OLINDO RAMPIN | Pergine ha qualcosa di sfuggente, come una lingua che non si comprende appieno. È una cosa che capita in queste ordinate contrade di mezza montagna del Triveneto. Questa piccola città di provincia a pochi chilometri da Trento ci rivela qualcosa di questa sua identità contrastante, anche grazie alla relazione che intrattiene con il festival estivo diretto da Babilonia Teatri: esito non scontato del dialogo che può crearsi tra teatro e territorio.
Uscendo dalla ex rimessa carrozze, garage riadattato a sala teatrale, dopo aver visto lo spettacolo di una giovane coreografa e danzatrice, Annalisa Limardi, osserviamo con occhio più attento gli edifici storici, con quel curioso stile ibridato in cui la base costruttiva veneta è trasformata dall’abbraccio montanaro-tirolese.
Il quartetto di spettacoli che abbiamo visto comincia e si conclude con un invito alla disobbedienza. Non è una disobbedienza civile, una critica sociale organizzata in un discorso ordinato e consapevole della propria forma e dei propri fini. No, titolo parlante dell’assolo con cui Limardi ha vinto il bando Non addomesticabili del Centro Santa Chiara e di Pergine Festival, è più un grido giovanile di auto-difesa dal caos narcisistico del presente. Un’insofferenza impulsiva che, prima che dallo spirito, sembra provenire da un rigetto dell’organismo, del soma: scheletro, nervi, muscoli, denti, volto.
Con repentine scattosità, fughe rientrate, furori improvvisi, sorrisi che mutano in dinieghi, Annalisa Limardi si oppone con l’intera anatomia e con una contagiosa ansia espressiva alle pressioni del paesaggio umano, amicale, amoroso e famigliare, che la prevaricano, richiamandola strumentalmente alla sua disponibilità, al suo senso di responsabilità. È una repulsione che vince ogni possibile tentazione, anche sessuale, di un pansessualismo maschile sessista, che pretende e comanda, depotenziato dalla sua stessa identità anaffettiva e reificata. Ne mima gli ansimi, ma non perde mai un suo timido e schivo sorriso.
Partito come assolo danzato senza parole, lo spettacolo svela poi compiutamente sé stesso, integrando la verbalità al linguaggio del corpo. La danzatrice afferra un microfono, con cui combatte un definitivo corpo a corpo, ed è credibile mentre esprime con coerenza una sua nuova acquisizione esistenziale, fondata sulla libertà di sottrarsi, sulla raggiunta capacità di dire “no”.
Di tutt’altra natura è la disobbedienza del clochard parigino Andreas, protagonista della Leggenda del Santo Bevitore, l’ultimo e postumo racconto di Joseph Roth, da cui è tratto Il Santo Bevitore, messo in scena al Teatro Comunale di Pergine dalla compagnia locale AriaTeatro. È una disobbedienza pregressa, che ora si muta nella più clamorosa delle adesioni, chiamando in causa una solenne promessa d’onore, nel nome di Santa Teresa di Lisieux.
Lo sfondo narrativo e simbolico di intensa religiosità cattolica è inedito per l’ebreo galiziano Roth, cantore dell’ebraismo orientale e del tramonto del rimpianto impero asburgico. Nell’ultima fase della sua vita, trascorsa a Parigi, l’inclinazione al bere e la conseguente rovina psico-fisica si erano accompagnate in Roth a una regressione politica, che lo portò a farsi seguace di un’ideologia reazionaria, propugnatrice di un ritorno al legittimismo, all’ordine monarchico. Era un’adesione politica fondata più su una base emotivo-artistica che su un percorso di presa di coscienza ideologica.
Il racconto, non a caso, fu trasferito sullo schermo, 36 anni fa, da Ermanno Olmi, regista sensibile a un cristianesimo neo-evangelico, a una religione dei poveri e degli scartati. Ma mentre Olmi ne ricavò un’essenziale e misteriosa trama di silenzi, di sguardi, di piogge, di interni, di simboli, la compagnia trentina lo allestisce con copiosa abbondanza di segni, di costumi di variegata foggia, di soluzioni registiche, di estetiche e di stili recitativi, e con il commento live di un musicista.
