GIAMBATTISTA MARCHETTO l «Nuovi modelli di co-creazione, processi collaborativi sperimentali al di fuori dei mezzi e delle forme artistiche tradizionali, in conversazione con la natura, la scienza, la tecnologia e la politica, ci catapultano in sinergie insolite con intuizioni inaspettate». È una Biennale Danza nel segno della contaminazione tra corpo e tecnologia quella disegnata quest’anno da Wayne McGregor, fresco di riconferma alla direzione del Festival per il prossimo biennio.
La scelta di un titolo come We Humans è una dichiarazione d’intenti. «Svelare la grande complessità, le contraddizioni e il mistero della vita umana – scrive McGregor – è una delle priorità della carriera dei creativi del movimento invitati alla Biennale Danza 2024. Tutti gli artisti e le compagnie di quest’anno adottano il mezzo della danza come atto filosofico di comunicazione – mettendo alla prova i fondamenti della nostra conoscenza, sfidando le nostre nozioni di realtà ed estendendo la comprensione della nostra esistenza. Attraverso il loro lavoro – continua – ci invitano a chiederci da dove veniamo e dove siamo diretti, sondando l’essenziale all’interno, il cosa e il perché della sensibilità. Al centro del loro lavoro ci sono verità fondamentali, espresse – conclude il direttore – in oggetti coreografici viventi, realizzati in modo unico che ci parlano profondamente, risvegliano i nostri istinti e stimolano la nostra immaginazione”.
Ecco allora convocati a Venezia artisti che sfruttano le capacità dell’essere umano per superarne il potenziale, mentre ci ricordano «con calma, grazia e urgenza» che ciò che Noi Esseri Umani condividiamo è molto più grande di tutto ciò che ci divide. Con loro il 18. Festival Internazionale di Danza Contemporanea – che avvolge la città lagunare fino al 3 agosto – esplora la complessa area delle connessioni umane e tecnologiche.
Wayne McGregor, c’è un filo conduttore nell’indicazione dei Leoni d’oro in questi anni di direzione?
Penso che in tutte le forme d’arte ci siano artisti molto celebrati nel corso della loro vita, molto famosi e conosciuti dal pubblico, nelle istituzioni e nei festival. E ci sono anche artisti incredibili, che hanno dedicato una vita alla sperimentazione e alla messa in discussione dell’arte rimanendo under the radar. Sono un po’ più invisibili e penso sia interessante che sia Simone Forti che Cristina Caprioli abbiano dato un contributo incredibile alla danza. Sono state spesso poco in vista e penso che una delle incredibili possibilità della Biennale sia quella di poter far luce su una pratica che forse è meno comune.
Nel caso di Cristina, è una maker e lavora sulla messa in scena, ma anche in video/film e gallerie, che di per sé non è insolito. È però insolito il suo rapporto con il mondo accademico, il suo percorso di ricerca molto forte e il suo approccio teoretico, ma anche il suo attivismo sociale. Infatti, ha lavorato per molto tempo con delle comunità. Quindi, penso che l’immagine globale di un’artista stia emergendo e molti sentono il bisogno che venga celebrata e resa più visibile.
Qual è il bilancio di questi anni di percorso del progetto Biennale College?
Ancora una volta confermo l’attenzione su chi forma i giovani e su quali sistemi siano aperti e accessibili al giovane artista. Per me è davvero importante. I giovani artisti maturano un background e un’eredità reali per poi creare mondi, per coreografare e comprendere come sviluppare la composizione. Comprendere come la generazione di contenuti e la pratica artistica più in generale si collocano nel mondo è più facile se lo si scopre con alcuni degli incredibili coreografi che tutti conosciamo. Ed è fantastico vedere come questi maestri vengano a lavorare direttamente con il College.
