CRISTINA SQUARTECCHIA l Il corale Grand Jeté è uno degli ultimi spettacoli del FDE Festival Danza Estate di Bergamo, l’ampio progetto coreografico a firma di Silvia Gribaudi e realizzato in collaborazione con la MM Contemporay Dance Company diretta da Michele Merola. In scena questa sera al Teatro Sociale di Bergamo, Grand Jeté è lo spettacolo clou della rassegna festivaliera diretta da Flavia Vecchiarelli e a cura della cooperativa sociale 23 C/Art, che, dal 1989, dedica ampio spazio alla danza contemporanea.
Per PAC Silvia Gribaudi racconta, tra un laboratorio e una prova, come ha preso forma l’idea di questo grand jeté coreografico, simbolo di massima espressione tecnico- virtuosistica ma anche di grande apertura e slancio verso la vita.

S.G. Il progetto è nato durante la pandemia, dall’opportunità di alcuni organizzatori del circuito Big Pulse Dance Alliance, il cui partner italiano era Torino Danza festival. Ho accolto questo invito a preparare e inviare un progetto per questo network europeo che avrebbe, a sua volta, selezionato un artista per ogni nazione e sostenerlo in una creazione da grande palco, uno spettacolo corale.
Il mio progetto, che è diventato poi Grand Jeté, è stato selezionato tra quelli dei quattro artisti scelti. Ho chiesto poi a Michele Merola se aveva il piacere di collaborare con la sua compagnia per unire le forze in una co-produzione con la mia compagnia Zebra. Siamo riusciti a trovare questo incontro, al quale si sono poi associati altri partner.
All’inizio volevo lavorare sui finali del balletto classico, forse perché era il periodo della pandemia e nutrivo il desiderio di raccontare finali tragici come nuovi inizi. Quindi l’idea era quella di morire danzando. Ho preso in considerazione Romeo e Giulietta, Giselle, La morte del cigno, ma studiando questi pezzi mi sono resa conto che il tutto era troppo forte e che non riuscivo a raccontarlo in maniera coreografica. Sperimentando in sala tra i finali e i nuovi inizi, l’attenzione si è concentrata sulla dinamica della sospensione, dell’apertura, del passaggio da un punto a un altro. Allora mi sono chiesta quale fosse il movimento della danza classica che più di tutti potesse esprimere questo concetto. La riflessione è caduta sul grand jeté, un grande salto lanciato, una grande sospensione, un volo momentaneo che si prende per gettare via qualcosa. E da allora ho deciso di costruire  lo spettacolo sulle parole della danza classica per reinterpretarle non solo da un punto di vista estetico e  dinamico, ma riflettere sul loro significato: che cosa vuol dire grand jeté, in che modo creiamo movimenti nel gettare, per esempio il plié è un piegarsi, un tour en l’air è un giro nell’aria.
E cosa succederebbe se ognuno di noi potesse fare questi movimenti in maniera libera? Cosa gettiamo? Cosa lasciamo andare? Dove vogliamo andare? E dove rimaniamo sospesi? Il focus del processo creativo è stato quindi quello di destrutturare il codice della danza classico/accademica cercando di scovare quel senso umano, piscologico ed emotivo che lo sottende in ogni suo gesto o movimento, per poi rigenerarlo di nuovi significati.

ph. Voitĕch Brtnický, Courtesy Tanec Praha 2023

E con la musica quale è stata la scelta dei brani e come li avete riproposti?

S.G. Abbiamo costruito diverse partiture di movimento con Matteo Franceschini – Leone d’Argento alla Biennale Musica di Venezia nel 2022, prendendo alcune pagine note di Čaikosvky come quelle de Il lago dei cigni Romeo e Giulietta. Ma di questi abbiamo fatto poco uso in scena, sono stati completamente reinterpretati e ricreati. Si tratta di brevissime citazioni delle quali è rimasta un’eco. Cantiamo, intoniamo le melodie e lo facciamo con il coinvolgimento del pubblico. Lo spettatore canta il Valzer dei fiori Il Lago dei Cigni in modo naturale, diventando parte dello spettacolo.

Il pubblico è una parte essenziale del tuo lavoro.  In questo caso,  come anche in Graces (2018) dove sei sempre in scena, giochi molto a interagire con lo spettatore e con i danzatori. Come gestisci tutto questo?

S.G. Cerco di essere un ponte, di farmi attraversare dalla quarte parete. Mentre i ballerini e le ballerine portano l’energia e la passione della gioventù con la loro atleticità e con lo slancio verso l’esterno del grand jeté, io, avendo cinquant’anni, ho un altro impulso. Mi piace creare momenti di improvvisazione con i giovani, un legame tra i silenzi, guidare le transizioni, i passaggi tra il pubblico e i danzatori, come una specie di Caronte che trasporta significati da una parte all’altra.
Da coreografa sono colei che crea le immagini, e se non sono chiare, cerco di chiarirle portando lo spettatore  nell’universo che voglio costruire in scena, in un rapporto empatico che non sia solo guardare i performer ma essere parte dello spettacolo. Poi uno può scegliere di non partecipare e preferire solo guardare e divertirsi nel vedere gli altri partecipare, e allora diventi spettatore dello spettatore.

ph Andrea Macchia

Già da Graces, o forse anche prima, avevi iniziato quel processo di de-strutturazione del canone classico, prima con l’estetica di Canova e poi con la tecnica classica e i suoi virtuosismi. Con Grand Jeté dove senti di essere arrivata?

