MATTEO BRIGHENTI | Giocare con la guerra per raccontarne la tragica stupidità. La Batracomiomachia – La battaglia delle rane e dei topi è una parodia dell’Iliade, il primo esempio in assoluto, per quel che ne sappiamo. Andrea Macaluso ha preso questo storico testo, che gli antichi amavano così tanto da attribuirlo erroneamente allo stesso Omero, e l’ha trasformato in un potente videogioco “monologato”. «Anche nei videogame si gioca alla guerra, ci si diverte – spiega – a massacrare altri individui, a volte a far fuori eserciti o popolazioni intere. Nello specifico, ci siamo orientati – continua – sulle sonorità dei videogame 8bit, “l’antichità classica” dei videogame, tornati però oggi in gran voga, tanto che a essi si ispirano molti degli odierni videogame indie».
Dunque un linguaggio estremamente contemporaneo in pieno contrasto con l’arcaicità della parola di Giacomo Leopardi appena diciassettenne: è sua infatti la scintillante traduzione in endecasillabi usata in scena. «Il corto circuito che si crea – interviene Macaluso – mi sembra estremamente interessante e calzante. Amo considerarlo uno spettacolo “pop”, nel senso alto – precisa – di una proposta che affronta una materia tanto affascinante quanto complessa, cercando però di arrivare a tutte e a tutti, sia agli adulti che ai ragazzi (a partire da un’età di almeno dodici anni)».
Comincia da qui e dalla bella accoglienza da parte del pubblico giovane e giovanissimo a Firenze in occasione di Materia Prima – il Festival di teatro contemporaneo ideato e curato da Murmuris – la mia intervista sulle ragioni, i motivi e la contemporaneità della Batracomiomachia con l’attore, regista e drammaturgo fiorentino, che fra il 2008 e il 2016 ha collaborato con Gabriele Lavia per sette spettacoli, per poi fondare quello spazio di libertà e di ricerca culturale che è Il Lavoratorio.

Foto di Gabriele Fossi / Materia Prima Festival 2024

Andrea, quando ho visto lo spettacolo la sala del Teatro Cantiere Florida era piena di ragazze e ragazzi delle scuole secondarie di primo e secondo grado. Qual è, secondo te, l’origine della loro attenzione e partecipazione alla tua Batracomiomachia? Come riesce a parlare all’oggi?

Credo che sia molto semplice. Lo spettacolo si muove in territori che ragazze e ragazzi conoscono molto bene: quello dell’epica (che hanno studiato recentemente a scuola) e quello dei videogame (in cui sono estremamente competenti). Questo fa sì che possano essere coinvolti a più livelli dallo spettacolo, leggerne tutti i riferimenti, sentirsi insomma pienamente “in gioco”.  Ecco perché dopo lo spettacolo sono perfettamente in grado di fare osservazioni estremamente precise e puntuali, di mettere in evidenza alcuni aspetti anche tecnici della costruzione della performance che a volte a un pubblico adulto potrebbero sfuggire, e di porre domande molto pertinenti sia sul senso del testo che sulle modalità con cui esso è stato portato in scena. La Batracomiomachia parla all’oggi potentemente, come solo i classici sanno fare.

Come sei entrato in contatto con questo testo?

È una passione adolescenziale, nata sui banchi del liceo classico. All’improvviso, durante le lezioni di letteratura greca, accanto ai grandi classici che si studiano approfonditamente, ci venne fatto accenno a uno strano e misterioso poemetto di attribuzione “pseudo-omerica”; il titolo era già tutto un programma. Quando poi cominciai a leggerlo, ne rimasi affascinato. E per molti anni rimase uno di quei testi a cui tornare periodicamente con interesse e curiosità, coltivando il sogno nel cassetto di poterne un giorno azzardare una versione scenica.

Quando hai capito che era venuto il momento di portarlo a teatro?

Qualche anno fa mi viene chiesto di fare un ciclo di letture dedicate ai classici greci nell’ambito di un festival archeologico che si svolge nella Valle dei templi di Agrigento. E per cinque anni, tutte le estati, ho il piacere di leggere al pubblico testi di letteratura greca antica, di vario genere: epica, filosofia, lirica, teatro. Com’è ovvio, alcuni testi “funzionano” più di altri nella lettura ad alta voce. La Batracomiomachia li vince tutti: il pubblico è conquistato, anzi direi letteralmente rapito dalla potenza ironica di quei versi. Decido, quindi, di riproporre la lettura più volte, anche in contesti diversi: in Sardegna, in Toscana, anche accompagnato musicalmente dal vivo. Da lì a pensare di farne un vero e propria versione scenica, il passo è stato breve. Nel 2021 ci viene offerta l’opportunità dal Teatrino dei Fondi di produrre lo spettacolo. Non ce lo siamo fatti dire due volte…

Foto di Gabriele Fossi / Materia Prima Festival 2024

Come sei intervenuto drammaturgicamente?

