CHIARA AMATO* | Una piattaforma sopraelevata sul pubblico accoglie una donna seduta, vestita interamente di nero e dal volto bianco latte con i capelli raccolti: austera; una didascalica ai suoi piedi, “Buona madre (tecniche e materiali misti)”, come se fosse esposta in un museo, su un altare sacro o su un banco degli imputati.
Così inizia l’opera, di Barletti/Waas, Monologo della buona madre con Lea Barletti e la partecipazione in scena di Werner Waas. Questo spettacolo è stato rappresentato, per la prima volta, in forma di lettura scenica a Milano nel 2018, e ha ricevuto la menzione speciale al Premio Caldarella per il teatro.
Il suono di un battito perpetuo e costante diventa musica, aggiungendo man mano ulteriori elementi musicali (creazione originale di Luca Canciello). Sulla base di questo ritmo costante l’attrice, che ci osserva dall’alto, inizia la sua confessione pubblica. Articola anche con il corpo ogni singola parola, creando movimento, pur restando seduta per quasi tutto lo spettacolo, perché il corpo è l’unico campo possibile di «una sanguinosa battaglia per l’amore».
La protagonista è una madre, ma la maternità è solo un pretesto per parlare di vocazione in generale e di difficoltà a trovare il proprio posto nel mondo. Fin dal principio ci ostenta tutti i suoi dubbi sul ruolo materno, sulla voglia di essere un perfetto modello per i suoi figli, sull’infinito senso di inadeguatezza che la pervade. Molte le domande e poche le risposte.
Barletti parla, seguendo un tempo cadenzato, e ogni tanto urla. Sorride, ironizza e si auto-analizza. Introduce anche Wass, presentandolo come un buon padre: lui come esempio e sprone per i figli, forse più di quanto lei consideri sé stessa. Questa silenziosa comparsa si aggira tra il pubblico offrendo biscotti e, per il resto del tempo, resta in regia muovendo “i fili” del disegno luci.
La protagonista, infatti, viene circondata da varie ombre della sua figura, su più lati, proiettate sul fondale monocromo tortora. Rappresenta la soluzione scenica più interessante e articolata: come in un gioco di specchi rotti o in una distorsione ottica da caleidoscopio, si riproduce una stessa immagine da angolazioni diverse.
L’effetto viene poi amplificato dall’uso di una voce femminile fuori campo: è lei che si racconta a noi e a sé stessa, sulle sue zone più intime, e a momenti è al limite dal provare vergogna per dei pensieri del tutto legittimi, ma spesso difficili da ammettere per una madre. Riguardano l’elenco delle difficoltà circa l’allattamento, la monopolizzazione che un neonato esercita sul corpo della madre, la differenza del ruolo paterno da quello materno, lo sminuirsi fino ad arrivare al senso di colpa dell’abbandono dei propri figli di fronte alle difficoltà ordinarie della vita.
Oltre a questo, una serie di pensieri sull’arte e sull’essere attrice, sull’aver anteposto la genitorialità per lungo tempo alla creatività, senza rimpianti, ma sempre ponendosi domande su quanto le scelte siano più dettate da stereotipi esterni. «Come vermi striscianti» le aspettative altrui e il ruolo sociale della donna si insinuano nel nostro cervello.
La bellezza del racconto è nella sua modalità, oltre che nel testo: si assiste alla creazione di un sistema di segni, un linguaggio artistico e una mimica facciale creati e studiati insieme a Wess all’insegna della costante ricerca drammaturgica.
Nel finale il ritmo torna su quel battito iniziale e qui le parole tremano e gli occhi si velano di lacrime, trasportando il monologo su un dialogo sempre più intenso con l’ascoltatore. Che si abbia vissuto o meno l’esperienza della maternità, lo spettacolo arriva forte al pubblico che si immedesima e si perde in quegli specchi, come se fosse un po’ parte di quel dissidio interiore della protagonista.
Lo spettacolo, infatti, riesce ad arrivare in quanto attraversa sentimenti universali e molto più ampi di quello che il titolo farebbe prefigurare: non è solo la madre a parlare, ma l’essere umano innamorato, fragile, incostante, caduco e ancor di più se donna, perché carico del peso di stereotipi sessisti. In questa ottica si colloca, peraltro, nella rassegna dell’Elfo Puccini, Prima le donne, che con quest’opera offre uno sguardo ancora diverso dagli altri spettacoli e sicuramente complesso, ma delicato sull’argomento.
MONOLOGO DELLA BUONA MADRE
uno spettacolo di Barletti/Waas
di e con Lea Barletti
regia di Lea Barletti e Werner Waas
musiche originali e sound design di Luca Canciello
con la partecipazione in scena di Werner Waas
produzione Barletti/Waas con il sostegno di ITZ Berlin
Teatro Elfo Puccini, Milano | 10 giugno 2024
* PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture, anche in collaborazione con docenti e università italiane, per permettere il completamento e la tutorship formativa di nuovi sguardi critici per la scena contemporanea e i linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac ne accoglie sul sito gli articoli, seguendone nel tempo la pratica della scrittura critica.