RENZO FRANCABANDERA | Torniamo a Rovigo per l’ultima tappa di narrazione dell’edizione numero XX del Festival Opera Prima, che Teatro del Lemming, con la direzione artistica di Massimo Munaro, propone da trent’anni in questa città; un festival emblematico della tenacia e della volontà artistica di voler seminare senza sosta, anche fra tante difficoltà organizzative e, a volte, anche miopia di chi dovrebbe sostenere il fare pensiero nell’ambiente urbano, per evitare che le città si spopolino di occasioni di incontro e socialità sana, e abbiano solo l’ora dello spritz come forma di socialità.

Ad addensare di senso e anche di simbolica complessità sulla forma che viviamo è la proposta di Masque Teatro, ospitata all’interno del Chiostro delle Carmelitane, con cui ha avuto inizio la serata di venerdì 28 luglio, dove la compagnia ha proposto Voodoo.
Masque è una storica compagnia romagnola fondata da Lorenzo Bazzocchi che, oltre che regista e attore, è da sempre studioso di architetture sceniche che egli stesso definisce totalizzanti, ovvero che hanno la caratteristica per cui gli interpreti si inseriscono come ingranaggi anomali per dispositivi destinati a un numero ridotto di testimoni.

foto M. Carluccio

La formazione scientifica di Bazzocchi, unita alla forza iconica e rappresentativa di un’interprete storica e pressoché unica di queste creazioni, Eleonora Sedioli, hanno dato vita, negli anni, a creazioni di matrice simbolico concettuale, dove lo stare performativo del corpo dell’interprete, spesso tinto di un colore o sembiante mimetizzante, si fa forza trascendente e dichiaratamente filosofica.
È una ricerca talvolta anche criptica, che trova la sua ragion d’essere nella volontà artistica di produrre simulacri, eventi dove materiale e virtuale si fondono per dar vita a originali creazioni e in cui lo spettatore non entra in maniera banale. Nei dispositivi di Masque occorre volerci entrare, occorre volercisi abbandonare.
La forza visionaria ha queste caratteristiche anche in Voodoo: Sedioli è davanti ai nostri occhi, ma quasi mimetizzata sotto un albero, seduta a uno sgabello di legno. La performance inizia con una musica industrial, una frase sonora ossessiva allo svilupparsi della quale l’interprete, levando un braccio verso l’alto, cerca di guadagnare posizione eretta, senza effettivamente mai raggiungere questo stato, se non venendone poi rigettata, per ripiombare nella sua posizione originaria.
Questa tensione all’altezza, che è insistita per diversi minuti, si rompe nel momento in cui la donna pare simbolicamente trovare affrancamento dalla condizione originaria, fino a potersi muovere, nella direzione di un albero distante pochi metri, e che viene quasi raggiunto non senza fatica, prima che forze oscure riportino la performer nella condizione originaria.
Una seconda volta la donna riuscirà finalmente a raggiungere l’albero dove -proprio in omaggio a quella ritualità sciamanica e trasportante, Voodoo appunto, e che Masque definisce come necessità di una lucida trance -, liberatasi dell’ingombro delle vesti, arriva a compiere il suo percorso e a completare il gesto performativo che si spegne sotto l’albero, accasciata in uno stato esanime, in corrispondenza del quale il pubblico lascia lo spazio, senza che l’interprete raccolga gli applausi, ma restando organicamente parte di quell’intenzione semica costruita nel tempo precedente. «È solo attraverso l’alterazione indotta che si può sperare di essere catapultati nella verità del proprio essere. L’alterazione produce simulacri. A questi ci affidiamo per recuperare le forze necessarie ad imbastire la costruzione di un altro mondo nel quale sopravvivere».

Torna a Opera Prima il coreografo italiano Fabio Liberti da anni residente all’estero. Laureatosi alla Codarts Rotterdam Dance Academy nel 2004, da allora è stato impegnato a tempo pieno in diverse compagnie di danza in Olanda, Germania, Svizzera, Italia e Danimarca (Danish Dance Theatre). Nel 2020 ha fondato la sua compagnia MUOVI/Fabio Liberti con base a Copenhagen, per la quale ha prodotto diversi lavori indipendenti. What did I just do? è l’ultimo di questa serie, un viaggio nel tempo e nello spazio, di cui è particolarissima interprete la performer Maud Karlsson Lima de Faria.

foto M. Carluccio

Lo spettacolo della durata di 50 minuti si compone di due elementi fondamentali: quello sonoro, che è una voce off, registrata, della stessa donna che con una velocità assai spinta, quasi difficile da seguire, descrive per tappe la sua vita. È un racconto che sembra quasi un commento di un album dell’esistenza: siamo nel 1979, sono qui, sto facendo questo… ora siamo nel 1987, mi trovo a New York, cerco casa…
I ricordi, le esperienze (invero non certo lineari) della donna, che viaggia senza sosta fra Europa e America, cercando di coronare il suo sogno di diventare danzatrice, diventano colonna sonora, sfondo, contesto, allo stesso tempo fondamentali e inutili.
Mentre la colonna sonora si dipana, 
mescolando una ridda di eventi in un caos travolgente di immagini e velocità, lei stessa regala allo sguardo un altro tempo scenico, esponendo l’inscindibile relazione tra tempo, memoria, identità e contesto sociale attraverso la costruzione di una struttura simbolica, fatta di oggetti lignei, dei Kapla di grandi dimensioni che si immagina arriveranno a realizzare una qualche costruzione architettonica solida. La donna si aggira equilibrista fra questi pezzi di legno disposti in verticale, facendo in modo che non cadano, per poi sedercisi su, in precario equilibrio, e poi legarli simbolicamente, come pezzi di un puzzle incompleto, che ci verrà restituito come rappresentazione della vita stessa.
La performer, dopo averli legati con un filo trasparente, inizierà a trascinare i pezzi sconnessi, ma legati, lentamente, fuori scena, dichiarando proprio questo suo personale sentire sul senso della vita, un’unione di pezzi scomposti, un filo che li lega tutti, ma di cui forse il senso ci è invisibile.
Liberti conferma una cifra creativa peculiare, fatta di allestimenti mai banali, sempre sfidanti, mai drammaturgicamente accomodanti, ma sempre in continua ricerca di formule creative nuove, attraverso le quali arrivare a dare un senso specifico alla storia che si vuole raccontare.