Nessun intervento. O meglio… un grande lavoro, prima di analisi e poi di memoria. Ma nessun taglio o modifica. Volevo accettare la sfida di portare sulla scena ogni singolo verso, di non tralasciare nemmeno una parola. E pur essendo versi ottocenteschi, peraltro caratterizzati dal gusto arcaizzante che Leopardi aveva, dunque particolarmente ostici e lontani da noi, trovare una possibilità di renderli contemporanei sulla scena. Mi sono solo limitato a non includere il proemio e l’invocazione alla musa, che introduce in senso letterario l’opera, perché lo spettacolo deve subito partire con gli eventi, in medias res. Però, in certo senso mi dispiace… sono versi bellissimi, in cui c’è già in nuce l’ironico contrasto tra l’enfasi epica e la ridicolaggine dei protagonisti. Ecco gli ultimi due: «Antica lite io canto, opre lontane / La Battaglia de’ topi e de le rane».

Che qualità ha, per un attore, la parola di Leopardi?

È una grande risorsa. Siamo di fronte a un genio assoluto, che a soli diciassette anni traduce splendidamente gli esametri greci dell’originale in endecasillabi italiani. Quando si ha a che fare con il testo di un grande poeta, in scena si è facilitati: il ritmo del verso, la qualità estremamente ricercata delle parole, la costante ironia, sono grandi aiuti al lavoro attoriale. Nel caso di quest’opera, è come se il testo stesso ti sostenesse e, allo stesso tempo, è come se fosse un pozzo senza fondo, una miniera di possibilità che rende ogni volta ricco di sorprese il lavoro delle prove e della performance scenica.

In scena, la Batracomiomachia non è rappresentata ma evocata attraverso le parole, o meglio, attraverso l’alterazione sonora dal vivo delle parole. Tutti i personaggi, infatti, dicono la loro con la loro propria voce. Da dove nasce l’idea del sound design? L’hai immaginato live fin da subito?

C’è stato un lungo lavoro di studio del testo per capire quale potesse essere la via giusta per portare sulla scena quest’opera. Un lavoro di mesi, in cui insieme al musicista Nicola Pedroni, abbiamo attraversato mille ipotesi, alcune solo immaginandole, altre sperimentandole. Una volta sgombrato il campo da ogni possibile tentativo di rappresentazione, siamo approdati al concetto di “evocazione”, appunto. Evocazione di luoghi, di situazioni, ma soprattutto di personaggi. Volevo che tutti i personaggi dicessero la loro, nel senso che il testo fosse tutto vissuto di volta in volta dal loro punto di vista. È stato dunque necessario trovare la voce di ciascun protagonista della vicenda, mettendo a punto una modalità di alterazione sonora live, data dal lavoro congiunto dell’attore e del sound design.

Che lavoro hai fatto quindi con il sound designer Marco Mantovani?

Una gran parte del lavoro è stata svolta individualmente; un’altra grande parte insieme. È stato svolta una lunga e complessa ricerca, poi campionatura e rielaborazione dei suoni a partire dal mondo dei videogame 8bit. Dopodiché è stata messa a punto con lunghe prove, prima in sala e poi in teatro, la modalità di distorsione live delle voci e l’equalizzazione dei suoni. È stato difficile contemperare l’udibilità e la comprensibilità di ogni parola di un testo così impegnativo con la deformazione estrema della voce: questo è un punto di equilibrio che deve essere perfettamente mantenuto in tutto lo spettacolo, dall’inizio alla fine. In questo senso, ma non solo, estremamente prezioso è stato anche il contributo della “prima spettatrice” Silvia Paoli.

Che effetto ti fa, da attore, sapere che qualcuno sta modificando la tua voce? Cosa produce sul tuo modo di dire il testo?

È allo stesso tempo molto destabilizzante ma anche in un certo qual modo rassicurante. In scena io sono da solo ma è come se fossimo in due: io affido la mia voce al microfono, ma quello che esce fuori è completamente diverso, perché frutto del lavoro del sound design. Una specie di sdoppiamento, di schizofrenia, se vogliamo, con cui, però, dopo un primo iniziale momento di smarrimento, ho imparato a giocare. E anche a divertirmi molto.

Per concludere, chi sono, per te, i topi e le rane di cui si parla? E per gli dèi, che guardano distanti e distaccati la carneficina, a chi ti sei ispirato?

Come in ogni grande testo, i personaggi sono archetipi. Incarnano, cioè, categorie eterne dell’essere umano. In questo caso i topi e le rane potrebbero essere qualcosa di molto lontano da noi, cioè i greci e i troiani dell’Iliade. Ma potrebbero essere anche qualcosa di molto vicino: due dei popoli coinvolti in una delle guerre che oggi si consumano davanti a noi. Sulla “superpotenza” straniera degli dèi, che se ne sta tranquilla a osservare ma pretende di decidere le sorti della guerra tramite l’invio di “truppe alleate” non mi pronuncio: il parallelo con la contemporaneità è fin troppo scontato.

Foto di Gabriele Fossi / Materia Prima Festival 2024

BATRACOMIOMACHIA
La battaglia delle rane e dei topi
con Andrea Macaluso
live sound design Marco Mantovani
musiche Nicola Pedroni
drammaturgia e regia Andrea Macaluso
tratto da “La Batracomiomachia” – traduzione di Giacomo Leopardi
direzione tecnica Angelo Italiano
prima spettatrice Silvia Paoli
produzione Teatrino dei Fondi
in collaborazione con Il Lavoratorio

Teatro Cantiere Florida, Firenze | 4 marzo 2024