RENZO FRANCABANDERA | Fra le figure più note della scena teatrale italiana, Elena Lamberti è certamente tra quelle che hanno segnato l’avvento della generazione Z nel secondo decennio degli anni Duemila, oltre che protagonista della nascita e dello sviluppo di numerose iniziative, festival, forme di coordinamento nel panorama nazionale. Curatrice indipendente, si è occupata della distribuzione per due delle compagnie più iconiche di quegli anni, Sotterraneo e Santasangre, curando anche in quel tempo di rinnovamento le pubbliche relazioni per Incontri teatrali, Natura Dèi Teatri e ZTL.Pro.
Tanti i tanti ruoli ricoperti anche quello di curatrice artistica, dal CRT- Triennale al Teatro Lux di Pisa, oltre che per la Fondazione Sipario Toscana, e quello di direttrice organizzativa per Voci di Fonte Festival, oltre che di project manager per Kilowatt Festival, Fondazione Sipario Toscana e OperaEstate.
La sua propensione a creare rete l’ha portata Nel 2009 a trovarsi fra le fondatrici di C.Re.S.Co, di cui è stata coordinatrice nazionale e membro del direttivo fino a dicembre 2022.
Si occupa della cura e dell’ufficio stampa di Kronoteatro e Terreni Creativi (Premio Hystrio 2022 e Premio Ubu per la curatela 2022). Insegna all’Università di Verona ed è membro della giuria del premio Radicondoli per il Teatro.
Tantissime esperienze di varia natura, che confluiscono ora in una recentissima pubblicazione La distribuzione degli spettacoli dal vivo. Un percorso di curatela per i tipi di Titivillus.
Abbiamo intervistato l’autrice per un confronto sul sistema italiano, fra esperienze, problematiche e prospettive.
Elena, quale vuoto di sistematizzazione e conoscenza riempie questo volume?
Luca Ricci, nella conversazione contenuta nel libro, afferma che la distribuzione è il grande malato del sistema dello spettacolo dal vivo italiano. Non posso che dargli ragione, e aggiungere che il professionista o la professionista che se ne occupa è una delle figure più richieste e meno reperibili del settore. Il libro, il primo interamente dedicato a questo mestiere, prova, partendo dalla mia esperienza personale, a suggerire una pratica, una metodologia lavorativa e, soprattutto, a spostare il punto di partenza: non vendere un prodotto ma accompagnare un percorso artistico con un’ottica curatoriale, basata sulla fiducia e l’ascolto reciproci fra chi si occupa della distribuzione e l’artista.
Quando ti è venuta l’idea di scriverne? Ricordi un momento preciso, o una scintilla scatenante?
Nel 2005, nell’ambito della mia collaborazione con la Fondazione Sipario Toscana, mi era stato affidato il compito di seguire il Premio Scenario. Assieme ai colleghi della commissione zonale – Stefano Cipiciani, Adriana Vignali e Rosalba Piras – selezionai “11/ 10 in apnea” di Teatro Sotterraneo, che con quel progetto ottennero la menzione Generazione Scenario. Li avevo seguiti durante le varie tappe, ero presente al debutto, avevo inserito due performances in una vetrina che avevo curato, infine avevo proposto alla direzione di affidargli una produzione per il teatro infanzia. Alla fine dell’anno, terminate sia la loro produzione sia la mia collaborazione con la Fondazione, era stato quasi naturale iniziare a lavorare insieme. Non mi ero mai occupata di distribuzione e i testi letti non trattavano in maniera esaustiva l’argomento. Andrés Neumann, conosciuto durante la sua consulenza per la Fondazione, mi fornì molti consigli utili, per il resto mi inventai una metodologia che insegno tuttora nei seminari. A gennaio 2023, al termine della mia esperienza nel direttivo di C.Re.S.Co., ho capito che era giunto il momento di iniziare a scrivere il libro.
Il libro è composto da una parte più informativa e una di dialoghi e confronti con operatori del settore.
