ESTER FORMATO | Marlene Monteiro Freitas arriva alla Triennale di Milano col suo spettacolo Guintche, parola che in creolo portoghese ha molti significati e dunque, non indicando un concetto preciso, racchiude in sé la natura camaleontica dell’arte della performer capoverdiana che nel tempo si è avvalsa di importantissime collaborazioni, fra le quali, per inquadrarne natura e tipologia dell’esperienza artistica, citiamo Franςois Chaignaud, anch’egli ospitato dalla Triennale di recente.
Accompagnata da due musicisti percussionisti, Monteiro ricostruisce il linguaggio coreutico e porta in scena la propria identità culturale ed etnografica che si annida in una serie di suggestioni visive, olfattive e sonore che conducono lo spettatore in una dimensione immaginifica, del tutto sganciata da ogni riferimento concreto.
Prima dello spettacolo la performer si aggira fra la platea con il tipico accappatoio da boxeur – come se fosse realmente in procinto di salire sul ring – stringendo la mano ad alcuni spettatori in una sala avvolta da una nebbiolina profumata che, in seguito, fungerà da contorno alla performance.
La danza incipiente che apre lo spettacolo è una vera e propria ipnosi visiva. Il corpo fluido e sinuoso di Freitas si apre, nella prima parte, a una frenetica ripetizione dello stesso movimento pronto a far emergere tutto il sostrato culturale dell’artista: una figura dai colori esuberanti, priva di alcun riferimento identitario, un freak che si scatena in una danza roteando febbrilmente il bacino in una ossessiva e lunga ripetizione.
Il substrato carnevalesco che, mediante le influenze brasiliane ha agganciato la cultura capoverdiana, si sente forte e ciò confluisce nell’attitudine a fondere performance coreutica e trasformismo, marcando espressioni o elementi facciali che finiscono per isolarsi dal resto del corpo, come se vi fosse un effetto ottico con il quale catalizzare l’attenzione del pubblico.
L’artista, nell’arco dei cinquanta minuti di spettacolo, finisce così per destrutturare il suo corpo sino a rendere inconsistente qualsiasi filo logico o narrativo, non senza una mescolanza di movimenti che passano dalla travolgente potenza latina a un più razionale richiamo alla raffinatezza della danza classica, sino a designare – nella terza e ultima sezione dello spettacolo – una creatura bionica o robotica, polarizzandosi rispetto all’esplosione febbrile con la quale ha esordito.
Soltanto alla fine, quando la performer infrange idealmente e con forza la quarta parete o addirittura un immaginario muro di vetro, riusciamo a cogliere in tutto lo spettacolo una tensione importante che viene trascinata minuto dopo minuto, accumulata anche nella mera tensione muscolare, e pronta ad esplodere in tutta la sua carica vitale nell’ultimo istante. Quel virtuale schianto, appunto, che ci sveglia repentinamente da una sorta di ipnosi e che resta il solo punto di intersezione e di comunicazione fra noi e quel Guintche che scorre sotto i nostri occhi e che ci appare come una creatura tanto inconsistente quanto misterica, depositaria di una ritualità vitale e lontana.
Disordine, caos, ripetitività ossessiva, passaggi alogici da un linguaggio a un altro senza soluzione di continuità si amplificano grazie all’accompagnamento dei percussionisti il cui contributo si esprime forte e possente e diventa tutt’uno con la performance dell’artista.
L’ arte di Monteiro che scorre come flusso inafferrabile, totalmente ribelle a qualsiasi rigidità formale, ci riporta a qualcosa di molto simile ai riti dionisiaci in versione capoverdiana.
Così, a distanza di quindici anni dal suo concepimento, piace leggere in Guintche un emblematico lavoro di mescolanza di culture ancestrali e non, di quell’arcaica ritualità che, attraverso l’arte performativa, si rinvigorisce e si modernizza di continuo, richiamando inconsciamente codici universali.
GUINTCHE
coreografato e interpretato da Marlene Monteiro Freitas
musica Henri “Cookie” Lesguillier, SimonLacouture (percussioni), Johannes Krieger (tromba) daRotcha Scribidadi Amândio Cabral, OtomoYoshihide (estratto di assolo di chitarra), Anatol Waschke (sharpnel)
suono Tiago Cerqueira
luci YannickFouassier
spazi e costumi Marlene Monteiro Freitas
produzione P.OR.K–SoraiaGonçalves, Joana Costa Santos
distribuzione Key Performance
co-produzione ZDB-Negócio
residenze artistiche O Espaço do Tempo, Alkantara Festival
supporto Re.Al,Forum Dança, BombaSuicida
foto di scena José Carldeira
ringraziamenti Avelino Chantre, Pedro Lacerda, João Francisco Figueira, Anatol Waschked
Triennale, Milano | 11 aprile 2024