OLINDO RAMPIN | Prima che l’orchestra inizi a suonare e si faccia buio in sala, il sipario è alzato e gli interpreti sono già in scena, immobili, in uno spazio disadorno. L’assenza di quinte e fondale rivela le attrezzerie e i muri di mattoni a vista del Teatro Filodrammatici, e tutto ci riporta atmosfericamente a quell’estetica industriale ormai così classicamente da “nuovo” teatro, incompatibile con ogni possibile aspettativa di scenografie e costumi “in stile”, cronologicamente filologici. Può averci sperato, mi chiedo, qualche tenace erede di quello che con spietatezza Adorno chiamava lo spettatore d’opera borghese? È vero che in un palinsesto di madrigali primo seicenteschi “in stile rappresentativo”, qual è questo Polittico monteverdiano inframmezzato da pezzi di Antonio Bertali (1605-1669), prodotto dalla Fondazione Teatro Amilcare Ponchielli, al debutto al Monteverdi Festival di Cremona, quello spettatore faticherebbe a rivivere i ricordi di giovinezza e la cara vecchia catarsi, che il filosofo francofortese sarcasticamente associava a quel tipo umano, ammesso che quel tipo umano esista ancora. Soprattutto se, come accade qui, anche le luci teatrali sono sostituite da file di anonimi e gelidi neon.

ph Paolo Cisi

Gli interpreti, nerovestiti, hanno qualcosa di ascetico, di monacale, di religioso. Ma ecco dal gruppo si stacca una figura alta, poderosa, anch’essa in abito nero da monaco, orientaleggiante, e al centro della scena inizia il movimento rotatorio dei dervisci. La guepière e i grandi baffi potrebbero depistare, ma il cranio rasato e argentato, le mani dipinte di rosso, i gesti che compirà più avanti, lo rivelano come motore decisivo del “dramma”, benché sia l’unico interprete che non canta. Non sappiamo se sulla fondamentale chiave di lettura ritualeggiante-sacrale adottata dal regista, Roberto Catalano, abbia esercitato un’influenza, anche solo indiretta, il fatto che Claudio Monteverdi si interessò alle pratiche alchemiche, e che il figlio fu punito dall’Inquisizione perché in possesso di un libro proibito dall’Indice. A Venezia, dove il Cremonese visse per trent’anni e morì, pochi anni prima aveva trovato accoglienza Giordano Bruno, che vi insegnava l’arte della memoria e la magia a un nobile, che poi lo consegnò al Sant’Uffizio, causandone la condanna al rogo. Se lo collochiamo in una città che allora era una vera capitale, percorsa da aneliti culturali e religiosi innovativi ed eterodossi, non sembra stonare questo sapore spiritualeggiante, di rituale alchemico e sacrale, con cui il regista ha ricavato con libero ma convincente arbitrio un continuum da un insieme di madrigali che non formano un canzoniere organico, secondo il canone petrarchesco. Un “polittico” appunto, su temi di guerra e d’amore, una trama immaginaria che si conclude con la celebre scrittura di trapasso dal madrigale all’opera, il Combattimento di Tancredi e Clorinda, in cui amore e guerra si traducono in morte.

ph Paolo Cisi

Lo spirito-derviscio, interpretato dal coreografo e danzatore Marco Caudera, con la sua azione fisico-performativa è il deus ex machina di quella che appare come una favola nera, gotica, un piccolo romanzo di formazione dark. È levatrice, partorendo dal fondo nero della scena, e portandolo in braccio come in una eccentrica Pietà, un essere all’inizio indefinibile e inanimato, una giovane donna minuta – la soprano Silvia Frigato – il cui abitino smunto, rosa come la parrucca, ne fa simbolicamente il centro cromatico e drammaturgico del polittico. È lei che vive e interpreta con il canto, con un’intensità interpretativa rigorosa, le passioni e le pene d’amore descritte nei madrigali, insieme agli altri interpreti, che assistono lo spirito-derviscio nel cerimoniale.

Lo spirito baffuto scandisce tutte le tappe di un rito iniziatico con segni, oggetti, colori, simboli, cerimonie: l’applicazione di un fiocco rosso, simbolo dell’eros realizzato, la sua estrazione e collocazione in un acquario dove si fa sangue, emblema del dolore amoroso, un fiore preso e abbandonato e di colore mutevole, come mutevole è il sentimento. Le soprano Giorgia Sorichetti e Cristina Greco, i tenori Angelo Testori e Nicola Di Filippo, il baritono Albrich Ferran, il basso Angelo Pieracci sono gli angeli cantanti, tutti musicalmente all’altezza del compito, che guidano la donna a intraprendere il mestiere di vivere, la accompagnano verso l’amore, verso l’inevitabile fine dell’amore, verso l’inevitabile morte, che si compie con le note con cui Monteverdi ha messo in musica i più bei versi della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, interpretati con bella adesione emotiva dal terzetto Frigato (Clorinda), Testori (Tancredi) e Albrich (Testo). L’Orchestra Monteverdi Festival – Cremona Antiqua, diretta con scioltezza e sicurezza da Antonio Greco, ha fornito una convincente interpretazione musicale della scrittura monteverdiana.

ph Paolo Cisi

Si sa che Monteverdi conferì una importanza prima di lui ignota al testo nel suo rapporto con la musica, e che ciò fu una delle innovazioni da lui apportate rispetto al Cinquecento, dando l’avvio a quella che potremmo chiamare la preistoria dell’opera. È singolare che ciò sia avvenuto a partire da testi che per se stessi rappresentarono un momento involutivo nella storia della letteratura italiana: ricchezza di forme e concetti preziosi, finissime qualità immaginative e sonore sostituivano in Giambattista Marino e negli altri autori dell’epoca l’autenticità interiore della poesia con una esteriorità manierata. Ciò continuò e guastò con ingegnosi tecnicismi la parte originale della poesia tassiana, che fu nella sua natura idillica e non eroica, nel suo universo lirico e musicale con un fondo romanzesco e voluttuoso: il vero eroe della Gerusalemme è il lirico Tancredi, non il freddo condottiero Goffredo. Monteverdi, molto maggior poeta degli autori dei testi da lui musicati, seppe trarre vera arte da versi spesso mediocri. Il suo genio trovò finalmente nella consonanza con una natura musicale e malinconica, languida e sensuale come quella di Tasso, lo strumento perfetto per creare quell’opera d’arte altissima che è il Combattimento tra Tancredi e Clorinda.

POLITTICO MONTEVERDIANO: IL COMBATTIMENTO DI TANCREDI E CLORINDA E I MADRIGALI IN STILE RAPPRESENTATIVO

musiche di Claudio Monteverdi e Antonio Bertali
direttore Antonio Greco
regia Roberto Catalano

costumi Ilaria Ariemme
light designer Oscar Frosio
coreografo e danzatore Marco Caudera
assistente ai costumi Beatrice Farina,

ORCHESTRA MONTEVERDI FESTIVAL – CREMONA ANTIQUA

Nuova produzione – Allestimento della Fondazione Teatro Amilcare Ponchielli – Monteverdi Festival

Monteverdi Festival, Cremona | 15 giugno 2024