SARA PERNIOLA | Polis Teatro Festival quest’anno – nella sua settima edizione – si è orientato sul German Focus, portando in scena spettacoli di natura nazionale e internazionale: ha ospitato, infatti, nei principali luoghi di Ravenna dal 7 al 12 maggio, numerosi eventi, prime teatrali, coproduzioni e intensi momenti di confronto tra artisti, studiosi, attori e operatori. Su questo prezioso lavoro abbiamo intervistato i direttori artistici Agata Tomšič e Davide Sacco.

Com’è nato questo lavoro e come si è sviluppato nelle residenze artistiche e nella lunga lista di collaborazioni dal respiro internazionale che hanno strutturato il festival e che lo caratterizzano?

Agata: POLIS è nato nel 2018 come piccolo progetto del territorio, il primo che abbiamo fatto a Ravenna, dopo 8 anni in cui risiedevamo qui come compagnia: da questo momento abbiamo creato delle piccole co-produzioni internazionali e il progetto, fin da subito, è stato caratterizzato da spettacoli che affrontano dei temi importanti nel contenuto, ma, al contempo, portano avanti una ricerca radicale sulla forma. Dal 2022 in poi, dopo aver acquisito anche una certa stabilità grazie ai finanziamenti, abbiamo dato al Festival un taglio dal più ampio respiro internazionale, scegliendo ogni anno un’area geografica diversa su cui concentrarci, molto spesso legata a ciò che stavamo facendo come artisti e con professionisti con cui eravamo già in contatto. Quest’anno, ad esempio, c’è stato il German Focus e uno dei co-produttori dello spettacolo Santa Giovanna dei Macelli è stato il Teatro Mladinsko Gledališče di Lubiana, di cui abbiamo ospitato due produzioni lo scorso anno per il Balcan Focus. Quindi relazioni con realtà già avviate, con cui condividiamo visioni, lavori e idee.                                                                                                                          L’edizione di POLIS di quest’anno ha portato in scena progetti e spettacoli prevalentemente di lingua tedesca – penso a Brecht e alla rinnovata collaborazione con il Teatro Nazionale del Lussemburgo – e ha cercato di far conoscere al pubblico artisti e spettacoli nuovi, e provando a portare a teatro tutti e tutte, grazie, ad esempio, alle agevolazioni per gli Under30 o ai biglietti sospesi. Una doppia apertura, quindi: verso l’Europa da una parte, e verso la città dall’altra.

In che modo il disegno di Gianluca Costantini, che ci riporta a Wim Wenders e Walter Benjamin, rappresenta una metafora potente del complesso rapporto tra progresso, distruzione ed esperienza umana?

Davide: Con Gianluca Costantini lavoriamo da moltissimo tempo, ancora prima di POLIS, e dal primo anno del Festival, lui ogni anno ci regala un suo disegno che diventa l’immagine guida dell’edizione corrente e, insieme, ci ragioniamo e ci lavoriamo su in modo che possa essere rappresentativa dell’area geografica e del focus in questione. Sono di Gianluca Costantini, poi, anche il logo e la scritta.
Agata: Sì, ci piaceva molto il riferimento a Wenders perché nel suo film Il cielo sopra Berlino c’è un’immagine molto bella in cui l’Angelo guarda il cielo come l’unica cosa che riunisce due Germanie diverse, due popoli che parlano la stessa lingua, ma che vivono in società profondamente differenti. Quindi, in un certo senso, ci piaceva rievocare questo cielo che potesse unire artisti che parlano la stessa lingua, ma che provengono da Paesi diversi. Poi c’è da dire che il caso ha voluto che gli artisti ospitati risiedessero tutti/e a Berlino, quindi è stata una felice coincidenza, doppiamente intensa!
Per quanto riguarda l’Angelo della Storia di Benjamin, invece, bisogna dire che un testo filosofico di lingua tedesca così significativo influenza moltissimo il nostro modo di essere artisti a livello concettuale: risuona sempre, quindi, questo atteggiamento di voltarsi indietro, pur spinti dall’andare avanti, dal progresso, dall’evoluzione, ma sempre con la consapevolezza che guardare verso le macerie è un modo di leggere in maniera diversa il nostro presente e agire anche in modo tale che il futuro possa essere modificato.
L’immagine di Gianluca metteva, dunque, insieme tutto questo, e il disegno finale è stato il risultato del lavoro del grafico Marco Casartelli, che ha inserito sullo sfondo diversi angeli di Paul Klee da lui rielaborati e trasformati in tracce. C’è stata, quindi, proprio una comunione di sensibilità e di intenti estetico-politici.

Da queste vostre risposte si evince una parte del messaggio e della speranza di questa edizione di POLIS, che, da sempre, si direziona verso la sensibilizzazione di concetti intensi, stratificati, necessari in questi tempi duri. Cosa POLIS ha bisogno di raccontare ancora?

