legno, il carrello e alcuni cartoni, la porta antipanico e i grembiuli rossi che gli attori si tolgono e rimettono ogni volta che è il momento di tornare a lavorare. È qui che i protagonisti pianificano la rapina alla povera segretaria della fabbrica nella quale erano impiegati prima, che, in un giorno e orario precisi, preleverà dalla banca i soldi con cui pagare in nero gli straordinari degli operai. Le opinioni divergono e la tensione ora aumenta e ora si placa, questa oscillazione viene sottolineata dall’enorme e inquietante struttura cubica che emana luce sopra le teste degli attori e dalla musica e sound design di Andrea Gianessi, il quale inserisce brani pop e suoni forti – come la sirena di inizio turno – che si intrecciano opportunamente con la rabbia realistica che promana dagli atteggiamenti, dalle parole, dai concetti e dalle voci dei protagonisti.
Xino è il più furente, quello che si muove nello spazio con lunghe falcate e che fa più rumore sbattendo i pallet, che dice parolacce mentre si lamenta della lista delle norme e dei divieti (come non poter fumare o indossare obbligatoriamente il grembiule rosso): atteggiamenti grazie ai quali il pubblico viene messo di fronte alla scrittura di Trevisan che permette di guardare oltre il paesaggio paludoso e le zone industriali venete di quegli anni, per scoprire, oltre la nebbia, la vera essenza dei desideri.
Scandisk, dunque, si rivela essere un prezioso omaggio a Vitaliano Trevisan, autore di romanzi, racconti, drammaturgie e sceneggiature dalla natura perlopiù sociologica, e alla sua scrittura tagliente, direzionata a raccontare la realtà del Nord-Est e del suo proletariato.
Uno spettacolo curato nei dettagli, con interpretazioni tanto coinvolgenti, plastiche e sarcastiche, che lasciano pensare, mentre si ride di gusto per le battute e si riflette amaramente per i contenuti che celano.
Vengono in mente il capolavoro del 1936 di Charlie Chaplin Tempi moderni dove viene offerta l’immagine dell’operaio all’interno della catena di montaggio, come drammatica espressione di un lavoro ripetitivo, alienante e ridotto alla sua materialità più esasperante; a tutti gli operai infortunati o deceduti, le morti bianche, una strage silenziosa che continua a propagarsi; il produci-consuma-crepa delle fabbriche che chiudono (in media oltre 5.000 l’anno in Italia) e resta quasi come utopistico rimando quel richiamo della Natura, l’oasi naturale di fronte alla fabbrica in cui si svolge l’azione, popolata da animali liberi e invidiati, un luogo distante pochi metri ma totalmente estraneo a queste dinamiche in cui il senso del tempo è strettamente connesso con i cicli naturali e vi è un rapporto di armonia tra i bisogni – personali e sociali – e il mondo esterno.
SCANDISK
scene costruite nel Laboratorio di Scenotecnica di ERT
responsabile del Laboratorio e capo costruttore Gioacchino Gramolini
costruttori Veronica Sbrancia, Davide Lago, Leandro Spadola, Tiziano Barone
scenografe decoratrici Ludovica Sitti con Benedetta Monetti, Sarah Menichini, Martina Perrone, Bianca Passanti
direzione di scena Alfonso Pintabuono
macchinista Aura Chiaravalle
capo elettricista Camilla Mazza
fonico Andrea Gianessi
sarte Elena Dal Pozzo / Anna Vecchi
produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale un ringraziamento a Enrico Mitrovich e Livio Pacella
foto di Giulia Agostini