RENZO FRANCABANDERA | Riflettevo all’uscita dalla visione della nuova ampia creazione del coreografo Roberto Zappalà, che vedere, al termine dello spettacolo, arrivare a raccogliere gli applausi in proscenio oltre venti persone è ormai una rarità assoluta per gli spettatori italiani.
La scena nazionale è ormai per lo più monadica. La soffocante assenza di risorse e le storture del sistema di distribuzione fanno sì che per un giovane coreografo sia assolutamente impossibile immaginare di poter arrivare a coreografare un importante gruppo di danzatori: fra qualche anno questo blocco di responsabilità, questa assenza di possibilità, porterà al tavolo delle arti dal vivo un amaro conto. E così finiamo per guardare a bocca aperta, nei pochi spettacoli che di tanto in tanto atterrano in qualche festival o nei pochi grandi teatri che possono permetterseli, quelle creazioni internazionali dove la scena diventa plurale, abitata, dove il movimento diventa esperienza di una qualche massa numericamente consistente.
E anche per i coreografi che hanno fatto la storia della scena nazionale negli ultimi decenni di certo non è facile trovare occasioni e opportunità per immaginare allestimenti ambiziosi, capaci di proporsi nella categoria dei “grandi allestimenti”, per la circuitazione in un mercato europeo.
Ecco perchè, oltre ogni analisi dei segni, il progetto della Trilogia dell’Estasi ideato, su drammaturgia di Nello Calabrò, dal coreografo siciliano, che firma regia, coreografia, scene costumi – in collaborazione con Veronica Cornacchini – e luci, si segnala in qualche modo come grande co-produzione di respiro internazionale.
Ne sono copartecipi la Fondazione Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, la Compagnia Zappalà Danza, Scenario Pubblico, il Centre Chorégraphique National de Rillieux-la-Pape di Lione,  i Teatri di Reggio Emilia, MilanOltre Festival di Milano, il Teatro Massimo Bellini di Catania, con la collaborazione di Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Ravenna Manifestazioni e il Teatro del Giglio di Lucca: un parterre di primo piano, per un lavoro che ha debuttato in prima nazionale all’interno della programmazione dell’86esimo Festival del Maggio Musicale ospitato nella sala Mehta il 30 e 31 maggio scorso.

ph Franziska Strauss

Protagonista delle due serate, appunto, la Compagnia Zappalà Danza, con in scena i danzatori: Samuele Arisci, Faile Sol Bakker, Giulia Berretta, Andrea Rachele Bruno,Corinne Cilia, Filippo Domini, Laura Finocchiaro, Anna Forzutti, William Mazzei, Silvia Rossi, Damiano Scavo, Thomas Sutton, Alessandra Verona e Erik Zarcone cui si aggiungono altri figuranti. Il progetto vede Zappalà affrontare tre grandi composizioni classiche e per lui anche “sacre” che hanno segnato il percorso coreografico (e anche musicale) dello scorso secolo: Prélude à l’après-midi d’un faune di Claude Debussy, il Boléro di Maurice Ravel e Le Sacre du printemps di Igor’ Stravinskij. Si va dall’esclusione, il corteggiamento e l’erotismo nel L’après midi d’un faune; l’inclusione, il vizio, la lussuria nel Boléro e infine la persecuzione e il sacrificio nel Le Sacre du Printemps.

All’ingresso in sala lo spettatore trova il palcoscenico chiuso alla vista dal sipario e in proscenio illuminati a destra e sinistra alcuni teschietti votivi come quelli dei riti messicani, mentre al centro un tappeto che ha il vago sembiante di una cartina geografica.
Lo schiudersi del sipario per l’inizio dello spettacolo spiazza completamente le aspettative dello spettatore: invece che iniziare una delle composizioni musicali che fanno da sottofondo ai tre noti classici della danza del secolo scorso, parte invece una potente traccia techno, sulle note della quale prendono a muoversi dal fondo della scena alcuni danzatori che indossano una vistosa maschera da caprone bianca. Si muovono dentro un ambiente luminoso dalle tinte abbastanza acide e rosso violacee.

