OLINDO RAMPIN | C’è un’ispirazione neo-umanistica, un sentore di rinnovati echi spiritualistici di derivazione esistenzialista in Death and Birth in My Life, la video-installazione realizzata dall’artista bernese ma residente a Berlino Mats Staub e presentata a Polis Teatro, il festival ravennate diretto da Davide Sacco e Agata Tomšič/ErosAntEros. Focus di quest’anno: la scena contemporanea tedesca.
Promotore di una poetica della realtà incompatibile con il teatro come rappresentazione, Staub ha allestito una raccolta di video-racconti di dialoghi autobiografici tra persone reali, realizzati in Paesi diversi, dal Sudafrica all’Irlanda, intorno all‘Alfa e all’Omega della vita umana. Nel suo percorso formativo Staub ha all’attivo anche studi religiosi, che forse hanno contribuito a nutrire l’aura spiritualeggiante che avvertiamo nel suo lavoro.
All’ingresso in sala viene proposta la scelta di uno degli otto video fruibili. L’atmosfera è intima e vi contribuisce lo “spirito del luogo”, le Artificerie Almagià, un ex opificio dove si stoccava lo zolfo che somiglia a una cattedrale antica, come spesso accade in Emilia-Romagna, dove anche i poderi rurali oggi in triste abbandono sembrano chiese. La penombra della “navata” centrale, le luci soffuse e le poltrone poste di fronte ai due schermi verticali su cui scorrono le confessioni di due interlocutori rendono la visione stranamente pacificata. Il pubblico in attesa parla a voce bassa, come si fa per rispetto nei momenti che precedono la celebrazione di un rito.
ll video che abbiamo potuto vedere metteva una di fronte all’altra due anziane signore tedesche, tutte orientate sul secondo dei due poli della traiettoria vitale. Ma più ancora che la morte, è l’impressionante sequenza di mali, di disgrazie e di sofferenze fisiche che la precedono a costituire una narrazione ossessivamente iterata. Difficile non pensare al libro di Giobbe, ma mentre l’ebreo Iob osò intentare uno scandaloso processo a Dio, i racconti di queste due “donne semplici” hanno un’aria più prossima al tono dimesso e alla forza vitale dell’ebreo Mendel Singer, «uomo semplice», lo Hiob di Joseph Roth.
Sono affini a lui nel ripercorrere con tono calmo e voce pacata le loro strazianti biografie, gli infiniti lutti a cui sono sopravvissute. La sentenza con cui concludono il racconto ha un taglio beneficamente esortativo: «la vita è bella, per quanto colma di dolore e afflizioni». Una saggezza devota che suscita la prevedibile ammirazione del pubblico e che pare confermi, almeno per il video che abbiamo potuto vedere, il significato edificante dell’operazione staubiana, quasi una enciclopedia multimediale di confortanti exempla.
Più che da una intenzione artistica, Staub sembra mosso dunque dalla volontà di documentare costruzioni positive di rapporti umani, che possono nascere dalla condivisione del dolore e della fragilità biologica della nostra specie. Siamo di fronte a una mappatura etico-sentimentale che accumula e unisce i frammenti di una dimenticata fraternità tra i viventi, di una fratellanza o sorellanza possibile, costruita sul racconto di sé e sulla riflessione intorno ai due momenti fondanti dell’esistenza. Da ciò l’impressione che la trasformazione del teatro come rappresentazione nel teatro come realtà, voglia condurre in questo caso al rinvenimento di un significato universale in sconosciute realtà biografiche, che la mano apparentemente invisibile dell’artista possa disvelare e additare come piccole parabole di un nuovo possibile umanesimo.
Dal quartiere della darsena camminiamo verso il centro storico di Ravenna e raggiungiamo il Teatro Rasi, dove Davide Sacco e Agata Tomšič, i due artisti e direttori del festival, dopo il recente debutto della loro versione di Santa Giovanna dei Macelli, continuano l’itinerario di una meritoria riscoperta di Bertolt Brecht, stavolta non con un’opera teatrale ma con uno degli scritti polemici che riguardano il rapporto tra arte e politica: Cinque difficolta nello scrivere la verità, apparso nel 1935, da cui hanno tratto lo spettacolo Sulla difficolta di dire la verità.
