ELENA SCOLARI | Della città non si vede niente. La città di cui parla Martin Crimp in The city (testo del 2008) è soprattutto una città della mente, di cui si scopriranno la geografia e gli abitanti solo alla fine dello spettacolo. Effettivamente la coppia protagonista vive in un appartamento di città ma il punto del drammaturgo britannico è tutto nella dinamica interpersonale tra Clair (Lucrezia Guidone) e Christopher (Christian la Rosa). E nelle conseguenze delle loro insoddisfazioni esistenziali.
La regia di Jacopo Gassman asseconda l’autore ed evita allo spettatore qualunque distrazione collocando i personaggi in una scena (di Gregorio Zurla) spoglia, fredda, anche un po’ ospedaliera. Pochissimi mobili sono gli unici arredi a ricordare che ci troviamo in una casa e non in un laboratorio di analisi. Gli attori sono “incorniciati” dentro una scatola dai profili bianchi e, dentro questa scatola, ce n’è un’altra più in profondità, e poi un’altra ancora, come in una matrioska ottica che allunga la prospettiva e la allontana.
Un ambiente pulito e senza appigli, che abbacina lo sguardo – come le luci di Gianni Staropoli – di chi osserva e fa risaltare ogni espressione, ogni movimento e parola come al microscopio. Non c’è possibilità che qualcosa sfugga: i nervosismi e le tensioni sono lì da toccare.
Le coordinate: Christopher lavora in un’azienda informatica ma ne sarà licenziato e sua moglie Clair è una traduttrice di romanzi; hanno due figli, un maschio e una femmina, la maggiore. Lui subisce il “riordino” della ditta e da subito gli si legge nella postura la frustrazione che ne deriverà. A lei invece oggi è capitato un fatto strano: uno scrittore famoso la ha avvicinata in stazione per una confusa faccenda che riguarda la sua bambina scappata con la zia e poi si è intrattenuto lungamente con Clair al bar raccontandole molto di lui e del suo passato di torture in carcere. Alla fine dell’incontro le regala il diario (nuovo) che era destinato alla figlia.
C’è del mistero, è chiaro che quest’uomo segnerà una svolta, nessuno sa ancora in quali termini ma è l’elemento assente più importante della storia. Sicuramente più importante della sconclusionata infermiera che fa visita alla coppia (Olga Rossi), rivelandosi una vicina di casa infastidita dal rumore dei loro bambini che giocano strillando in giardino. Una tipa bizzarra, dura, intollerante; anche lei fa uno strano racconto sul marito che vive in zone di guerra, forse un reporter, chissà.
La scelta fatta per le scene e la regia che compone lo spettacolo in quadri con brusche fratture possono sembrare un ostacolo alla narrazione o addirittura una scorciatoia per non affaticarsi a tessere una tela drammaturgica, invece sono una costruzione estremamente coerente con il testo e che apparirà molto chiara in chiusura, quando la prospettiva sarà completa e i piani prenderanno un ordine.
La scrittura di Crimp è frammentata, i suoi personaggi lo sono, quelli secondari non sono disegnati a tutto tondo, sono abbozzati, buttano là brandelli di discorsi che devono suonare scombiccherati. È una tecnica perfetta per tenere desta l’attenzione anche perché così la concentrazione sui dialoghi tra i veri protagonisti è massima e a loro sì che crediamo, capiamo le loro liti e percepiamo lo sfarinarsi di una relazione proprio come succede nella realtà. Serve benissimo allo scopo la traduzione precisa e netta di Alessandra Serra. Quello su cui si può obiettare sono gli argomenti intorno a cui girano le scombinatezze dell’infermiera e dello scrittore fantasma: per lei una farraginosa concione contro la guerra e per lui la prigionia, non si sa dove ne’ per quale reato. Temi serissimi inseriti soltanto per ellissi, ma forse anche questo stratagemma drammaturgico serve a dirci con quanta dovizia possiamo osservare sotto un vetrino il matrimonio in decomposizione di Clair e Chris, ignorando ciò che sta fuori dalla cornice, molto più grande di questo spaccato familiare.
Gassman aveva già mostrato, per esempio ne Il ragazzo dell’ultimo banco di Juan Mayorga, la sua propensione al far ragionare i personaggi, al far accadere la comprensione delle cose mentre l’intreccio si svolge. Conferma qui l’attenzione per il gesto, per l’atteggiamento, sebbene affrontando un testo ambiguo e non memorabile per abbondanza di farraginosità.
La Rosa è perfettamente impacciato fin dall’inizio, ha con sè una valigetta 24ore e indossa una cravatta che dicono subito che procederà giocando di rimessa, è proprio così che si presenta uno che chiede alla moglie se può baciarla: quando i termini sono chiari sono cose che si fanno, non si chiedono. È lei a chiedergli di non essere così remissivo.
In questo senso la recitazione di La Rosa toglie un po’ di sorpresa, le sue carte di interpretazione sono scoperte senza rimedio fin dal primo ingresso, così come la Clair di Lucrezia Guidone si impone immediatamente: la sua è una presenza forte, più virile di quella del marito; lei è indipendente, scontenta ma attiva. È chiaramente molto più rapita dal suo lavoro che dal marito, infusa della carica agonistica che si scatena quando deve tradurre e ri-creare con le sue parole quello che l’autore ha immaginato nella sua lingua. Scrive, riscrive, a ogni stesura vede più chiaramente il risultato cui deve tendere. È una sfida che rende creatrice anche lei mentre entra dentro la testa di un altro. Può essere esaltante.
E per Clair lo è a tal punto che lei stessa diventerà autrice per sopravvivere, per provare a disegnare la sua città. Meglio lesinare in dettagli per chi vedrà lo spettacolo perché è proprio questa agnizione finale che permette la comprensione dell’enigma, una lettura a ritroso che mostra la vigorìa dell’invenzione, intesa anche come forza dell’atto creativo di ognuno, metaforico o meno.
La sospensione apparente che chiude The city è proprio la “luccicanza” di cui godono i migliori “artefatti” umani: la ricerca di una diversa dimensione, più ricca, in cui le proprie proiezioni non si distinguono dal vero, perché il vero è la storia che, tutti i giorni, impariamo a raccontarci.
THE CITY
di Martin Crimp
traduzione Alessandra Serra
regia Jacopo Gassman
con (in ordine alfabetico) Lucrezia Guidone, Christian La Rosa, Lea Lucioli, Olga Rossi
scene e costumi Gregorio Zurla
luci Gianni Staropoli
regista assistente Stefano Cordella
produzione LAC Lugano Arte e Cultura, Teatro Stabile del Veneto, Teatro dell’Elfo, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, TPE – Teatro Piemonte Europa
Teatro Elfo Puccini, Milano | 5 aprile 2024