Agata: POLIS ha il privilegio di condividere lo spazio e il tempo straordinari dati dal teatro, nell’essere qui e ora con delle persone per riflettere su delle questioni che ci riguardano tutti e tutte. Ho pensato molto a questa questione del teatro ed è una cosa che è venuta fuori in molti spettacoli (penso, ad esempio, al collettivo femminista She she pop, che ripropone ogni volta il lavoro ideato adattandolo al contesto in cui viene presentato), i quali portano in scena anche una dimensione collettiva, relativa al prendere parola e caricarsi di responsabilità, in relazione all’appartenenza di un gruppo all’interno di una comunità più ampia, che è la nostra società. Riuscire a farlo in teatro ed esponendosi su temi importanti come il possesso, la proprietà, la libertà – grazie a una commistione di generi e a dispositivi teatrali non canonici – è stato sicuramente uno dei temi centrali del Festival. È così che siamo riusciti a esplorare nuove forme di relazione sull’essere comunità, riflettendo su noi stessi e realizzando un atto politico.

ph. Dario Bonazza

In che modo la coproduzione Sulla difficoltà di dire la verità di ErosAntEros, tratta dal saggio di Brecht, utilizza la ricerca sonora-vocale e le immagini fotografiche di Michele Lapini per esplorare le sfide di comunicare la verità? E come può essere interpretato in relazione alle esperienze degli studenti delle scuole superiori, considerando la sua presentazione in matinée per questo pubblico?

Davide: Lo spettacolo parte da un saggio politico di Brecht del 1934 che si chiama Cinque difficoltà per chi scrive la verità: Agata si è basata su questo testo e l’ha riadattato, inserendo anche due poesie di Brecht dello stesso periodo, L’acquirente e La lode dell’imparare.
Noi, in realtà, conosciamo questo saggio da tempo e abbiamo prodotto una prima parte dello spettacolo nel 2014 in Danimarca, proprio nel luogo in cui Brecht aveva scritto il testo 80 anni prima. Quel lavoro era, però, tutto concentrato sul rapporto tra suono e voce, a differenza di quello attuale in cui c’è stato un ulteriore rimaneggiamento dell’opera e l’aggiunta delle foto dell’attivista e del fotografo Michele Lapini.
Nella pratica, abbiamo dato il testo a Michele e lui ha associato delle immagini provenienti dal suo repertorio riguardanti manifestazioni, guerre, movimenti, etc., che abbiamo selezionato e deciso come dar loro una forma grazie al nostro collaboratore video Francesco Tedde. Abbiamo sostanzialmente creato un sistema per cui è tutto dal vivo: la performance vocale e musicale, ma anche il trattamento con dell’effettistica delle foto, poiché quest’ultime vengono attraversate e ci sono diversi effetti su di esse che vengono influenzati dall’audio. Abbiamo voluto aggiungere le immagini come ulteriore livello di drammaturgia dello spettacolo sulla partitura vocale-musicale precedentemente creata.
Agata: Per quanto riguarda la presentazione dello spettacolo in matinée per gli studenti, siamo rimasti piacevolmente sorpresi, poiché non ci aspettavamo che potesse essere sentito in maniera così intensa. Il testo di Brecht è radicale e duro, antifascista e anticapitalista, ma, nonostante questo, al termine della pièce, quando c’è stato l’incontro con le cinque classi, ci sono state tantissime domande da parte dei ragazzi rivolte a me, Davide e Michele: alcune di esse erano proprio di natura pratica – tipo “e adesso come dobbiamo fare per cambiare questa società?” o discusse tramite dialoghi tra gli studenti stessi. È stato un momento molto bello e arricchente, con il prezioso punto di vista di Michele Lapini, il quale, essendo anche un fotoreporter e lavorando quindi con il mondo dell’informazione, ha spiegato in maniera estremamente profonda la connessione esistente tra le immagini e il testo di Brecht.

Ci sono state delle novità rispetto alle edizioni precedenti del Festival e qual è stata la risposta della cittadinanza?

Davide: Sicuramente quest’anno la scelta dell’area geografica ha determinato i linguaggi, nel senso che erano diverse le forme di rappresentazione che abbiamo proposto alla città, essendo meno legate ai testi e al limite con il teatro. Di conseguenza c’è stato anche un differente uso degli spazi, alcuni dei quali utilizzati come sedi per le installazioni (come, ad esempio il centro Artificerie Almagià per Death and birth in my life di Mats Staub). Tra le novità rispetto alle edizioni precedenti, poi, mi viene in mente anche che abbiamo ripetuto gli spettacoli in dei luoghi più piccoli in più giorni: questo ha permesso che ci fosse un buon passaparola e una buona affluenza.                                                                        Agata: Per quanto riguarda la risposta della cittadinanza, invece, dobbiamo dire che quest’anno abbiamo attratto anche un altro tipo di pubblico, poiché abbiamo aperto il Festival con lo spettacolo Santa Giovanna dei Macelli e, quindi, c’è stata anche la partecipazione del gruppo musicale sloveno Laibach. Sono tantissime le persone che sono venute a teatro senza essere connesse direttamente a noi e che hanno scoperto il nostro lavoro anche tramite altre vie. Siamo stati enormemente contenti di questo, perché ha dimostrato come questa commistione di generi possa funzionare per espandere i pubblici teatrali anche in un futuro.

ph. Dario Bonazza

Quali sono i vostri progetti futuri?

Agata: Stiamo già lavorando all’edizione di POLIS 2025, mettendo a frutto le relazioni pregresse con altri festival e artisti. Io sono appena rientrata da un festival di teatro contemporaneo in Portogallo molto interessante, il FITEI – Festival internazionale dell’espressione teatrale iberica, che rivolge lo sguardo sia verso l’area  del Sud America, sia verso quella portoghese e spagnola: proprio quest’ultima sarà al centro del focus di POLIS del prossimo anno.