Giovanna Dark, la “filantropa” che troppo tardi comprende la ferocia del capitalismo e muore canonizzata come Santa Giovanna dei Macelli, “risorge” qui propugnatrice appassionata e battagliera delle “istruzioni” per scrivere bene la verità che Brecht rivolge ad artisti e intellettuali nei primi anni dell’esilio. «Eroe bastonato» dalle circostanze, così definiva Benjamin il personaggio del teatro epico brechtiano per differenziarlo dall’eroe tragico, Giovanna/Agata Tomšič in un certo senso rinasce con un abito grigio di ascetica semplicità e gli anfibi militari, tra il monacale e l’attivista. Bersaglio polemico di Brecht sono gli intellettuali che denunciano la barbarie senza spiegare la ragione che la provoca, e cioè il fatto che «i rapporti di proprietà non vengono modificati». Così, per scrivere la verità, sono necessari non solo il coraggio ma anche l’accortezza di saperla riconoscere, l’arte di renderla maneggevole, l’avvedutezza di saperla scrivere per qualcuno che possa servirsene, l’astuzia di saperla divulgare eludendo la sospettosa vigilanza dello stato.
Diversamente da quel che si potrebbe pensare a prima vista, un testo di questa natura è tutt’altro che estraneo al teatro e alla lirica brechtiane. È felice quindi la scelta di inframmezzare la lettura di questa prosa polemica con due assaggi poetici. Si pensi al fatto che la «vecchia donna» ridotta in povertà protagonista de L’acquirente decide con coraggio di tornare nei negozi anche se non ha soldi, «per far sapere come stanno le cose», cioè per dire efficacemente la verità. Similmente, le parole d’ordine di Lode dell’imparare incarnano la «pietrificazione formale» (Fortini) delle proposizioni marxiste che serviva a tradurle in contenuti pratici: «Impara l’a b c; non basta ma imparalo! (…) Tu devi prendere il potere!»
La cifra interpretativa messa a punto da Agata Tomšič si esprime in una dizione inesorabile, dalla tonalità severa e incalzante, screziata di una rabbia controllata, ritmata come un metronomo, ma che a tratti prende fuoco in acuti di una vocalità contagiosamente audace. Sono originali fughe gorgheggianti, che culminano in un trillo d’uccello, con dentro una vena esplosiva. Esse si uniscono felicemente con le sonorità elettroniche di Davide Sacco e con le fotografie di Michele Lapini che scorrono sul fondale: immagini di manifestazioni e di lotte, di cariche della polizia, spesso ribollenti, in sintonia con la musica, in un processo di disgregazione grafica, materica e cromatica, che commenta acutamente le punte espressive della pregevole ricerca vocale-interpretativa.
A tratti la performer si allontana dal microfono e in un’area della scena in penombra cambia il registro vocale e passa a un tono sussurrato, privato, in intima comunione con il pubblico. La figura sottile e nervosa, il volto esangue, mobilissimo, ora severo ora inquieto o dolce, il profilo affilato, gli occhi chiari resi iridescenti dalla luce teatrale, Agata Tomšič sembra discendere “per li rami” da genealogie attoriali dell’avanguardia primonovecentesca e mitteleuropea, famiglie teatrali di energica irrequietezza e di caparbia tenacia.
DEATH AND BIRTH IN MY LIFE
con Sharon & Hlengiwe, Ahmed & Basso, Erika & Charlotte, Avril & Eric, Giovanna & Jana, Fabrizio & Ambra, Elena & Elisabetta, Massimo & Diego
ideazione, concept e regia Mats Staub
camera Benno Seidel
scenografia Monika Schori
drammaturgia Simone von Büren, Elisabeth Schack
traduzioni, sottotitoli Simona Weber, Cinzia Schincariol, Matthias Stickel
direzione tecnica Hanno Sons, Bert Günther
manager di produzione Pearl Herbert, Barbara Simsa
produzione zwischen_produktionen; Co-production Kaserne Basel, SICK! Festival Manchester, Künstlerhaus Mousonturm Frankfurt, Festival Theaterformen Hannover, Festival der Regionen, Spielart Festival Munich, Centre culturel suisse Paris, Migros-Kulturprozent, Dublin Theatre Festival, zona_k Milan, Mittelfest2022
con il contributo di Fachausschuss Tanz und Theater BS/BL, Pro Helvetia Swiss Arts Council, Christoph Merian Stiftung, Ernst Göhner Stiftung
presentato da Aurora Nova
Artificerie Almagia, Ravenna | 11 maggio 2024
SULLA DIFFICOLTÀ DI DIRE LA VERITÀ
tratto dal saggio politico – letterario Cinque difficoltà per chi scrive la verità di Bertolt Brecht
traduzione di Bianca Zagari
ideazione e regia Davide Sacco e Agata Tomšič / ErosAntEros
testi Bertolt Brecht
adattamento teatrale Agata Tomšič
con Agata Tomšič
live electronics Davide Sacco
fotografie Michele Lapini
video Francesco Tedde
produzione ErosAntEros – POLIS Teatro Festival
copyright della Suhrkamp Verlag AG Berlin per gentile concessione dell’Agenzia Danesi Tolnay
Teatro Rasi, Ravenna | 11 maggio 2024