MARIA FRANCESCA SACCO* | Inequilibrio, il festival vista mare della Fondazione Armunia, si snoda tra quattro location sul territorio livornese, proponendo i suoi spettacoli tra la storica sede di Castiglioncello, e i vicini comuni di Rosignano Marittimo, Rosignano Solvay e Vada. Ciò che caratterizza il festival, quest’ anno alla sua ventisettesima edizione, è la volontà di coinvolgere territorio e popolazione, connettendo artisti, spettatori e organizzatori. La direttrice Angela Fumarola sottolinea l’importanza riservata all’accoglienza e questa edizione, in cui ci si interroga su utopie e realtà, diventa una promessa di resistenza contro un presente che ha perso il suo senso comunitario e che va ridipinto attraverso le diverse forme d’arte che si vedono dialogare in questi giorni.

ph. dorin mihai

Il Teatro dell’Elce, gruppo fiorentino nato nel 2006 che quest’estate sarà in giro per il capoluogo toscano con il progetto di teatro diffuso Il teatro nelle città, propone a Castiglioncello uno studio intitolato L’anello che non tiene, messo qui per il Festival in scena nella Sala del Ricamo del Castello Pasquini.
Si vedono solo dei microfoni da call center sull’imponente tavolo, intorno al quale siedono il pubblico (più distante, sulle sedie) e i protagonisti, uno di fronte all’altro. Il sottotitolo Studio per un dialogo cyber-platonico preannuncia il taglio dello spettacolo che Marco di Costanzo e Stefano Parigi affrontano di petto attraverso un’immaginaria videochiamata.
La questione che viene posta a Socrates, giudice un po’ filosofo e un po’ influencer, è delicata: se nel metaverso (realtà virtuale) venisse commesso un reato di stupro sarebbe esso punibile?
Da qui si inizia a parlare di etica e a chiedersi cosa sia la realtà. Se questa, secondo le definizioni, è tutto ciò che è sensibile, il metaverso dove si colloca? Il dialogo si fa incalzante mentre Socrates conduce il ragionamento, maieuticamente alla ricerca di una risposta. Si arriva a interrogarsi sul digitale e se questo rappresenti la realtà o ne sia solo una copia. Gli esperti informatici sosterrebbero la seconda e allora il dubbio: la descrizione della realtà, contiene l’essenza del reale? Ricalcando il mito platonico della caverna si ragiona serratamente su questo tema in relazione alla tecnologia e l’atteggiamento da adottare di conseguenza.
La faccenda filosofica si consuma al buio, finché gli attori non aprono le finestre lasciando entrare la luce sullo spettatore che ritorna al mondo (reale?) continuando a interrogarsi, ormai impelagato. Una drammaturgia intelligente che porta il pubblico ad una duplice riflessione: in primis, che al progredire tecnologico sia necessario accompagnare anche una legislazione adeguata; in secondo luogo, su come il mezzo filosofico si confermi strumento applicabile in qualunque tipo di argomentazione, anche nell’epoca del digitale.

ph. dorin mihai

Al Teatro Solvay di Rosignano va in scena Lena il primo lavoro di Claudio Larena, incentrato sul peso delle responsabilità nella vita di ogni essere umano. Arena, da solo in scena, interagisce con diversi oggetti la cui presenza è utile anche a scandire i ritmi della narrazione. Infatti le sue parole, testo avvincente, ben scritto e mai ridondante, sono accompagnate da movimenti che occupano tutto lo spazio durante i diversi racconti: dalle vicenda del ragazzo che prende la macchina senza patente, distruggendola, alla storia della nascita di un figlio non desiderato in cui la conclusione è «sarebbe stato meglio fermarsi prima».
Prendersi carico delle proprie azioni è un atto che caratterizza l’età adulta, nonostante gli ostacoli che potrebbero arrivare addosso violenti sono innumerevoli, insieme ai rimpianti e i dubbi, forse qui rappresentati dalle altalene che l’attore cerca di evitare sul palco. La riflessione del giovanissimo performer descrive quell’incosciente tendenza alla leggerezza minata, al contempo, dalla consapevolezza che la vita adulta sia fatta di altro, ad esempio di scelte consapevoli.
In scena, i ritmi che Larena cadenza con gli oggetti risultano però, in alcuni punti, un po’ lenti e inceppati, traspaiono alcune ingenuità proprio nelle interazioni con gli elementi sul palco, il che riconsegna una sensazione su cui lavorare per le prossime repliche di coesione ancora da trovare e di insistita ripetizione. Tuttavia, il testo colpisce per la sua capacità di toccare quelle corde, cariche di incertezze e paure, che vanno accarezzate nel processo di maturazione.