Il progetto è mio ma non sarei mai stata in grado di portarlo avanti senza l’adesione di moltissimi amici e amiche, colleghi e colleghe che ne hanno, con grande generosità e disponibilità, sposato l’idea. Nelle conversazioni iniziali con alcuni membri delle compagnie con cui ho lavorato – Daniele Villa e Claudio Cirri di Sotterraneo e Diana Arbib di Santasangre – ripercorriamo insieme due percorsi curatoriali molto diversi. Nel secondo capitolo ho sistematizzato la mia esperienza in una metodologia composta da dieci punti, suggerimenti molto concreti articolati secondo una sequenza operativa e temporale. Gli altri 4 capitoli raccolgono numerose testimonianze di coloro che operano, o hanno operato, nel settore, come curatori di percorsi artistici, manager, organizzatori, unite a quelle di artisti, direttori artistici, responsabili di circuiti, di festival e di spazi teatrali. Ho voluto arricchire e ampliare il volume con voci che spaziano da chi offre un inquadramento del panorama nazionale come Olivero Ponte di Pino, che si è occupato della prefazione, e Luca Mazzone, a Donatella Ferrante che ha scritto un intervento sulle opportunità di circuitazione all’estero, al Bando In-Box di Straligut alla circuitazione degli spettacoli dedicati alle giovani generazioni con Francesca D’Ippolito, per citare solo alcuni di loro.
Ritieni cruciali nella tua esperienza professionale alcune esperienze originatesi un quindicennio fa, agli esordi di quella che è stata chiamata la Generazione Z, con Santasangre e Sotterraneo. Pensi che dopo l’avvento della digitalità e della comunicazione social sempre più vorticosa, i requisiti e le caratteristiche del mercato sono rimaste comparabili? In cosa sì e in cosa non più?
L’uso accorto dei social è fondamentale in una strategia comunicativa, ma la distribuzione si basa su un rapporto di fiducia fra artisti, curatori e programmatori. In questo, ovviamente, è indispensabile costruire un rapporto interpersonale che passa non tanto dai social ma da conversazioni e incontri fra operatori, critici, artisti.
Il sistema normativo ha ridotto moltissimo la circuitazione. Sembra di vedere sempre più spesso cartelloni fotocopia, con nomi spesso simili, sempre meno permeabile all’apertura e al nuovo. Cosa pensi di questo scenario?
Purtroppo il problema dell’artista che per 2 o 3 anni è presente in quasi tutte le programmazioni e poi sparisce è sempre esistito. Sarebbe auspicabile che i direttori artistici avessero tempo, modo e curiosità di vedere quanti più spettacoli possibile e il desiderio, e sicuramente il coraggio, di investire sull’innovazione, certo, ma anche su artisti meno alla moda, più maturi o defilati rispetto ai grandi poli di produzione. Uno dei problemi del settore è l’iperproduzione a cui sono chiamati a far fronte gli artisti: dopo due, massimo tre anni uno spettacolo è in genere, a parte qualche eccezione, fuori commercio. Per questo motivo Terreni Creativi, il festival organizzato da Kronoteatro con cui collaboro, ha ideato un programma in cui spettacoli di giovani artisti si alternano a spettacoli di repertorio di maestri della scena, come Il Cortile di Scimone e Sframeli che vinse il Premio Ubu nel 2004. Un piccolo segnale in controtendenza, che speriamo faccia proseliti. Nel libro ho dedicato un ampio spazio a coloro che si occupano di programmazione, da Luca Ricci per Kilowatt Festival ad Andrea Cerri per Scarti, chiedendo loro di spiegare attraverso quali criteri scelgono gli spettacoli da produrre oppure da inserire in cartellone.
Sono efficaci le politiche under 35? Potessi cambiare un paio di cose con una bacchetta magica, cosa cambieresti subito?
È un discorso molto lungo e articolato, su cui molti critici, giornalisti e operatori si sono spesi una decina di anni fa e io stessa fui chiamata a scrivere un intervento per Culture Teatrali, dedicato a La terza avanguardia, a cura di Silvia Mei, nel 2015. Diciamo che nel mio mondo ideale non sarebbe necessario riservare delle opportunità prendendo come riferimento solo i dati anagrafici ma la qualità dei progetti artistici. Sono sempre stata un’idealista.