Questo è incredibile: nel corso degli anni di College, i Leoni d’oro hanno effettivamente lavorato con gli studenti. E i ragazzi sono stati in grado di entrare in contatto con quegli artisti in un modo davvero straordinario e questo dà loro una spinta davvero esponenziale. Li fa davvero crescere molto rapidamente e offre loro un set di strumenti completamente.
Ovviamente, devi avere talento, devi sviluppare le tue capacità. È un’esperienza di apprendimento permanente. Devi avere tenacia, ma una delle cose di cui hai veramente bisogno è la prospettiva e penso che sia davvero straordinario quando artisti con una prospettiva e una visione unica del mondo lavorano con i giovani trasmettendo la loro.
Credo che siamo stati molto fortunati ad avere Cristina Caprioli in studio per oltre un mese con i giovani artisti. In passato abbiamo anche avuto Carolyn Carlson, con prospettive molto diverse, e penso sia una delle possibilità davvero straordinarie che possiamo offrire qui a Venezia.
Qual è la linea che lega il programma We Humans ai festival precedenti?
Prima di tutto, vogliamo costruire su ciò che abbiamo sviluppato negli ultimi quattro anni. Una parte del programma è un’evoluzione del lavoro che abbiamo iniziato e la scelta è di investire sui giovani artisti, perché possano creare l’opera che desiderano realizzare. Si tratta di investire in lavori che non sono stati visti in Italia, ma spesso nemmeno in Europa e nel mondo, quindi stiamo cercando artisti che spesso lavorano under the radar e l’impegno nei confronti dei giovani talenti e dei molti modi in cui possiamo sviluppare giovani talenti è davvero fondamentale per il programma della Biennale Danza. Questi sono elementi costitutivi del lavoro nelle ultime quattro stagioni.
Abbiamo poi esaminato tutta una serie di idee che hanno a che fare con l’intelligenza fisica, su cosa rende un corpo alfabetizzato. Il corpo ha intelligenza e qual è la natura di quell’intelligenza lo esploriamo in questo festival, We Humans, cercando una comunicazione molto diretta. Il corpo comunica per l’80% in modo non verbale, più delle parole. Quello che leggiamo con il corpo è più di quanto ascoltiamo effettivamente nelle parole. La calibrazione di ciò che è intelligenza fisica mi sembra davvero importante. Penso che lo vedrete in questo festival anche con artisti che lavorano con la scienza e la tecnologia, e si può vedere l’impatto dell’intelligenza artificiale.
È essenzialmente una delle domande più grandi del nostro tempo: l’intelligenza artificiale potrebbe essere creativa? Esiste la possibilità di costruire strumenti che in qualche modo forniscano una nuova forma di espressione in relazione all’intelligenza artificiale? Penso che tutto ciò sia davvero importante.
E guardando avanti, come sarà la Biennale Danza dl prossimo biennio?
Attendo artisti globali che siano under the radar. Artisti che hanno qualcosa da dire sull’identità, sulla politica, sull’intelligenza artificiale e sul cambiamento climatico. Sono le domande centrali del momento, ecco a cosa dovrebbe prestare attenzione un festival di danza contemporanea. E poi c’è l’incredibile costellazione di luoghi che abbiamo qui a Venezia, il tessuto molto speciale di edifici, il modo molto particolare in cui devi passeggiare e interagire con la città è molto diverso dall’avere un festival in qualsiasi altra città. La consideriamo una ricchezza ulteriore.
L’incrocio con la tecnologia porta a un superamento del corpo, dell’unicità del movimento? Porta a un superamento dell’umano?
Penso che sia compito dell’artista interrogare la condizione umana e interrogare il corpo stesso come tecnologia. Penso che lo sia ancora di più se si pensa ai segni per comprendere il corpo dall’interno in un modo diverso – come fanno Verena Paravel e Lucien Castaing-Taylor in De Humani Corporis Fabrica che utilizzano tecnologie microscopiche per vedere l’interno di un corpo. È un lavoro davvero profondo che ci fa guardare dentro e realizzare che tu e io siamo abbastanza vicini guardati da dentro, perché condividiamo così tanto.