Lo spazio scenico, visivamente importante ma volutamente non decifrabile in maniera precisa per le luci tenute adeguatamente basse, vede la parete sinistra e parte del fondale coperti da un telo decorato da una sorta di murales che rimanda all’ambiente urbano, con una grande vista aerea sui grattacieli della città, aumentati da alcuni segni pop che solo nei due frammenti successivi diventeranno via via leggibili allo sguardo. Si tratta di segni che ricordano le opere di street art di Millo con piccole lucine che, quando l’ambiente luminoso diventa particolarmente buio, illuminano la estremità di alcuni grattacieli, come se la metropoli stesse per andare a fuoco; o almeno questa è una delle possibili sensazioni visive che quel segno può avere .

In ogni caso l’algido ambiente metropolitano confligge chiaramente con il segno danzato, di natura più ancestrale e rituale, composto secondo un acuto dettame pittorico che non coinvolge solo le luci e la geometria del coreografato ma anche i bellissimi costumi che, in particolar modo nel terzo episodi,o diventeranno protagonisti e riempiranno lo sguardo: sembrano ispirati tutti a episodi pittorici o cinematografici che da qualche parte possono essere richiamati alla memoria, ma senza alcun legame didascalico che permetta di attribuire uno specifico rimando, restando quindi una sensazione vaga e piacevole.

ph franziska Strauss

Sulla scena, in alto, incombe un ulteriore elemento visivamente considerevole, una rete, simile a quelle da circo che vengono tese mentre gli acrobati si portano a metri dal suolo per gli esercizi di equilibrismo sulle funi. La convessità e l’immanenza visiva di questo elemento rimarranno presenti per tutto lo spettacolo e l’elemento diventerà protagonista dell’immagine finale. Ricorda certamente qualche, seppur diversa, visione come quelle presentate ad esempio da Papaioannou con il soffitto riempito in quel caso da una sorta di nuvola all’interno della quale i fumogeni muovevano l’aria. Qui invece questo elemento immanente viene sfruttato dentro la composizione pittorica di ambientazione del paesaggio scenico per muovere ulteriormente lo sguardo dentro la scatola, questione da sempre cara al coreografo che ha molto lavorato a creare una spazialità abitata dai gesti.

In nessun suo lavoro lo spazio è mai stato elemento neutro e di recente addirittura, in tempo di pandemia con il panopticon, Zappalà aveva creato una struttura per l’azione scenica proprio fondata sul rapporto fra luogo, sguardo, soggetto osservato e soggetto osservatore. È quindi evidente quanto il tema della geografia dei segni diventi in qualche modo fondamentale per decifrare il lavoro dell’artista oltre ad alcune altre ispirazioni che in questo caso egli stesso rivela e che diventano di maggior evidenza in particolare nel secondo episodio della trilogia, il Bolero.

Se infatti il primo si risolve drammaturgicamente in un dialogo a distanza fra questo gregge di animali osservanti e uno di loro che, spogliandosi e rimanendo vestito di una vistosa tuta da fauno, si immerge in un bagno dentro la natura selvaggia, che corrisponde nella geografia scenica al tappeto in proscenio di cui si diceva, il secondo quadro ha una costruzione più geometrica, ispirata alla figura circolare ma anche cinematografica, rimandando, come confermato dallo stesso coreografo, al lavoro di Kubrick in Eyes Wide Shut.

ph Serena Nicoletti

Dopo l’ingresso, che viene quasi in processione dei danzatori, anche ora una progressiva denudazione li porta a risolvere questo elemento coreografico in gruppi più piccoli che si dispongono e si muovono in dinamiche circolari per poi arrivare a comporre coppie, dal corpo nudo ma che indossano  maschere da carnevale veneziano che nascondono il volto, chiaro rimando al ballo nel film. Segue una danza dentro spazi circolari che le luci definiscono sul pavimento del palcoscenico, creando una grande suggestione dello sguardo, mentre si stagliano a fondale, immobili, le maschere delle capre che rimangono visivamente presenti, quasi come immaginari spettatori zoomorfi che da fondo scena continuano a osservare.