Oltre 400 repliche dal 1990 al 2008 in 3 continenti. Chisciotte e Sancho tornano quest’anno a nuova vita in occasione dei cinquanta anni di attività di Teatro Nucleo, fondato  in Argentina da Cora Herrendorf e Horacio Czertok. Per celebrare questo anniversario la compagnia, che ora ha sede a Pontelagoscuro, a pochi chilometri da Ferrara sulle sponde del Po, ha voluto riportare in scena un suo spettacolo storico, il Quijote!.

La nuova versione ha debuttato a maggio nel Rabicano Festival Internazionale di Teatro per gli Spazi Aperti, ed è ora in tournée sia come spettacolo di piazza che come spettacolo itinerante.
L’antieroe di Cervantes e il suo scudiero, in sella a improbabili destrieri meccanici, tornano qui a Rovigo per Opera Prima, in un Festival che fonda la sua poetica sull’accostamento fra storia del teatro contemporaneo e nuovi linguaggi del presente.
Quijote! è un lavoro nato nel 1990, allora con la regia di Cora Herrendorf su drammaturgia di Horacio Czertok, uno spettacolo cult per la scelta di portare in strada il classico di Cervantes, dentro un sistema scenografico ardito, immaginato da Remi Boinot, cui collaborarono per la realizzazione delle scenografie e delle macchine sceniche Christophe Cardoen e Michael Beyermannun.
Chiunque arrivi a Pontelagoscuro, presso la casa di Teatro Nucleo, troverà nel parco davanti alla meravigliosa facciata di questo luogo dedicato a Cortazar le macchine sceniche originali di quell’allestimento, omaggio alla fantasia e all’immaginazione.
Horacio Czertok pare vivere una seconda giovinezza con Quijote!, che riporta oggi in scena riprendendo la regia insieme alla figlia Natasha, anche lei donna di teatro. La scenografia del riallestimento viene realizzata con il decisivo inserto collaborativo del Laboratorio Scenografia Pesaro di Lidia Trecento sui progetti originari, e così pure i costumi che vedono la collaborazione fra Remi Boinot e Maria Ziosi.

foto M. Carluccio

Qui l’interprete è anziano, sì, ma con una vigoria scenica che davvero dà la misura di quanto il teatro possa mantenere giovane lo spirito. Giovani anagraficamente sono gli altri interpreti che con lui hanno condiviso l’esibizione in Piazza Vittorio Emanuele II, dove arriva la grande macchina del mulino con cui il cavaliere errante e il suo maleodorante scudiero combatteranno, in una scena pirotecnica che ancora oggi sorprende il variegato pubblico, multietnico e di ogni età, che affolla divertito la piazza. Ragioniamo su cosa significhi essere oggi accessibili e aperti, in una società così complessa e stratificata; su cosa si possa ancora fare, da parte di chi vive dall’interno questo medium, per aprirsi alle istanze della società ineludibilmente globale, senza arroccarsi in castelli autoreferenziali.
Teatro Nucleo dà una lezione di umiltà, cercando di fare del teatro uno strumento di evoluzione sia per lo spettatore che per l’attore, e degli allestimenti di strada una cifra specifica, con la precisa volontà di renderli accessibili: una storia di impegno non elitario. Perché la libertà è bella quando la si pratica per sé, ma quella che resta indimenticabile è quella che si regala agli altri.
Quijote! ci parla anche di questo nel dolceamaro ritratto di quest’anima piena di spirito d’avventura, schiacciata da un mondo volgare e antiromantico, dove viene scambiato e fatto passare per folle.
La Storia ci dirà poi chi erano i folli, e chi quelli a posto.

VOODOO

con Eleonora Sedioli
ideazione Lorenzo Bazzocchi
tecnica Angelo Generali
foto Lorenzo Crovetto

WHAT DID I JUST DO?

un lavoro di Fabio Liberti
con Maud Karlsson Lima de Faria
scenografia Fredrik Borg – luci David Nicolás Abad – drammaturga Sara Živkovič Kranjc
produzione MUOVI/Fabio Liberti – produttore Carlos Calvo
con il supporto di Statens Kunstfond (DK), Augustinus Fonden (DK), Fondet for Dansk-Svensk Samarbejde (DK), Bora Bora Residency Centre (DK), Théâtre Sévelin 36 (CH), Centro per la Scena Contemporanea (IT), Zavod Flota (SI), Riksteatern-production residency (SE), Swedish Arts Grant Committee (SE), Konstnärsnämnden (SE), Uppsala Kommun (SE)

QUIJOTE!

regia Horacio Czertok, Natasha Czertok
con Lisa Bonini, Francesca Caselli, Horacio Czertok, Stefano Del Biondo, Giovanna Latella, Martina Mastroviti, Giovanni Simiele
scenografia Laboratorio Scenografia Pesaro di Lidia Trecento, Remi Boinot – costumi Remi Boinot, Maria Ziosi

Visti a Rovigo il 28/6/2024