Destrutturare i codici del corpo nella danza classica significa lavorare anche su quelli stilistici. Se partiamo dal senso delle parole andiamo oltre l’esercizio atletico. Sono attratta  dalla bellezza dei movimenti della tecnica, dai suoi significati. Ciò che conta per me è riscoprire il senso nell’eseguire un battement tendu, un battement développé, trovando ogni volta nell’esecuzione, una motivazione diversa per capire attraverso il movimento dove sto andando o cosa muovo. Allora, se un danzatore così giovane scopre tutto questo, non rimaniamo vittime della tecnica, e lo spettatore vedrà una persona in scena che esprime il desiderio di andare oltre quella gamba tesa con il piede allungato.
Un processo che porta la danza verso una dimensione divina perché l’essere umano può tirare fuori la bellezza interiore nonostante le sue fragilità. Grand Jeté è il risultato di questo lavoro, dove i danzatori esprimono la gioia del danzare più che esibire uno sforzo atletico fine a se stesso per dimostrare di essere bravi. Come artisti abbiamo la responsabilità di aprire, attraverso i corpi, l’umanità, e svelarla passo dopo passo.

Sei un’artista che lavora e crea molto,  tra laboratori, tournée in Italia e all’estero. Hai del tempo libero?

Bella domanda. Silvia se lo sta creando un po’ di tempo libero, questo grazie ad alcune progettualità iniziate da poco, che almeno per tre anni potranno garantirmi più costanza e continuità. Questo grazie al fatto che sono artista associata del centro coreografico Le Gymnase CDCN a Roubaix vicino Parigi e del Teatro Stabile di Torino – una partnership siglata qualche giorno fa. Il mio lavoro così si semplifica. La possibilità di poggiarmi su due case per creare, almeno fino al 2027, mi permette di ri-organizzare il mio calendario in maniera più calma. Negli ultimi anni ho lavorato tanto e mi sono tolta tante soddisfazioni, come il desiderio di capire qual era il mio limite, nello stare in scena e tante altre cose. Quando arrivi a cinquant’anni inizi a chiederti dove sei e dove vuoi andare nel futuro.
È vero che le condizioni di lavoro mi hanno spinta a dover produrre moltissimo e accettare molte date,  almeno negli ultimi 10 anni, per sostenere una struttura senza avere quasi mai tempi di recupero, ma si può sempre dire di no. Oggi sono arrivata a dire basta e, avere a disposizione queste due case creative, mi dà la tranquillità che stavo cercando e al contempo una progettualità a lungo termine per costruire dialoghi.
Mi auguro che mi possa riprendere del tempo, anche di fare delle passeggiate.

ph Andrea Macchia

Grand Jeté è nella rosa dei candidati al premio Hystrio. Questo lavoro pensi avrà la stessa risonanza di Graces?

In Graces siamo in 4 in scena e quindi lo spettacolo costa poco. Entrambi i lavori hanno lo stesso valore per me sotto un profilo artistico e motivazionale. C’è una differenza tra i due: pur avendo una spinta particolare per il periodo storico che stiamo vivendo, Grand Jeté ha delle complessità oggettive; siamo in 11 in scena e quando giriamo arriviamo a essere 15 con i tecnici e questo non permette di girare come è accaduto con Graces, che invece ha raggiunto le sue 200 repliche.
Grand Jeté è richiesto molto più in Francia che in Italia, perché all’estero è tutto più accessibile. Raramente i coreografi in Italia portano spettacoli con un ensemble così numeroso. Qui la situazione è più complessa, vanno gli spettacoli con 4/5 interpreti. Per questo sono grata al Festival Danza Estate di Bergamo, alla direzione di Flavia Vecchiarelli e a tutto il suo staff per il notevole impegno nell’averci ospitato al Teatro Sociale. Non è tutto semplice e scontato. Spero vi siano maggiori risorse in futuro per i teatri italiani per accogliere lavori corali di questo tipo.
Per me  Grand Jeté  ha già vinto, la generosità dei ragazzi di Michele Merola nello stare in scena è qualcosa di unico e prezioso. Sono grata a tutto questo e a quello che ho realizzato con loro.

GRAND JETÉ
di Silvia Gribaudi / ZEBRA
con MM Contemporary Dance Company

con Silvia Gribaudi e MM Contemporary Dance Company: Emiliana Campo, Lorenzo Fiorito, Mario Genovese, Matilde Gherardi, Fabiana Lonardo, Alice Ruspaggiari, Rossana Samele, Nicola Stasi, Giuseppe Villarosa, Leonardo Zannella.
Musiche originali Matteo Franceschini
Disegno luci Luca Serafini
Styling Ettore Lombardi
Assistente alla coreografia Paolo Lauri
Maestro ripetitore Enrico Morelli
Consulenza drammaturgica Annette Van Zwoll
Consulenza artistica Matteo Maffesanti
Consulenza tecnica Leonardo Benetollo
Creative producer Mauro Danesi
produzione di Associazione Culturale Zebra (IT) co-produzione di MM Contemporary Dance Company (IT), La Biennale de Lyon (FR), Théâtre de la Ville (FR), Rum för Dans (SE), National Theatre Brno within Theatre World Festival Brno (CZ), BPDA – Big Pulse Dance Alliance: Torinodanza Festival (IT), International Dance Festival TANEC PRAHA (CZ), Zodiak – Side Step Festival (FI) con il sostegno del Centro di Residenza Emilia-Romagna (L’Arboreto- Teatro Dimora | La Corte Ospitale) con il contributo del MiC – Ministero della Cultura

GRAND JETÉ è una coproduzione di Big Pulse Dance Alliance, con il sostegno del programma Creative Europe dell’Unione Europea.