La figura del santo bevitore, ispirata in Roth a un dimesso rigore e a una solenne essenzialità, deve così raccordarsi con la vivace recitazione degli attori, che interpretano più personaggi, con la musica e con una scena dominata da un’informe catasta di stracci che si trasforma, infine, in un’immensa e inquietante testa di statua classicheggiante.
È una disobbedienza che si ravvede anche quella di Renart – Processo a una volpe di Kronoteatro, spettacolo jeune public che fa leva su una favola francese medievale per raccontare un percorso di sopraffazione, di pentimento e di perdono, interpretato da una volpe prepotente. La struttura è un ambizioso e ricco intarsio di stili e di tecniche: narrazione d’attore, video in diretta, teatro di figura, potenziati ulteriormente con inserti trap, con immagini evocative e dialoghi fuori scena tra attore e tecnico, in una dimensione di “teatro nel teatro” che svela la natura di finzione di ciò che accade davanti agli occhi dei giovani spettatori, chiamati infine ad assumere la funzione di giudici.
La proliferazione di forme e l’inserimento di linguaggi prossimi alla sensibilità del pubblico giovane dà vita a un discorso ricchissimo di ingredienti, che non arretra davanti al rischio di dispersività drammaturgica. Il giovane interprete, Filippo Tampieri, alto, dal fisico atletico, la chioma bionda dal taglio trendy, affronta con coraggio e vigore una non facile prova di funambolismo performativo, e con la sua energia contagiosa percorre con slancio i passaggi dal trap al racconto, dal racconto al teatro di figura.
Gli spettacoli programmati a Pergine invitano a scoprirne la duplice anima. La parte moderna, attraversata dalla trafficatissima statale, puntellata da anonimi condomini e attività commerciali, avvolge l’edilizia storica del centro. L’appuntamento che chiude la nostra presenza al festival ci fa scoprire una terza, arcaica Pergine. Basta uscire dalla statale e percorrere pochi metri in salita per trovarsi improvvisamente in uno scenario radicalmente diverso, un intatto paesaggio montano dove un intenso odore di letame bovino e una graziosa chiesetta di pietra puntellano una radura dove, nella semioscurità, sostano immobili mucche.
Alla fine di una salita nel bosco, mentre assistiamo all’atteso concerto-reading de La Rappresentante di Lista, alle nostre spalle incombe la mole minacciosa della fortezza di Castel Pergine, sorta di cupo Spielberg valsuganese. La cantante Veronica Lucchesi e il chitarrista Dario Mangiaracina intitolano questo live Parole politiche d’amore e disamore, ma le loro intenzioni politiche sembrano parenti della negazione di Annalisa Limardi: più implicite che manifeste, più private che pubbliche, più emotive e intimistiche che argomentate. I testi inediti del prossimo album, letti dal duo, hanno una natura di abbozzo non rifinito, su cui opereranno una necessaria opera di revisione.
Ma il fatto sorprendente e istruttivo è che il passaggio dal reading alle canzoni ha rivelato come la parte musicale e canora, seppur su testi maggiormente controllati perché compiuti, determina per sé stessa una metamorfosi, che conferisce alle canzoni una forza espressiva inimmaginabile rispetto alle lyrics in sé. Fatto che, se è intrinseco alla natura stessa della canzone pop d’autore anche negli esempi più illustri, in questo caso è davvero straordinario.
NO
di e con Annalisa Limardi
sound design Saverology
co-produzione Centro Servizi S.Chiara di Trento, AriaTeatro ETS e Pergine Festival
occhio esterno Penelope Morout
con il sostegno di Tuttoteatro.com
LA LEGGENDA DEL SANTO BEVITORE
da Joseph Roth
regia Giuseppe Amato
drammaturgia Chiara Benedetti e Giuseppe Amato
con Giuseppe Amato, Chiara Benedetti, Stefano Detassis, Christian Renzicchi e Candirù
musiche Candirù
scenografie Andrea Coppi
produzione AriaTeatro
RENART – PROCESSO A UNA VOLPE
da “Il Romanzo di Renart la volpe” a cura di Massimo Bonafin
regia ed adattamento Tommaso Bianco
con Filippo Tampieri
sculture Francesca Marsella
responsabile tecnico e disegno luci Alex Nesti
produzione Kronoteatro
PAROLE POLITICHE D’AMORE E DISAMORE
La Rappresentante di Lista
di e con Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina
Pergine (TN) | 9, 10 luglio 2024