Torneranno nel terzo elemento della trilogia, quello coreograficamente più libero ed energico per le forze espressive disposte in campo, dove i danzatori si liberano dal connotato omologante della tunica che aveva fatto da protagonista nei precedenti due episodi, e sviluppano invece le loro distinte individualità. Sembra qui emergere una forza selvaggia, primordiale ma moderna e libera allo stesso momento, dentro una forma di rimando alla struttura sociale contemporanea in cui tutti sono diversi, tutti sono in qualche modo alla moda, ma finiscono per diventare omologati nei gesti, facili prede di qualche pifferaio digitale capace di condurre queste anime agitate a cadere prigioniere nella rete.

ph Serena Nicoletti

Lo spettacolo – che toccherà nei prossimi mesi anche Milano, Catania, Bolzano, Pesaro, Piacenza, Reggio Emilia, Ravenna e Lucca – gioca su questo imponente dispositivo scenico e su una drammaturgia esplosiva nel gesto fisico e inquietante nel seguirsi degli eventi che pur scollegati da un puro passo narrativo, definiscono comunque l’inquietudine del tempo presente, la maschera sociale, l’energia collettiva repressa, l’erotismo solipsistico e triste che impediscono alla collettività di farsi massa politica. Questa riflessione attraversa il lavoro in modo totale e lo rende pungente pur nella leggerezza con cui lo sguardo vaga dentro la scena, con il secondo episodio che ha la cifra del gioiello dal punto di vista della perfezione formale che in esso il coreografo raggiunge. Ma tutta la creazione, così distinta e diversa sotto molti aspetti dal lavoro passato di Zappalà, ha il sapore della sfida. Come tutti i salti formali ha spazi per trovare piccoli aggiustamenti e asciugature gestuali, ma parliamo di un grande allestimento, uno dei pochi di calibro internazionale visti negli ultimi anni in Italia.

 

TRILOGIA DELL’ESTASI

regia e coreografia Roberto Zappalà
musica Claude Debussy/’L’après-midi d’un faune’ – Maurice Ravel/ ‘Boléro‘ – Igor Stravinskij/ ‘Le Sacre du Printemps’ – altre musiche AA.VV
danza e collaborazione Samuele Arisci, Faile Sol Bakker, Giulia Berretta, Andrea Rachele Bruno, Corinne Cilia, Filippo Domini, Laura Finocchiaro, Anna Forzutti, William Mazzei, Silvia Rossi, Damiano Scavo, Thomas Sutton, Alessandra Verona, Erik Zarcone
un progetto di Roberto Zappalà | drammaturgia Nello Calabrò
scene e disegno luci Roberto Zappalà
costumi Veronica Cornacchini e Roberto Zappalà
realizzazione costumi Majoca
goatmask Giada Russo Art Atelier
direzione tecnica Sammy Torrisi
una co-produzione
Scenario Pubblico|Compagnia Zappalà Danza Centro di Rilevante Interesse Nazionale, Fondazione Teatro del Maggio Musicale Fiorentino (Firenze), Centre Chorégraphique National de Rillieux-la-Pape (Lione), Fondazione I Teatri (Reggio Emilia), MilanOltre Festival (Milano), Teatro Massimo Bellini (Catania),
in collaborazione con Fondazione Teatri di Piacenza e Fondazione Ravenna Manifestazioni
con il sostegno di MiC Ministero della Cultura e Regione Siciliana Assessorato del Turismo, dello Sport e dello Spettacolo