PAOLA ABENAVOLI | Vestita da sposa, con un velo che diventa mezzo per ripararsi o metafora di un’esistenza non vissuta; in balia dei ricordi, dai quali cerca di allontanarsi ingerendo vanamente pillole che dovrebbero bloccare l’enzima della memoria; sola in un antro, sospesa tra vita e morte, alla ricerca di una verità: l’Antigone di Officine Jonike Arti è al tempo stesso fedele al mito e contemporanea, fotografia del passato e dell’oggi, in preda a una follia visionaria ma anche lucidissima nell’invocazione di giustizia – quella universale, dei valori, di pace – e nel lottare strenuamente, nel ribellarsi alla sopraffazione, anche se solo con la propria voce. Ribellarsi a tutte le sopraffazioni – specialmente quelle che riguardano le donne – alle guerre, all’idea che il potere debba essere espresso attraverso la violenza, una violenza fratricida, che non risparmia nessuno.

Maria Milasi (Foto Marco Costantino)

Quella che incarna Maria Milasi è un’Antigone sempre forte, pur in un momento doloroso e di disperazione, che si fonde con il mito ma rendendolo vicinissimo. Un percorso intenso, viscerale, umano, quello che l’attrice offre al personaggio e al pubblico, tra la delicatezza dei ricordi d’infanzia, la sofferenza delle opportunità svanite, i dolori, la tragedia e la necessità di ribadire la dignità e il valore dell’amore come motore di tutto, della speranza di un altrove differente, quella terra promessa sognata insieme al fratello Polinice. E il vagare, in mezzo ai ricordi che diventano voci, come quella della nutrice Anna, o che si materializzano (interpretati con l’abilità di rendere sfaccettature e differenze, da Americo Melchionda, anche regista dello spettacolo), come l’Arpia o i fratelli Eteocle e Polinice, in un dualismo sintetizzato in un singolo personaggio.

Un percorso complesso, denso, in cui ogni emozione viene espressa, sottolineata, evocata o tratteggiata, in un continuo mutamento di vocalità e movimenti scenici, da Maria Milasi: in uno spazio scenico che riporta a quell’antro (che si modula, nella sua essenzialità, nei siti che in tournée ospitano lo spettacolo, utilizzandoli come strumenti in cui far rivivere tensioni e sogni ma restituendo sempre la stessa atmosfera), immersa nei ricordi, Antigone rivive attraverso lo sguardo, la voce e le intenzioni, precise, modulate, dell’attrice. Che fa toccare ad Antigone le corde emotive che riagganciano i fili tra le tragedie antiche e quelle della contemporaneità: Maria Milasi e Americo Melchionda si fanno interpreti delle parole dirette e potenti del testo Antigone. Il sogno della farfalla, di Donatella Venuti, autrice messinese scomparsa prematuramente qualche anno fa, che si ispirò al romanzo La tomba di Antigone, di Maria Zambrano, esiliata per 45 anni sotto il regime franchista.

Maria Milasi e Americo Melchionda in una scena dello spettacolo (Foto Marco Costantino)

Un’opera densa (proposta in apertura della sezione Le Miti, che ha dato il via alla sesta edizione del festival Balenando in Burrasca), che viaggia attraverso la memoria e l’attualità, e che si inserisce appieno nel percorso della compagnia reggina, diretta dagli stessi Milasi e Melchionda: un lavoro che da anni si sviluppa proprio attraverso produzioni – dal distopico romanzo di Corrado Alvaro, L’uomo è forte, a Elektra di H. V. Hofmannsthal, a PPP. Amore e lotta, scritto da Katia Colica e diretto da Matteo Tarasco – in cui l’incontro tra storia e universalità è centrale.

 

ANTIGONE. IL SOGNO DELLA FARFALLA

di Donatella Venuti
liberamente ispirato al romanzo “La tomba di Antigone” di Maria Zambrano
regia Americo Melchionda
con Maria Milasi e Americo Melchionda
voce off di Anna Donatella Venuti
produzione Officine Jonike Arti

Balenando in Burrasca Festival
Foyer del Teatro Cilea, Reggio Calabria | 27 Aprile 2024