Quanto al post-umano, va detto che è guidato e non subìto dagli umani. Sono i programmatori e gli scienziati a scrivere i programmi. L’intelligenza artificiale nasce dall’intelligenza e dalla creatività nell’innovazione degli esseri umani. Questo non è qualcosa di separato da noi.
C’è una continuità e quindi è altrettanto eccitante o rilevante o potente riportare la mente all’essenza di ciò che il corpo umano è e può fare e può essere. Quando guardiamo un corpo “aumentato” e vediamo cosa cambia, non è qualcosa di diverso da noi. Siamo noi e dobbiamo avere la capacità emotiva ed etica per far funzionare questa interazione. Noi esseri umani siamo capaci di questo, siamo capaci di lavorare con l’intelligenza artificiale. E come siamo capaci di essere distruttivi, siamo capaci di mostrare grande empatia. Siamo capaci di essere molto complessi e penso che il nostro lavoro come artisti sia esplorare questa complessità e farci riflettere su noi stessi, con progetti interessanti.
Quello che stiamo facendo è riunire un gruppo di persone reali in un tempo reale. E penso che questo sia il potere assoluto della convocazione di persone che respirano insieme in un teatro. Sentirsi insieme è qualcosa di insostituibile. Quindi, per quanto lavoriamo con la tecnologia, non mi preoccupo mai che possa interrompere o cambiare quella connessione empatica che hai con un essere umano.
In questo festival ci sono artisti che lavorano con l’intelligenza artificiale e altri che portano un lavoro molto politico, ma ciò che accade è comunque una transizione diretta di energia. Questo è un elemento insostituibile della ricerca nella danza, questa è la ragione per cui la amo.
Il titolo We Humans indica una collettività, una comunità che va oltre l’individualità. Eppure la fruizione da spettatore passivo fa perdere la dimensione liturgica della danza come impatto sulla comunità. È così?
Penso che in parte questo dipenda dal pubblico. Sei tu pubblico a incarnare il rituale, perché stai rilasciando quelle endorfine e sei quel corpo fisico che sta interagendo.
Quando balli, hai la sensazione del ritmo corporeo di qualcun altro insieme al complesso spaziale, alla mappa che stai costruendo con il tuo partner. Questo è molto diverso rispetto a ricevere quel trasferimento di energia mentre sei in una posizione oggettiva, in cui sei testimone dalla platea. Eppure, c’è comunque una relazione forte. Sono un grande sostenitore del fatto che i sistemi fisici molto complessi siano condivisi in modo fisico con altre persone.
Ecco perché vogliamo portare al festival pensatori radicali. Noi comprendiamo perché com-prendiamo, attraverso e con il corpo, non solo con il cervello. È per questo che la nostra capacità insieme è maggiore della nostra capacità come individui. È una questione di potere. Basta guardare altre esperienze collettive, come ad esempio i corpi vengono utilizzati nella protesta politica: è un atto comunitario in cui un corpo collabora con altri corpi per influenzare un particolare tipo di cambiamento.
È molto interessante il fatto che abbiamo sempre avuto il corpo al centro, per cui possiamo effettivamente comunicare non verbalmente in un grande gruppo, perché questo trascende tutti i confini del linguaggio.
Cosa è dunque il corpo?
Una delle cose interessanti riguardo al corpo è che è un palinsesto. È letteralmente una storia. Gli artisti in questo festival portano nel palinsesto del corpo un particolare momento culturale o un particolare tipo di temi e valori che hanno espresso attraverso il loro lavoro. Era loro intenzione lavorare in quel modo, per rivelare o aprire il loro corpo come un archivio.
Penso che la relazione tra valori, domande, etica e risposte sia davvero importante. Anche se l’approccio degli artisti invitati è differente, tutti condividono l’umanità, condividono un sistema di valori reali.