L’anfiteatro Scabia, nel Castello Pasquini, è infine la perfetta location per I libri di Oz di Fanny & Alexander, bottega d’arte nata a Ravenna nel 1992, che vede in scena Chiara Lagani nei panni di narratrice e interprete di tutti i personaggi. I romanzi di Frank Baum sono circa quattordici, tutti ambientati a Oz, e l’attrice li ha tradotti e uniti per condurre lo spettatore in un tour tra le stramberie di Oz. La scenografia è semplice, un tavolo e pochi oggetti funzionali al racconto, un libro, le famose scarpette rosse e un grande disco di plastica trasparente che userà per deformare il suo volto. Il testo ha accompagnato gli esordi della compagnia con una serie di spettacoli ispirati alla figura di Dorothy: si tratta quindi di un ritorno al filo, anch’esso rosso, dell’immaginario della compagnia.
Dietro il piano dell’interpretazione, uno schermo sul quale corrono le illustrazioni di Mara Cerri che accompagnano la narrazione. Innumerevoli personaggi passano sulla scena, tutti interpretati da Lagani e dalla sua voce che, con l’aiuto della tecnologia, all’occorrenza diventa quella del robottino Tic Toc o del Leone senza coraggio, mantenendo così salda l’attenzione anche dei più piccini.
I movimenti sempre puntuali dell’attrice sono magnetici per chi osserva il susseguirsi di avventure, grazie al ritmo perfettamente calibrato che non lascia spazio a null’altro, se non allo stupore per la fantasia creatrice di Baum e per la potenza scenica di Lagani che sembra trasformarsi lei stessa nel mago di Oz, tenendo le fila della narrazione fino alla consegna della suggestione che da qualche parte, oltre l’arcobaleno, «il cielo è azzurro e i sogni diventano realtà».

 

L’ANELLO CHE NON TIENE

di Marco Di Costanzo
con Marco Di Costanzo, Stefano Parigi
suono Andrea Pistolesi
produzione Teatro dell’Elce
in coproduzione con Fondazione Armunia
con il sostegno di Regione Toscana, Fondazione CR Firenze

Catello Pasquini, Castiglioncello (LI) | 5 luglio 2024

LENA 

di e con Claudio Larena
luci Francesco Tasselli
realizzazione scene Elena Bastogi
suono Lorenzo Minozzi
consulenza artistica durante il processo di ricerca Giovanni Onorato, Mariella Celia, Elena Bastogi, Bruna Bonanno

produzione Chiasma 
con il supporto di Mic – Ministero della Culturacon il sostegno di Corte Ospitale; Teatro dimora Mondaino; Capotrave-Kilowatt & Armunia; A.ArtistiAssociati

Teatro Solvay, Rosignano Solvay (LI) | 5 luglio 2024

I LIBRI DI OZ

di e con Chiara Lagani
testi di Frank Lyman Baum
traduzione Chiara Lagani per I Millenni Di Einaudi
illustrazioni Mara Cerri
regia e animazioni video  Luigi De Angelis
paesaggio sonoro Mirto Baliani
cura del suono e supervisione tecnica Vincenzo Scorza
organizzazione Maria Donnoli, Martina Barison, Marco Molduzzi
comunicazione e promozione Maria Donnoli
amministrazione Stefano Toma, Marco Molduzzi 
produzione Elastica, E production/Fanny&Alexande

Anfiteatro Scabia, Castello Pasquini, Castiglioncello (LI) | 5 luglio 2024

PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture in collaborazione con docenti e università italiane per permettere la formazione di nuove generazioni attive nella critica dei linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac accoglie sul sito le recensioni di questi giovani scrittori seguendone la formazione e il percorso di crescita nella pratica della scrittura critica.